Giurisprudenza Amministrativa
Sul giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 2, l. 31 dicembre 2012, n. 247
di Arianna Cutilli
NOTA A CORTE COSTITUZIONALE,
ORDINANZA 11 LUGLIO 2018, N. 156
Sul giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 2, l. 31 dicembre 2012, n. 247
A cura di ARIANNA CUTILLI
Con l’ordinanza in esame, la Corte Costituzionale ha restituito ai giudici rimettenti gli atti di giudizi di legittimità costituzionale promossi da due Collegi della terza sezione del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio.
I giudizi costituzionali, riuniti per identità del petitum, traggono origine da due ricorsi, dall’identico contenuto, proposti dinanzi al giudice amministrativo, per l’annullamento del Regolamento del Consiglio Nazionale Forense del 20 novembre 2015, n. 1, nonché del provvedimento dello stesso C.N.F. del 12 gennaio 2016, con cui è stato indetto il “Bando per l’ammissione al corso propedeutico all’iscrizione nell’Albo speciale per il patrocinio dinanzi alle Giurisdizioni superiori, ai sensi dell’art. 22, comma 2, della legge 31 dicembre 2012, n. 247”.
Com’è noto, la riforma della professione forense, operata mediante la l. 247/2012, specificatamente con le statuizioni del suo art. 22, ha mutato le condizioni di accesso al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, prevedendo due modalità alternative consistenti o nel superamento di un esame di abilitazione, sostenibile decorsi cinque anni dall’iscrizione all’Albo professionale, o nella frequenza di un corso presso la Scuola Superiore dell’Avvocatura e superamento dell’esame finale, previa maturazione del periodo di otto anni dall’iscrizione all’Albo, affidando ad un regolamento attuativo della riforma, adottato dal C.N.F. il 20 novembre 2015, l’istituzione e la disciplina del funzionamento della Scuola Superiore dell’Avvocatura. Un regime speciale, peraltro, è stato adottato, in via transitoria, per coloro che, entro tre anni dall’entrata in vigore della nuova legge professionale, avessero maturato i requisiti richiesti dalla precedente normativa, ossia l’esercizio dell’attività professionale per dodici anni. A loro è stata, infatti, riservata la possibilità di iscriversi all’Albo delle giurisdizioni superiori.
Nei ricorsi promossi si eccepiva, tuttavia, che il d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96, di recepimento della direttiva europea 16 febbraio 1998, n. 5 in materia di esercizio stabile e continuativo della professione forense in uno Stato membro diverso rispetto a quello nel quale sia stato acquisito il relativo titolo di abilitazione, tutelasse l’accesso all’attività forense al professionista migrante nello Stato ospitante, a condizione di dimostrare di aver esercitato la professione di avvocato per almeno dodici anni in uno o più degli Stati membri (art. 9, secondo comma, d.lgs. 96/2001). Diversamente, invece, l’art. 22, l. 247/2012, risultava porre in essere una disciplina discriminatoria, a danno degli avvocati italiani, nella parte in cui preclude a questi di iscriversi all’Albo speciale compiuti 12 anni di attività, richiedendo loro condizioni più onerose, rispetto al regime più favorevole riservato, per l’esercizio della medesima professione entro il medesimo ambito territoriale, agli avvocati stabiliti.
I giudici della terza sezione del Tar per il Lazio concludevano positivamente il giudizio di rilevanza e non manifesta infondatezza dell’eccezione di incostituzionalità sollevata dai ricorrenti riguardo all’art. 22, l. 247/2012, rispetto all’art. 3 Cost., denunciando come tale disparità non trovasse giustificazione in alcun principio di ragionevolezza, posto che non sussiste alcuna differenza tra le due categorie di professionisti, tale per cui le impari modalità di accesso alle giurisdizioni superiori possa ritenersi legittima.
Sicuramente deludente è da ritenersi l’epilogo del giudizio costituzionale che, sfortunatamente, non è riuscito a giungere ad una pronuncia di merito, grandemente attesa non solo da parte dei ricorrenti, ma da tutti i giovani avvocati italiani, che vedono periodicamente sorgere nuovi ostacoli lungo il percorso professionale, il cui libero esercizio è costellato da condizioni di accesso e prosecuzione della carriera sempre più complesse, macchinose e onerose.
Nelle more del giudizio, infatti, è stata adottata la l. 20 novembre 2017, n. 167 (c.d. legge europea 2017), il cui art. 1 ha sostituito l’art. 9, comma 2, d.lgs. 196/2001, assunto a tertium comparationis della sollevata questione di legittimità costituzionale. La norma, equiparando la disciplina legislativa, ha introdotto anche per gli avvocati stabiliti le stesse condizioni di accesso all’albo speciale dettate per i professionisti italiani, sicché anche i primi, oggi, dovranno dimostrare di aver esercitato la professione per almeno otto anni, oltre ad aver successivamente frequentato, lodevolmente e proficuamente, la Scuola superiore dell’avvocatura e superato la verifica finale di idoneità.
Il nuovo quadro normativo ha, quindi, determinato la Corte Costituzionale a restituire gli atti ai giudici a quibus, chiedendogli di effettuare nuove valutazioni in ordine ai giudizi di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione, tenuto conto dello jus superveniens.