Studi
Brevi riflessioni sui caratteri comuni alle attività secretate nell’ordinamento costituzionale italiano
di Antonio Mitrotti
Brevi riflessioni sui caratteri comuni alle attività secretate nell’ordinamento costituzionale italiano, anche alla luce del contemperamento (rectius bilanciamento) con la libertà di manifestazione del pensiero
A cura di ANTONIO MITROTTI
Il «Governo della democrazia» - sosteneva, autorevolmente, Noberto Bobbio - è il «Governo del potere pubblico in pubblico»[1].
Non per questo, tuttavia, il vigente ordinamento costituzionale esclude la legittimità di fondamentali istituti connotati di un elevato ‘tasso’ di segretezza: si pensi - soltanto per un esempio (e primo fra tutti) - all’istituto del segreto di Stato ma, a tal riguardo, si potrebbero benissimo richiamare, qui, anche altri preziosi istituti per l’ordinamento italiano, come il segreto d’ufficio oppure, ancora, il segreto investigativo nonché - fra gli altri - la stessa segretezza sottesa alle Commissioni d’inchiesta parlamentari.
Interessante, pertanto, sarebbe, in quest’ottica, compiere un’analisi di quali siano esattamente le condizioni di legittimità costituzionale giustificatrici di una corretta (e legittima, appunto) attività di segretazione, alla luce dei basilari principi liberal-democratici propri della nostra forma di Stato costituzional-democratica[2].
Anzitutto, giova puntualizzare come delle regole diametralmente opposte vigano circa il segreto nella sfera pubblica e la segretezza nel privato[3].
In un sistema democratico si ha, infatti, per regola generale del diritto pubblico il principio della trasparenza e della pubblicità, mentre il segreto ne costituisce soltanto una mera e circoscritta eccezione: con la dovuta, e preliminare, puntualizzazione per cui la prevalente, e più sensibile, dottrina[4] tenga, comunque, a mantenere ben distinte (sebbene sicuramente correlate) le due nozioni di pubblicità e di trasparenza, posto che per pubblicità si evidenzia debba alludersi al risultante 'stato di fatto' proprio di un determinato atto dell'Amministrazione, nonché del relativo procedimento posto in essere, ovvero - ancora più in generale - dell'organizzazione amministrativa concretamente predisposta per l'esercizio dei pubblici poteri; laddove, invece, per trasparenza si precisa debba riferirsi, più propriamente, ai caratteri di chiarezza e di comprensibilità che dovrebbero esser propri, così connotandola, dell'azione amministrativa. Esempio classico è - nel senso della suindicata distinzione - quello tipico dell'atto/provvedimento regolarmente pubblicato sull'albo ovvero sul sito internet dell'Amministrazione (e quindi pubblico) ma, tuttavia, redatto in una maniera tale da risultare alquanto oscuro, equivocabile ovvero poco comprensibile (e, come tale, carente di trasparenza).
Sommariamente premesso quanto s'impone per la sfera pubblica, è, d'altro canto, incontrovertibile che per quanto attiene alla sfera dei rapporti privati nell'ordinamento costituzionale i diritti costituzionalmente riconosciuti e garantiti al soggetto privato siano piuttosto (e salvo le rare, e dovute, eccezioni, come per il caso della disciplina contemplata all'art. 18 Cost.), caratterizzati, per regola, proprio dalla segretezza - e riservatezza - e solo per eccezione dalla loro, relativa, pubblicità.
Nel “privato” la segretezza, anziché porsi come un’eccezione, si pone, quindi, quale vera e propria regola generale, significativamente posta a tutela dei soggetti privati nell’ambito del godimento di libertà loro costituzionalmente riconosciute e garantite in un sistema democratico[5].
Tipici esempi di segretezza nel privato possono rinvenirsi nelle seguenti situazioni giuridiche soggettive:
1. Nel diritto alla riservatezza.
Si tratta di un peculiare tipo di diritto, da taluni definito come a sé stante[6], benché sicuramente rientrante nel novero dei diritti costituzionalmente garantiti all’individuo. Non v’è, al riguardo, una puntuale disciplina in Costituzione. La Corte costituzionale ha più volte fatto riferimento all’articolo 2 della Costituzione[7], nonché agli articoli 8 CEDU e all’art. 12 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Definire cosa esattamente si intenda per il diritto alla riservatezza non è cosa semplicissima; lo stesso Codice sulla protezione dei dati personali, disciplinato dal D.lgs. 196/2003[8], ha rinunciato ad una sua precipua definizione, preferendo incentrare la propria attenzione sui meccanismi di protezione dei dati personali. Autorevole dottrina[9] ha rimarcato le notevoli difficoltà definitorie del diritto di riservatezza, puntualizzando proprio come: «l’enunciazione delle diversità terminologiche, adottate dalla dottrina per classificare il fenomeno studiato, evidenzia l’incertezza che ha caratterizzato la ricerca nella individuazione dei contenuti della situazione giuridica che si è inteso definire». Si può, comunque, azzardare, sulla scorta di altra autorevole parte della dottrina[10], una sommaria definizione, concependo il diritto alla riservatezza come una "zona buia", in cui non è consentito ad altri di penetrarvi e far luce sul segreto, una zona posta al riparo dall’ingerenza altrui; risolvendosi, perciò, in una vera e propria libertà ‘passiva’ oppure ancora, sotto di un profilo attivo, come il potere di decidere e sapere quali e quante delle informazioni che ci riguardano possano circolare pubblicamente, tutelando, così, la sfera dell’ambito del privato. Sviluppando codesta impostazione, finiremmo, così, con il poter identificare la riservatezza come una sorta di spatium deliberandi, il luogo morale, cioè, dove poter sviluppare la propria autonomia, con il compimento delle proprie scelte personali nonché della propria intimità.
2. Nel segreto industriale.
Trattasi di una situazione giuridica soggettiva oltrepassante la sfera della pura riservatezza, investendo la protezione dell’impresa, a tutela della quale è invocato l’art. 41, I comma, della Costituzione. Con il segreto industriale è garantita la piena libertà di destinare a segretazione l’invenzione industriale o il know-how, estendendone gli effetti alla stessa attività necessaria per l’attuazione delle decisioni all’interno dell’impresa, nonché - come conseguenza - ai rapporti con il personale stesso e con i collaboratori esterni alla medesima attività d’impresa[11].
3. Nel segreto bancario.
Permangono opinioni discordanti in merito al concetto, al fondamento ed ai limiti del segreto bancario. Pur in presenza di sparsi riferimenti normativi è, infatti, assente una vera e propria definizione legislativa, tanto da poter addirittura dubitare della effettiva esistenza di una specifica e legittima disciplina dell’istituto. La definizione corrente vede nel segreto bancario un particolare tipo di vincolo imposto agli istituti di credito, consistente nel dovere di mantenere uno specifico riserbo intorno agli affari inerenti alla propria clientela. L’istituto rinverrebbe, oggi, il proprio fondamento costituzionale nell’art. 47 della Costituzione, quale implicito riconoscimento di favore per tutti gli istituti e gli strumenti in grado di poter sostenere l’attività creditizia. Di contro v’è stato chi ha sostenuto come il segreto bancario costituirebbe, più propriamente, una espressione del principio di libera iniziativa economica e che tutt’altra che dimostrata sarebbe l’incidenza sul livello degli investimenti e dei risparmi[12]
4. Nel segreto professionale.
Un segreto - è scritto all’art. 622 del codice penale - conosciuto «per ragione […] della propria professione o arte». Ebbene, il legislatore non ha voluto scientemente definire in maniera rigida quali esattamente fossero le professioni od arti soggette all’obbligo del segreto professionale, nella consapevolezza che la dinamica della vita sociale avrebbe proposto, comunque, nuove professioni meritevoli di essere prese in considerazione. In ogni caso - quando ci si riferisce al segreto di una res conosciuta per ragione della propria professione od arte - la professione e l’arte debbono andare intese come delle fattispecie ricomprendenti ogni tipo d’attività dal carattere prevalentemente intellettuale o manuale, esercitate professionalmente al servizio ed in favore di chi ne faccia richiesta o ne abbia bisogno, nonché principalmente al fine di lucro[13]; benché giova, qui, evidenziare, in proposito, come un’autorevole parte della dottrina[14] abbia efficacemente precisato che l'interesse individuale vada in questi casi a coniugarsi con quello pubblico, stante la (potenziale) natura di un servizio di pubblica utilità propria dell’esercizio di una professione[15]; tanto è vero che, in questo senso, la ratio legis dell’introduzione nell'ordinamento dell’istituto del gratuito patrocinio nell’esercizio della professione forense muove, anche (ma non unicamente), da questa peculiare posizione della dottrina.
5. Nel segreto di corrispondenza.
Si tratta di un diritto di libertà solennemente garantito dall’articolo 15 della Costituzione, che ne sancisce l’inviolabilità. Il legislatore costituente, in particolare, è voluto andare ben oltre la mera garanzia della libertà e segretezza della corrispondenza epistolare, spingendosi sino alla pregnante garanzia di “ogni altra forma di comunicazione”, pervenendo ad una generale disciplina ‘sostanziale’ di alcune forme "particolari" d’espressione di pensiero e, comunque, diversificate rispetto a quelle disciplinate dallo stesso art. 21 della Costituzione.
Se l’articolo 21 della Carta costituzionale disciplina e tutela le espressioni del pensiero che il soggetto intende e vuole «manifestare» e «diffondere», rendendole in tal modo pubbliche, l’articolo 15 Cost. garantisce la segretezza di tutte quelle espressioni che, oltre ad essere indirizzate a soggetti scientemente determinati ed individuati, siano state, al contempo, sottratte alla conoscibilità dei terzi, con tutte le normali ed ordinarie cautele poste a disposizione del mittente. In altri termini, una cosa è l’espressione del pensiero che, pur essendo rivolta ad un soggetto determinato, venisse resa con modalità tali da poter essere conoscibile dai terzi - e che non costituirebbe una vera e propria «corrispondenza», bensì una «manifestazione di pensiero» (e sarebbe dunque l’articolo 21[16] e non la disposizione di cui all’art. 15 a dover trovare un’applicazione) - altra cosa è la situazione giuridica soggettiva garantita in Costituzione dall’art. 15, trattandosi, piuttosto, di: «una speciale forma di manifestazione del pensiero di una persona nei suoi esclusivi rapporti con un'altra persona»[17].
Non si trascuri, naturalmente, che il processo di convergenza tra tecniche di telecomunicazione, nuovi strumenti informatici e cosiddette multimedialità ha sicuramente aperto uno scenario inedito nel quadro di esercizio del diritto di libertà di corrispondenza: nulla questio, ovviamente, che le fondamentali garanzie costituzionali debbano intendersi estese anche a queste nuove forme di comunicazione (tanto è vero che l'articolo 15 Cost. fa esplicito riferimento ad "ogni altra forma di comunicazione"), con l'avvertenza tuttavia - per altro diffusamente avvertita in dottrina - che la tutela costituzionale potrà continuare evolutivamente e concretamente ad esplicare i propri effetti soltanto allorché le 'nuove comunicazioni' siano assistite da idonee garanzie di autenticazione ed autenticabilità[18], tali, cioè, da poter essere destinate a rimanere "effettivamente" e soggettivamente segrete; il che tanto nell'intenzione personale degli autori di ogni comunicazione che, nondimeno, avuto riguardo all'adeguatezza delle modalità telematiche di trasmissione e ricezione delle comunicazioni da parte dei destinatari[19].
6. Nel segreto di voto.
Situazione giuridica soggettiva funzionale alla libertà del voto, nonché ad una libertà-riservatezza delle proprie opinioni politiche[20].
In termini generali, se un soggetto privato è, per definizione, ‘libero’ di segretare e mantenere segreti i propri fatti che lo riguardano personalmente ed esclusivamente, nel settore pubblico, invece, i titolari di un pubblico Ufficio, al contrario, non si muovono, come è logico, nell’esercizio di un diritto di libertà, bensì, piuttosto, di pubbliche funzioni, in adempimento di doveri discendenti dalla Carta costituzionale, in primis, e dalle leggi[21], in secondo luogo.
Ciò nonostante, a ben riflettere, è identica la ratio legittimante i presupposti della segretezza: «il segreto è [infatti] da ritenere accettabile soltanto qualora esso costituisca una protezione o una proiezione di interessi costituzionalmente rilevanti»[22], di interessi, vale a dire, tra quelli che siano dalla Costituzione stessa riconosciuti e garantiti, nonché tutelati al livello legislativo.
Con la dovuta puntualizzazione per cui nel settore pubblico il segreto-eccezione andrebbe saggiato caso per caso, nella sua legittimità costituzionale, mentre nel settore privato, invece, la possibilità del segreto si giustifica già a priori, in quanto, nelle diverse situazioni giuridiche soggettive, la segretezza verrebbe a poter essere configurata come uno ‘schermo’ di protezione che la stessa Carta costituzionale riconoscerebbe quale facoltà in favore del libero ed effettivo esercizio e godimento dei diritti di libertà fondamentali[23].
In ogni caso, a ben riflettere, si tratta di una disciplina (tanto nel pubblico quanto nel privato) che necessita di essere la più prudente possibile, attese le estese finalità di pubblico interesse sottese all’oggetto di tutela della segretezza (pubblica o privata che sia), nonché le rispettive intrinseche potenziali capacità delle attività segretate di interferire con i più svariati settori ordinamentali, il che specialmente onde evitare che si realizzi indiscriminatamente: «la lesione di principi, diritti o attribuzioni che siano al lor volta costituzionalmente garantiti»[24].
Ebbene, dal costante insegnamento della Corte costituzionale[25], come pure dal condiviso orientamento della prevalente dottrina, si ricava, anzitutto, un principio fondamentale: diversi interessi tra loro confliggenti debbono essere interpretati secondo criteri di armonica composizione e di reciproco coordinamento, senza mai precipitosamente giungere, perciò, a quel totale sacrificio di alcuni a beneficio di altri.
Soltanto nell’ipotesi in cui il fruttuoso ricorso all’utilizzo di simili criteri non sia possibile dovrà allora porsi come necessario il procedere - con tutte le cautele del caso e con i supporti costituzionali che siano i più precisi possibili - ad un giudizio di prevalenza, impegnandosi, comunque, nel cercare di limitare al massimo la compressione degli interessi che si ritengano indispensabili sacrificare; in ossequio, del resto, al principio di proporzionalità.
Sotto questo profilo, ovvero in punto di analisi su quali possano essere gli interessi costituzionalmente confliggenti con quelli preordinati a legittimare la segretezza nel settore pubblico (ma ciò vale anche nel privato) appare particolarmente rilevante la libertà di manifestazione del pensiero, disciplinata - come noto - dalla disposizione di cui all’articolo 21 della Costituzione italiana.
Trattasi di un diritto di libertà che autorevole parte della dottrina ha riconosciuto essere come un diritto dalla natura ‘squisitamente individuale’, in antitesi, perciò, a certe altre impostazioni che ne avrebbero, al più, semplicisticamente individuato la ratio nella natura di un diritto ‘oggettivamente funzionale all'individuo’.
In particolare si deve a Carlo Esposito una delle più approfondite analisi in materia[26].
Esposito, in base a diverse e persuasive argomentazioni - quali quelle fondate sulla collocazione dell'articolo 21 nel Titolo relativo ai rapporti civili, sull'attribuzione di questo diritto «a tutti» e non soltanto ai cittadini, sulla completa mancanza di ogni accenno a qualsivoglia funzione sociale o politica (contrariamente alle esplicite formulazioni presenti per altri tipi di diritti costituzionalmente garantiti), nonché sulla base delle stesse indicazioni offerteci dai Padri costituenti nei lavori preparatori della Costituzione - ha proceduto ad una vera e propria ‘ricostruzione’ della natura del diritto di libertà di manifestazione del pensiero, ravvisandone il carattere di un diritto ‘individuale’, riferibile, cioè, al novero di quei diritti inviolabili dell'uomo che la Repubblica riconosce e garantisce sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolga la sua personalità.
Ora, sempre Esposito ha tenuto, in ogni caso, a puntualizzare che, indubbiamente, dalla affermata natura ‘individuale’ di un diritto di libertà non si voglia, e non si possa, assolutamente farne discendere i caratteri di un diritto a sé stante, che una volta riconosciuto dalla comunità statuale venga poi ad esercitarsi ed esplicarsi al di fuori dell'ambito della comunità statuale stessa - ovvero di un diritto riconosciuto dall'ordinamento al singolo isolato e fuori dall'ordinamento stesso - bensì che «alcuni diritti sono attribuiti all'uomo come tale e a vantaggio dell'uomo, al singolo per ciò che essi rappresentano per esso singolo nelle sue qualità universali o per l'appagamento egoistico dei suoi bisogni e desideri individuali»[27]; altri diritti, all’opposto, giungerebbero ad essere attribuiti all’individuo nella propria qualità ‘specifica’ di membro - ovverosia di partecipe - di una comunità statale e per le funzioni che in essa sia chiamato concretamente a dover esplicare, sicché la partecipazione alla comunità finirebbe, in questi casi, per determinarne i contenuti ed i limiti stessi di quel diritto (così come accade per il diritto di voto, ad esempio).
Quando, invece, si proclama che la Costituzione garantisce il diritto della libera manifestazione del pensiero, si intende attribuirne la garanzia costituzionale del suo esercizio al singolo come tale ed indipendentemente da qualsiasi vantaggio o dagli svantaggi che allo Stato possa derivarne.
Ne discende che l'esercizio del diritto di libertà di manifestazione del pensiero (sia esso relativo a tematiche afferenti allo Stato quanto a qualsiasi altro concreto ed attuale problema politico) non si troverà mai ad essere riconosciuto in una misura differente a seconda del tipo di manifestazione esternata, potendo, perciò, attenere ai più possibili e disparati oggetti; per questo motivo ogni limitazione all'esercizio della libertà di pensiero - quand’anche potenzialmente incidente sullo stesso svolgimento della vita statuale - dovrà necessariamente trovare il proprio fondamento in precise e ben determinate disposizioni costituzionali che ne giustifichino l'affermazione della relativa ‘compressione’.
Il che, del resto, dovrebbe far riflettere su come siano errati tutti i diffusi tentativi in dottrina di ‘configurare’ questo diritto come esclusivamente diretto a garantire ai singoli l’effettiva, e principale, possibilità di concorrere alla vita politica nazionale; se non altro, perché: «non la democraticità dello Stato ha per conseguenza il riconoscimento di questa libertà ma le ragioni ideali del riconoscimento di quella libertà portano, tra le tante conseguenze, anche alla affermazione dello Stato democratico»[28].
Esiste, comunque, un nesso inscindibile tra la proclamazione della democraticità dello Stato e la libertà di manifestazione del pensiero, ossia che: «quella libertà nella sua pienezza e con i soli limiti che ad essa siano specificamente imposti da particolari disposizioni costituzionali è ritenuta incontrovertibilmente utile allo svolgimento di una vita democratica, e che la dichiarazione che lo Stato è democratico, niente aggiunge e niente toglie alla solenne e specifica proclamazione di libertà»[29].
Tra le righe può facilmente intendersi che ogni limitazione al diritto di libera manifestazione del pensiero debba - in qualsiasi caso, come anche in quello particolare di un’attività secretata - riposare su individuabili e ben determinate disposizioni costituzionali giustificatrici.
Da qui l’inevitabile contemperamento del riconoscimento del diritto di libera manifestazione del pensiero con la garanzia di altri diritti fondamentali, nonché di altri interessi, pure essi consacrati dalla Costituzione[30].
Più in particolare, e per quanto qui interessa il possibile rapporto intercorrente tra le limitazioni alla libertà di manifestazione del pensiero e gli antitetici interessi costituzionalmente idonei a legittimare la segretezza, sarebbe opportuno focalizzare l’analisi sui limiti (oggettivi) frapposti alla disciplina dell’articolo 21 della Carta costituzionale.
La libertà di manifestazione del pensiero - sebbene fondamentale diritto individuale, costituzionalmente garantito - non gode, infatti, di una tutela assoluta ed illimitata.
Dei limiti oggettivi sussistono, per esempio, allorché si escluda dal relativo ambito di tutela e garanzia ogni manifestazione del pensiero che non sia effettivamente rispondente alle interiori persuasioni ed all'interiore convincimento dell'autore: segnatamente per tutti quei tipi di affermazione o negazione esternate bensì non corrispondenti alle effettive convinzioni e valutazioni interiori sarebbe consentito al legislatore ordinario di vietare e punire il subiettivamente falso, la menzogna, la reticenza, il dolo, l'inganno, il raggiro e la frode in vantaggio della fede pubblica - in generale - come pure di altri interessi costituzionalmente preposti a tutelare i ‘prevalenti’ valori dei singoli ovvero della collettività; il che, naturalmente, ove sia raggiunta la tangibile prova di una effettiva divergenza dell'espressione manifestata dall'interiore pensiero dell’autore[31].
Si rende, tuttavia, doverosa una puntualizzazione, anche al fine, fra l’altro, di una migliore distinzione tra la definizione del concetto di reticenza, da un lato, e l’ambito oggettivo del diritto di libertà di manifestazione di pensiero, dall’altro, nonché per una più chiara esposizione dei rapporti intercorrenti tra la reticenza e l’obbligo impositivo della segretezza.
I limiti oggettivi alla libertà di manifestazione del pensiero si rapportano non solo ad una libertà “positiva” (libertà di manifestare con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione, il proprio pensiero), bensì anche ad una sua dimensione “negativa”, intesa quale diritto costituzionalmente garantito a poter liberamente astenersi dal manifestare quanto in oggetto di un proprio pensiero.
Codesta estensione oggettiva, tuttavia, ben potrebbe essere soggetta a restringimenti in tutti i casi in cui si veda ridimensionata da esplicite od implicite deroghe che sia la Costituzione stessa a poter ammettere, in rapporto alla tutela di finalità ritenute, cioè, preminenti.
E’ per questo che, in taluni casi costituzionalmente garantiti, resterebbero escluse dall’ambito di tutela ex articolo 21 quelle manifestazioni del pensiero non rispondenti alle interiori persuasioni od all’interiore pensiero dell’autore, quelle affermazioni o negazioni, cioè, non effettivamente corrispondenti alle reali convinzioni e valutazioni interne; in questi casi, infatti, altri interessi costituzionalmente tutelati verrebbero in rilievo, quali la fede pubblica nonché, soprattutto, la fondamentale garanzia della potestà di accertamento ed inchiesta riconosciute tanto alle Autorità giudiziarie quanto, per altro, in casi particolari - come quelli delle procedure di inchiesta parlamentari - non giudiziarie.
La fede pubblica e la garanzia di accertamento ed inchiesta processuale, infatti, rischierebbero di rimanere del tutto frustrate ed irrealizzate se non vi fosse la "costituzionalmente garantita" impossibilità di divergenza tra quanto oggettivamente manifestato e quanto subiettivamente conosciuto[32]. Ed è per questa pregnante motivazione che resta esclusa, in tali casi, la garanzia di libertà ex art. 21 Cost.
Più semplicemente è ben possibile che la libertà negativa di manifestazione del pensiero - quale diritto ad astenersi dal manifestare quanto in oggetto di propria coscienza e conoscenza - ceda il passo ad interessi costituzionalmente ritenuti superiori, quali - nel caso della tutela della potestà di accertamento ed inchiesta dell'autorità giudiziaria - il buon andamento della giustizia e la ricerca della verità dei fatti[33].
In questi casi, l’originaria libertà ‘negativa’ di manifestazione del pensiero verrebbe a tramutarsi, sulla base di una differente valutazione costituzionale degli interessi in gioco, nell'altra sua faccia della medaglia, ossia nella reticenza, quale tipica condotta omissiva caratterizzata da un pregnante e particolare tipo di disvalore giuridico, consistente nella propria interiore volontà di sottrarre il personale e peculiare apporto collaborativo necessario al fine della preziosa realizzazione del buon andamento e, soprattutto, del regolare funzionamento dell'amministrazione della giustizia e del buon andamento dell’attività giudiziaria[34].
Ebbene, tale ricostruzione - fermo restando la necessaria distinzione tra la libertà di manifestazione del pensiero nella propria accezione negativa e la reticenza - mi era cara affinché poter procedere ad un’ulteriore - fondamentale - differenziazione giuridica, intercorrente tra la reticenza, da un lato, e l’adempimento di un obbligo di segretezza discendente dall’esercizio dei poteri di un pubblico Ufficio, dall’altro lato.
Si tratta di una situazione, invero, peculiare, nella misura in cui il pubblico ufficiale sia vincolato all’obbligo di segretezza sebbene soggettivamente legittimato all'esercizio della prerogativa costituzionale di libera manifestazione del pensiero (il che sia sotto l’accezione positiva che sotto quella negativa): in chiaro ed ‘apparente’ contrasto con lo spirito della disposizione dell'articolo 21; giacché nel caso in cui intendesse manifestare "positivamente" la libertà del proprio pensiero (con la parola, lo scritto e qualsiasi altro mezzo di diffusione) in merito ad un oggetto segretato sarebbe obbligato a 'non dire', mentre nel caso in cui volesse astenersi "negativamente" dal comunicare ciò che è in oggetto di propria conoscenza - acquisita per il tramite di informazioni pervenutegli mediante un’attività connessa, per esempio, con l’apposizione del segreto di Stato - sarà comunque vincolato (e senza possibilità di scelta) a 'dover non dire' (si pensi, ad esempio, al caso dei funzionari del Sistema di Informazione per la Sicurezza della Repubblica imputati per la commissione di un reato legato alla propria attività informativa).
Ebbene, codeste logiche considerazioni, in termini puramente astratti, costituiscono la naturale premessa che conduce ad interrogarci sul perché, nel particolar caso concreto, sia possibile un legittimo obbligo impositivo della segretezza, interrogandosi sulla concreta motivazione giuridica in base alla quale si verrebbe a poter essere legittimamente esclusi dall’ambito della garanzia di un diritto fondamentale come la libertà di manifestazione del pensiero; ponendosi, in particolare, al di sotto dell’angolazione visuale di colui il quale venisse a conoscenza di un segreto in quanto l’oggetto di quel segreto fosse strumentale rispetto all’esercizio delle proprie funzioni istituzionali, espletate in adempimento di precise prescrizioni contemplate dalla Costituzione e dalle leggi.
Ora, escluse dall’ambito oggettivo della garanzia ex art. 21 devono ritenersi - oltre alle manifestazioni non corrispondenti alle interiori persuasioni dell’autore e comunicate sotto forma di reticenza, dolo o inganno - l’insieme di quelle diffusioni di pensiero e di notizie che, secondo forma e sostanza, fossero considerabili come giuridicamente altrui, sicché «la diffusione è 'riservata' ad altro soggetto o sottoposta all’altrui consenso»[35].
Qui, e solo qui, a ben riflettere, può avere, ad esempio, fondamento la tutela della proprietà letteraria, quivi non possono che trovare una sicura giustificazione - rispetto alla loro contrarietà con l’art. 21 - le norme impositive dell’obbligo di segretezza nei confronti di un pubblico ufficiale; visto, è bene ripeterlo, al di sotto dell’angolazione visuale di una sussistenza del legame intercorrente tra un fatto (ma ben potrebbe essere un’informazione, un documento, un atto od una attività ) ed un soggetto investito dell’esercizio di funzioni pubbliche finalizzate alla cura di quel fatto, sicché al titolare di codeste funzioni ben potrebbe venire ad essere "riservato" di ricevere e dare notizia del fatto stesso.
Detto in altre parole, sarebbe proprio la relazione sussistente tra la titolarità di un Ufficio pubblico e le notizie ed informazioni afferenti all’esercizio delle funzioni di quell’Ufficio[36] (espressione del cosiddetto rapporto d’ufficio[37]) a dover giustificare l’imposizione del segreto e la relativa ‘compressione’ del diritto di libertà ex art. 21, trattandosi di fatti o di notizie acquisite dalla persona come titolare di quell’Ufficio, in veste funzionale, avendo riguardo, cioè, ad un oggetto di scienza appartenente non in proprio a quella persona, bensì all’Ufficio di cui la stessa è, per l’appunto, titolare[38].
Sarebbero queste, pertanto, alcune delle inevitabili premesse da anteporre in ogni caso in cui si volesse, poi, affrontare l’ulteriore discorso degli strumenti di tutela penale preposti in favore della garanzia dei vincoli derivanti dal segreto di Stato o d’ufficio, se non altro per poter arrivare a cogliere la ratio e il perché, dunque, di una limitazione ad una libertà così fondamentale come quella di libera manifestazione del pensiero.
In ogni caso, può pacificamente sostenersi - più in generale - che qualsiasi obbligo impositivo dei vincoli di segretezza sarebbe indiscutibilmente, e radicalmente, illegittimo in assenza di altrettante disposizioni costituzionali[39] che - esplicitamente o implicitamente - lo sorreggessero; il che a necessario bilanciamento, se non altro, della garanzia di altre fondamentali disposizioni costituzionali, tra le quali, come appena visto, spicca, in particolare, la generale tutela della libertà fondamentale di manifestazione del pensiero[40].
E’ pur vero che ben pochi siano gli interessi generali non ricompresi al di sotto delle enunciazioni, esplicite od implicite, contemplate nel testo della Carta costituzionale, sicché, oltre ad affermarsi la necessarietà d’una giustificazione della segretezza alla luce della sussistenza di un interesse costituzionalmente apprezzabile, sarebbe altresì indispensabile il verificare, caso per caso, che l’interesse “a cuore” sia anche identificabile: «come fattore reale e non meramente potenziale»[41]; ciò al fine decisivo di poter risultare prevalente in un eventuale giudizio di bilanciamento.
Tutte considerazioni queste che non possono che circoscrivere nella maniera più stringente la segretezza nel settore pubblico, che da eccezione alla regola non può - e non deve - far venir meno la regola generale stessa; così da andare ad escludere a priori - per logica conseguenza - ogni forma di segretezza illimitata nel tempo.
Autorevole parte della dottrina, sul punto, ha, non casualmente, evidenziato proprio che poiché il potere sovrano è conferito ed esercitato nell'interesse e per conto del popolo, quello stesso potere dovrà poter essere controllato dal popolo[42] e dal popolo sempre riconoscibile; da qui, pertanto, l’ammissibilità del solo segreto «provvisorio» e «parziale», da ammettere, in via di eccezione, in rapporto alle: «specifiche finalità giustificanti»[43].
Invero, nella nostra forma di Stato costituzional-democratica, appunto, il principio della pubblicità costituisce la regola del diritto pubblico nonché, per altro, uno degli elementi essenziali e supremi dell’ordinamento costituzionale[44], posto che, ex art. 1 Cost., “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”: ed è indubbio che la forma paradigmatica di esercizio della sovranità prescelta sia quella propria di una democrazia rappresentativa (pur con tutti i suoi limiti, appunto[45]) in cui, vale a dire, la pubblicità costituisce un indefettibile prius logico necessario per permettere di verificare che la ‘delega del potere popolare’ sia correttamente esercitata[46].
Il che se può apparire come un incontrovertibile assioma non postula, di per sé, che il principio di pubblicità sia (o debba essere) assoluto.
Da nessuna parte, infatti, è scritto o è disposto che la segretezza debba essere bandita o completamente esclusa, al contrario: «[…] la segretezza può essere opportuna in relazione a certe discussioni delle Commissioni Parlamentari, a certi atti di procedimenti penali, ad alcune politiche monetarie che si basano sull’effetto “sorpresa”, per non parlare di molte azioni di politica internazionale e diplomatica e di molte operazioni degli apparati di intelligence tese a tutelare la sicurezza dei cittadini»[47].
E’ la stessa Costituzione ad ammettere le (opportune) limitazioni al principio di pubblicità allorché lo esiga, ad esempio, il corretto ed indipendente funzionamento delle attività parlamentari (come può chiaramente desumersi dagli articoli 64, comma 2, e 82 Cost.)[48] nonché nei casi in cui si renda necessario garantire l’effettività e l’efficienza delle indagini investigative dell’Autorità Giudiziaria (come ben si può serenamente interpretare ex art. 82, 111 e 112 Cost.)[49] ovvero nelle peculiari ipotesi di tutela della fondamentale ed imprescindibile salus rei pubblicae (ex artt. 1, 5, 52, 126 e 139 Cost.)[50].
In altre parole, il principio fondamentale di: «pubblicità, pur essendo regola di base della convivenza democratica, non assurge in nessun ordinamento costituzionale al rango di valore assoluto»[51], tanto è vero che: «il segreto […] può […] [ben] essere [comunque] lo strumento per limitare la cognizione di certe informazioni in nome della tutela di [controbilanciati] valori costituzionali di alto rilievo (come la salvaguardia dello Stato democratico) ovvero di principi fondamentali (ad es. la dignità della persona umana) […]. Tuttavia più che parlare di segreto bisognerebbe [a stretto rigore] parlare di segreti, (es. il segreto d’ufficio, il segreto industriale, il segreto professionale, il segreto processuale, il segreto bancario, il segreto postale, ecc.) ognuno dei quali è normativamente previsto e regolato nel nostro ordinamento con una specifica disciplina che individua il titolo di legittimazione e le tecniche di tutela, ovvero determina il suo [potenziale ed elastico] grado di resistenza di fronte ad altri interessi egualmente meritevoli di tutela e con esso confliggenti».
Gli istituti connotati di segretezza, per tutto ciò, si pongono nel diritto pubblico come delle forme peculiari di esercizio di potestà dal carattere ‘eccezionale’, precisamente funzionali, da un lato, rispetto alla tutela di un determinato soggetto giuridicamente legittimato e, dall’altro, finalizzati alla ‘delicata’ realizzazione di interessi pubblici costituzionalmente garantiti ed ‘astrattamente’ controbilanciati rispetto al generale principio di pubblicità[52] (poiché sul piano concreto s’imporrà, comunque, sempre come necessario l’irrinunciabile garanzia dell’osservanza - tanto da parte del legislatore, in primis, che dello stesso Giudice delle leggi, in fase di ultima istanza contenziosa, in secondo luogo - degli imprescindibili principi di ragionevolezza e proporzionalità)[53].
Il che si snoda secondo uno schema pressoché ricorrente, costituito su due elementi imprescindibili: in primo luogo sull’elemento tipico della ‘funzionalizzazione dell'attività di segretazione’ rispetto agli interessi di un soggetto pubblico, il quale viene, perciò, a rivestire la natura di destinatario e di beneficiario della funzione di segretazione; in secondo luogo assume pregnante rilevanza la ‘finalità pubblica’ concretamente oggetto di soddisfacimento delle attività di segretazione, una finalità costituzionalmente garantita e funzionalizzata, appunto, alla tutela degli interessi di un soggetto pubblico.
Non sarebbe un caso che lo schema qui proposto si ripeta proprio nei principali tipi di segreto nel pubblico: così ad esempio, nel segreto d’indagine, anche noto come segreto investigativo. Qui l'attività di segretazione è preordinata prevalentemente allo scopo di una garanzia del buon andamento della giustizia[54], un interesse sicuramente meritevole d’una tutela costituzionale, così come astrattamente desumibile, ad oggi, dal dettato dell'articolo 111 della Costituzione. Soggetto pubblico destinatario e beneficiario dell'attività secretata non potrebbe che essere, qui, l'Autorità giudiziaria che venga a poter avvalersi del relativo segreto.
Sul segreto d'ufficio, invece, se la dottrina più recente ne rinverrebbe il fondamento nel dovere di fedeltà alla Repubblica - di cui all'articolo 54 della Costituzione - altra parte della dottrina richiamerebbe, piuttosto, ulteriori interessi costituzionalmente garantiti, quali, per esempio, la sicurezza pubblica e la riservatezza[55]. Di certo è che il segreto d’ufficio è il segreto proprio dell’attività degli apparati amministrativi[56].
Un segreto che, stando ad una tesi oramai ‘classica’, consisterebbe in una “scoperta specifica” della moderna democrazia, costituendo uno strumento mediante il quale l’Amministrazione - monopolizzando il proprio sapere professionale - verrebbe a poter accrescere ed a consolidare la propria posizione di potenza[57].
Invero dall’insieme dei principi caratterizzanti la nostra Carta costituzionale è ricavabile una tendenza verso un cambiamento radicale. La proclamazione del principio democratico (ex artt. 1 e 49 Cost.), l’affermazione dell’eguaglianza sostanziale (art. 3, c. 2 Cost.), l’introduzione di una forma di Stato democratica, sociale e pluralista comportano, per logica conseguenza, che l’attività degli apparati della Pubblica Amministrazione sia fisiologicamente ispirata ad un opposto principio di trasparenza[58], il che per altro non potrebbe realizzarsi se non in armonia con il principio basilare del buon andamento e dell’imparzialità dell’Amministrazione Pubblica[59].
Del resto, in questo senso, tanto la disciplina del diritto di accesso procedimentale quanto, soprattutto, il più recente istituto del diritto di ‘accesso civico’ hanno fatto, fin qui, scuola[60].
In ogni caso, il soggetto pubblico beneficiario e destinatario dell'attività del segreto d’ufficio resta la P.A., a tutela, negli specifici casi contemplati oggi dalla legge, di plurimi e delicati interessi - in ogni caso coperti da una salda garanzia costituzionale - quali la sicurezza dello Stato, la tutela degli interessi di politica monetaria e valutaria, la cura delle relazioni internazionali sino a giungere alla tutela della vita privata ed alla riservatezza dei terzi.
Quanto ai vincoli di segretezza caratterizzanti il funzionamento dell’attività delle Camere parlamentari, poi, occorre sottolineare, sul punto, come il segreto abbia possibilità di dispiegarsi secondo diverse modalità.
In primo luogo, è contemplato un peculiare tipo di attività secretata in tutti i casi in cui, ex art. 64 Cost., ciascuna Camera deliberi d’adunarsi in seduta segreta. In questa ipotesi la segretazione sarebbe preordinata ad assicurare il miglior conseguimento possibile delle finalità sottese ai lavori dell’attività parlamentare[61].
In secondo luogo, di segretezza parlamentare ben può parlarsi in ogni caso in cui sia prevista la possibilità di esercizio del voto a scrutinio segreto, che le disposizioni dei regolamenti parlamentari assicurano in relazione all’oggetto di peculiari e determinate deliberazioni[62], in funzione, qui, per una migliore tutela della libertà di opinione ed indipendenza dei singoli parlamentari.
Da ultimo, di segretezza delle attività parlamentari si ha sicuramente modo di poter parlare in merito alle procedure di inchiesta disciplinate dall'art. 82 della Costituzione, che, come noto, dispone puntualmente che: «Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse. A tale scopo nomina fra i propri componenti una commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari Gruppi. La commissione d’inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria».
Ad oggi le inchieste parlamentari hanno sempre avuto ad oggetto situazioni fortemente caratterizzate sotto il profilo dell’importanza politica o sociale (tra le tante, basterebbe citare le inchieste sulla mafia, sul delitto Moro, sulla loggia massonica P2, sul terrorismo e sulle stragi ecc.), il che con il prezioso fine di garantire le funzioni ispettive e conoscitive tipiche di ciascuna Camera[63]. Funzioni che - così come, del resto, lo stesso articolo 82 precisa - debbono vertere, per le indagini espletate dalle Commissioni parlamentari d’inchiesta, su materie di pubblico interesse.
In ognuna delle situazioni di segretezza parlamentare, il segreto rimane sempre preordinato a tutelare finalità realizzatrici di fondamentali interessi pubblici, esplicitamente o implicitamente contemplati in Costituzione, a garanzia - quale beneficiario e peculiare destinatario delle attività di segretazione - del Parlamento, nella propria qualità di organo costituzionale, indubbio soggetto pubblico.
Da ultimo, non può non menzionarsi l’istituto del segreto di Stato.
Se la dottrina si è per lungo tempo divisa in merito all’individuazione (per altro frutto di una non semplice attività ermeneutica della Carta costituzionale) dell’esatto fondamento costituzionale del vincolo del segreto di Stato - dividendosi, il largo ventaglio interpretativo, fra chi si è appellato, per esempio, all’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (ex art. 2 cost)[64] e chi ha, piuttosto, fatto richiamo agli articoli 52 e 54[65] - la pressoché consolidata giurisprudenza della Consulta ha chiarito[66] - e senza, del resto, mai discostarsene - come l’atto appositivo del vincolo di segretezza sia preordinato alla cura dell’imprescindibile sicurezza dello Stato-comunità e rinvenga il proprio fondamento giuridico nella formula solenne dell’articolo 52 Cost. - che, come sarà noto, afferma essere sacro dovere del cittadino la difesa della Patria - posto, per altro, in relazione dinamica con l’effettiva tutela dell’indipendenza nazionale, con la cura del principio di unità ed indivisibilità della Repubblica, nonché con i peculiari caratteri essenziali dello Stato, sottesi alla formula di “Repubblica democratica” (ex art. 1 Cost.)[67].
Anche per i vincoli di segretezza derivanti dall’istituto del segreto di Stato, dunque, si tratta di una potenziale compressione della disposizione di cui all’articolo 21 Cost. - così come, del resto, di altri fondamentali diritti costituzionalmente garantiti[68] - finalizzata, però, alla cura di un controbilanciato interesse costituzionalmente riconosciuto e garantito, posto in precisa funzione della migliore tutela degli interessi del soggetto pubblico per antonomasia, e vale a dire lo Stato.
Appare, perciò, più che evidente - anche in forza di questa brevissima rassegna - come ogni vincolo di segretezza nel diritto pubblico sia connaturato e contraddistinto da un identico e ricorrente schema, preciso e piuttosto semplice.
Se, infatti, nel settore privato la segretezza si pone come regola, quale facoltà costituzionalmente concessa in favore del libero ed effettivo esercizio e godimento dei diritti di libertà riconosciuti e garantiti all’uomo[69]; nel settore pubblico, all’opposto, il segreto costituisce l'eccezione, sebbene si tratti - ogni puntuale volta - di una eccezione costituzionalmente riconosciuta e debitamente bilanciata con le opposte ragioni del principio di pubblicità e degli altri diritti potenzialmente confliggenti. Il che accade sempre secondo una prospettiva funzionale alla cura di una rilevante (e preminente) finalità pubblica, costituzionalmente garantita, del cui soddisfacimento concreto beneficiano gli interessi tutelati dai soggetti pubblici istituzionalmente preposti - dalla Carta costituzionale e dalle leggi attuative - all’esercizio del potere sovrano appartenente al popolo: ossia la Presidenza del Consiglio dei Ministri nel caso del segreto di Stato, la Pubblica Amministrazione nei casi di segreto d’ufficio, l’Autorità giudiziaria per le ipotesi coperte dal segreto investigativo d’indagine, nonché, da ultimo, le Camere parlamentari per i peculiari casi d’adunanza in seduta segreta, di esercizio del voto a scrutinio segreto come, pure, nel caso di espletamento delle stesse inchieste d’indagine parlamentare.
[1] N. Bobbio, La democrazia e il potere invisibile, in Rivista italiana di scienza politica, n. 2/1980, p. 181; sul tema si veda altresì N. Bobbio, La strage, l'atto di accusa dei giudici di Bologna, Roma, 1986.
[2] Nell’ampia letteratura in dottrina, appare prezioso il riferimento, ex multis, a C. Pinelli, Forme di Stato e forme di governo, Napoli, 2006, p. 119 ss.
[3] P. Barile, Democrazia e segreto, in Quaderni costituzionali, n. 1/1987, pp. 29-50.
[4] R. Marrama, La Pubblica Amministrazione tra trasparenza e riservatezza nell'organizzazione e nel procedimento amministrativo, in Dir. proc. amm., n. 3/1989, pp. 416-452; G. Arena, La trasparenza amministrativa e democrazia, in Studi Parlamentari e di Politica Costituzionale, n. 3-4/1992, pp. 25-38; A. Sandulli, Procedimento amministrativo e trasparenza, in S. Cassese e C. Franchini (a cura di), L’amministrazione pubblica italiana. Un profilo, Bologna, 1994, pp. 101-115; R. Chieppa, I principi generali dell'azione amministrativa nella legge n. 241 del 1990 modificata dalle leggi n. 15 e n. 80 del 1995 (la trasparenza come regola della pubblica amministrazione), in Diritto e formazione, Vol. 5, n. 12/2005, pp. 1557-1574; E. Carloni, Nuove prospettive della trasparenza amministrativa: dall'accesso ai documenti alla disponibilità delle informazioni, in Diritto Pubblico, n. 2/2005, pp. 573-600; A. Sandulli, La casa dai vetri oscurati. I nuovi ostacoli all'accesso ai documenti, in Giornale di diritto amministrativo, n. 6/2007, pp. 669-672; F. Manganaro, L'evoluzione del principio di trasparenza amministrativa, in www.astrid-online.it; D. P. Triolo, Il procedimento amministrativo, Vicalvi, 2017, pp. 11-22.
[5] P. Barile, Diritti dell'uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984, pp. 61-62, nonché, specialmente, p. 235 ss.
[6] P. Barile, Democrazia e segreto, in Quaderni costituzionali, n. 1/1987, p. 32.
[7] Si veda, ex multis, una risalente quanto consolidata decisione, C. cost., sent. 12 aprile 1973, n. 38, par. 2 e 5 del Considerato in diritto.
In questa pronuncia, preme sottolineare, la Consulta riconobbe per la prima volta la dignità costituzionale della tutela del diritto alla riservatezza, riconducibile sotto l’alveo dei diritti inviolabili dell’uomo nonché alla sfera del pieno sviluppo della persona, proprio ai sensi degli artt. 2, 3 e 13 Cost. In questo senso anche le successive C. cost., sentt. 11 marzo 1993, n. 81, par. 4 del Considerato in diritto - in cui venne dichiarato dalla Corte che esiste un diritto più ampio che protegge «lo spazio vitale che circonda la persona» - 9 luglio 1996, n. 238, par. 2 del Considerato in diritto; 7 luglio 2005, n. 271, par. 2 e 3 del Considerato in diritto. In dottrina, per una più recente ricostruzione del tema, si vedano, ex multis, L. Curicciati, Diritto alla riservatezza e sicurezza nella giurisprudenza delle Corti costituzionali e sovrastatali europee. Il caso della Data Retention Directive, in Democrazia e sicurezza, n. 2/2017, pp. 89-124.
[8] Il 4 maggio 2016 è stato - come sarà ben noto - pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il nuovo Regolamento generale sulla protezione dei dati personali (GDPR, General Data Protection Regulation Ue 2016/679), entrato in vigore a partire dal 25 maggio 2018, e, pertanto, direttamente applicabile, anche rispetto ad eventuali norme confliggenti contemplate dal nostro codice della privacy.
[9] G. Giacobbe, Il diritto alla riservatezza in Italia, in Diritto e Società, n. 4/1974, p. 694.
[10] G. Famiglietti, Il diritto alla riservatezza o la riservatezza come diritto. Appunti in tema di riservatezza ed Intimidad sulla scorta della giurisprudenza della Corte costituzionale e del Tribunal Constitucional, in Bio-tecnologie e valori costituzionali. Il contributo della giustizia costituzionale, Torino, 2005, pp. 299-324.
[11] P. Barile, Democrazia e segreto, in Quaderni costituzionali, n. 1/1987, p. 33.
[12] U. Ruffolo, Segreto bancario, in Enciclopedia del Diritto, Vol. XLI, Varese, 1989, pp. 1026-1027.
[13] G. Fiandaca - E. Musco, Diritto penale, Parte speciale, Vol. I, Bologna, 2007, p. 275. E’ qui, per altro, sottolineato come la norma incriminante la violazione del c.d. segreto professionale abbia la propria ratio nell’interesse a mantenere la segretezza in ordine ai rapporti professionali, dalla natura particolarmente delicata. In questo senso F. Antolisei, Manuale di diritto penale: Parte speciale, Volume I, Milano, 2008, pp. 270-272. L’autore sottolinea la delicatezza del rapporto professionale ed il conseguente obbligo di fedeltà derivante dal dover mantenere il segreto a fronte del fatto che il cittadino, in determinate circostanze, sia nella cogente necessità di ricorrere al professionista, per provvedere ai propri interessi o alla propria salute.
[14] F. Saja, Il segreto professionale, in AA.VV., Il segreto nella realtà giuridica italiana, Atti del Convegno nazionale, (Roma, 26-28 ottobre 1981), Padova, 1983, pp. 439-440.
[15] P. Barile, Democrazia e segreto, op. cit., p. 33.
[16] Per una recentissima e preziosa disamina sulle relazioni intercorrenti tra la libertà di informazione e le dinamiche del 'nuovo mondo di internet' si rinvia a G. Pitruzzella, La libertà di informazione nell'era di Internet, in Media Laws. Rivista di diritto dei media, n. 1/2018, pp. 1-28.
[17] A. Pace, Contenuto e oggetto della libertà di comunicazione, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione,voce articolo 13, Bologna, 1977, pp. 80-87.
[18] Più diffusamente, sul punto, G. Finocchiaro - F. Delfini (a cura di), Diritto dell'informatica, Torino, 2014.
[19] Per utili approfondimenti sul punto appare significativo il rinvio a P. Costanzo, Le nuove forme di comunicazione in rete: Internet, in R. Zaccaria (a cura di), Informazione e telecomunicazione, Padova, 1999. Più di recente si veda, ex multis, in dottrina (e senza, naturalmente, pretese alcune di esaustività) E. Gianfrancesco, Profili ricostruttivi della libertà e segretezza di corrispondenza, in Diritto e Società, n. 2/2008, pp. 219-249; C. Caruso, La libertà e la segretezza delle comunicazioni nell'ordinamento costituzionale, in Forum di Quaderni Costituzionali, n. 10/2013; P. Passaglia, Internet nella Costituzione italiana: considerazioni introduttive, in M. Nisticò - P. Passaglia (a cura di), Internet e Costituzione, Torino, 2014.
[20] P. Barile, Democrazia e segreto, in Quaderni costituzionali, n. 1/1987, pp. 31-32.
[21] G. Amato - A. Barbera, Manuale di diritto pubblico, Vol. III, Bologna, 1997, p. 19.
[22] P. Barile, Democrazia e segreto, in Quaderni costituzionali, n. 1/1987, p. 29.
[23] P. Barile, Democrazia e segreto, in Quaderni costituzionali, n. 1/1987, p. 29; si veda, altresì, quanto ricostruito sempre in P. Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984, pp. 61-62 ed anche p. 235 ss.
[24] G. Amato, L’ispezione politica del parlamento, Milano, 1968, p. 67; appare altresì prezioso il riferimento a quanto sempre brillantemente sviluppato in G. Amato, Un altro mondo è possibile?, Milano, 2006, p. 7 ss.; per una serrata critica ai sistemi di controllo in democrazia, visti come un chiaro indicatore di arretramento della cultura dei diritti e caratterizzati da un'enfasi sproporzionata e strumentale del bisogno di sicurezza, si veda S. Rodotà, Le due Torri, l’uso della forza e le nostre fragili democrazie, in La Repubblica, 13 dicembre 2003.
[25] Si veda, fra le tante, C. cost., sent. 22 dicembre 1988, n. 1130, par. 2 del Considerato in diritto. In quell’occasione la Consulta introdusse per la prima volta l’esplicito riferimento ad una “proporzionalità in senso stretto” nei rapporti tra diritti fondamentali. Per ulteriori sviluppi, più recenti, si confrontino anche C. cost., sent. 28 novembre 2012, n. 264 e, soprattutto, sent. 9 maggio 2013, n. 85. Quest’ultima, in particolare, concerneva un noto hard case, ovvero il celebre caso ILVA. Un giudizio in cui la Corte, a fronte dell’interruzione dei lavori delle acciaierie ILVA di Taranto, fu chiamata a doversi pronunciare sull’esigenza di preservare un’attività economica di grande impatto nella società italiana ed europea, in specie per l’enorme mole di posti di lavoro messi a rischio dagli effetti irreversibili dello spegnimento dell’alto forno. Ebbene, la Corte costituzionale puntualizzò il fatto che la tutela dei diritti fondamentali dovesse essere necessariamente “sistemica e non frazionata” (sul punto si veda il par. 9 del Considerato in diritto), sottolineando, segnatamente, che il Giudice delle leggi - nell’ambito della propria attività ermeneutica - sia chiamato a dover far uso, nel proprio giudizio di bilanciamento, dei fondamentali criteri di ragionevolezza e proporzionalità, secondo una valutazione in cui non potrebbe mai pressoché esserci quel totale sacrificio di un interesse a completo scapito dell’altro.
[26] C. Esposito, La libertà di manifestazione del pensiero nell'ordinamento italiano, Milano, 1958, p. 7 ss.
[27] C. Esposito, La libertà di manifestazione del pensiero nell'ordinamento italiano, Milano, 1958, p. 8.
[28] C. Esposito, La libertà di manifestazione del pensiero nell'ordinamento italiano, Milano, 1958, p. 12.
[29] C. Esposito, op. cit., p. 12.
[30] C. Esposito, op. cit., p. 27 ss.
[31] C. Esposito, La libertà di manifestazione del pensiero nell'ordinamento italiano, Milano, 1958, p. 36 ss.
[32] C. Esposito, La libertà di manifestazione del pensiero nell'ordinamento italiano, Milano, 1958, p. 35.
[33] Analoghe argomentazioni, mutatis mutandis, si pongono, per altro, alla base delle limitazioni al cosiddetto diritto di cronaca giornalistico. In dottrina, ex multis, A. Torrente - P. Schlesinger, Manuale di Diritto privato, Milano, 2017, pp. 141-142.
[34] Giova, in proposito, riportare il contenuto dell’art. 372 del codice penale. «Chiunque, deponendo come testimone innanzi all’Autorità giudiziaria, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali è interrogato, è punito con la reclusione da due a sei anni ».
Circa l’interpretazione del bene giuridico tutelato si veda, per tutti, G. Fiandaca - E. Musco, Diritto penale, Parte speciale, Volume I, Bologna, 2007, pp. 373-382.
[35] C. Esposito, La libertà di manifestazione del pensiero nell'ordinamento italiano, Milano, 1958, pp. 37-38.
[36] Sui caratteri propri dell’‘immedesimazione organica’ si vedano, ex multis, S. Battini, Il personale, in S. Cassese (a cura di), Istituzioni di Diritto Amministrativo, Milano, 2012, pp. 131-193; più di recente, S. Tarullo, Manuale di Diritto Amministrativo, Bologna, 2017, pp. 135-138.
[37] Sul rapporto d’ufficio, ex multis, S. Battini, Rapporto di ufficio e rapporto di servizio, in S. Cassese (a cura di), Istituzioni di Diritto Amministrativo, Milano, 2012, pp. 131-132.
[38] C. Esposito, La libertà di manifestazione del pensiero nell'ordinamento italiano, Milano, 1958, p. 39.
[39] C. Esposito, La libertà di manifestazione del pensiero nell'ordinamento italiano, Milano, 1958, p. 27 e p. 35 ss.
[40] Ex multis, in dottrina, A. Giuliani, Osservazioni sul diritto all'informazione, in Studi in memoria di Domenico Pettiti, II, Milano, 1973, pp. 713-726; V. Onida, I principi fondamentali della Costituzione, in G. Amato - A. Barbera (a cura di), Manuale di Diritto pubblico, Bologna, 1984, p. 119.
In particolare, secondo quanto autorevolmente e incisivamente ricostruito in dottrina, se il principio di pubblicità è funzionale - fra le altre cose - alla capacità di «sviluppare una propria visione del mondo, sulla base della quale assumere decisioni, formulare scelte [di partecipazione politica]» allora essa «costituisce [...] l'altra faccia della libertà di manifestazione del pensiero», G. Arena, Trasparenza, in S. Cassese (a cura di), Dizionario di Diritto Pubblico, Milano, 2006, p. 5949.
[41] G. Palozzi, La tutela processuale del segreto di Stato, Milano, 1983, pp. 89-91.
[42] Sulla nevralgica centralità che assume il «controllo del popolo sui governanti» nell'ordinamento democratico, nonché sulle pregnanti esigenze di visibilità (pubblicità) del potere che ne conseguono si confronti, particolarmente, G. U. Rescigno, La responsabilità politica, Milano, 1967, p. 132 ss.
[43] U. Scarpelli, La democrazia e il segreto, in Il segreto nella realtà giuridica italiana, Atti del Convegno nazionale (Roma, ottobre 1981), Padova, 1983, p. 625 nonché, specialmente, pp. 638-648.
[44] In particolare, sui principi supremi dell’ordinamento costituzionale - da intendersi quali peculiari limiti impliciti frapposti al potere di revisione costituzionale, in quanto vera e propria espressione di un nucleo intangibile della Carta costituzionale - si veda, ex multis, in dottrina G. Morbidelli - L. Pergoraro - A. Reposo - M. Volpi, Diritto Pubblico comparato, Torino, 2009, pp. 80-84. In giurisprudenza appare significativo richiamare una celeberrima pronuncia sul punto: C. cost., sent. 29 dicembre 1988, n. 1146, par. 2.1 del Considerato in diritto.
[45] Laddove - come può ben intuirsi - il riferimento ai ‘limiti’ viene qui utilizzato in modo del tutto ambiguo ed ambivalente: volendo alludere sia ai limiti (‘oggettivi’) costituzionalmente contemplati per l’esercizio della nostra forma di sovranità popolare di carattere rappresentativo (con la disciplina di pochi istituti di democrazia diretta, che, invero, nella maggioranza degli ordinamenti democratici restano, ancora, del tutto eccezionali e di carattere integrativo rispetto all’attività degli organi rappresentativi) che, dall’altra parte, a quel genere di ‘limiti’ (o, meglio, di limitazioni di natura fisiologica/patologica) che ben potremmo, quasi, definire come ‘soggettivamente’ e potenzialmente tipici di ogni democrazia rappresentativa. Sugli istituti di democrazia diretta si confronti, ex multis, G. Morbidelli - L. Pergoraro - A. Reposo - M. Volpi, Diritto Pubblico comparato, Torino, 2009, pp. 371-379.
Il dibattito recente in merito ai limiti nonché alle concrete problematiche sottese alla rappresentanza parlamentare è stato molto acceso e nutrito, si confrontino, ex multis, senza pretese di esaustività, A. Morelli, La democrazia rappresentativa. Declino di un modello?, Milano, 2015; L. Buffoni, La rappresentazione del Parlamento, in Osservatorio sulle fonti, n. 3/2016, pp. 1-17; M. Frau, L’attualità del parlamentarismo razionalizzato, in Nomos. Le attualità nel diritto, n. 3/2016; C. Meoli, Sulla crisi della rappresentanza parlamentare e il transfughismo, in Giustamm., n. 9/2016; P. Bilancia, Crisi nella democrazia rappresentativa e aperture a nuove istanze di partecipazione democratica, in Federalismi.it, n. 1/2017; G. Cavaggion, La democrazia rappresentativa e le sfide della società multiculturale, in Federalismi.it, n. 1/2017; L. Violante, Democrazie senza memoria, Torino, 2017; S. Cassese, La democrazia e i suoi limiti, Milano, 2017; I. Diamanti, Alla periferia della crisi. Il populismo e il disagio della democrazia rappresentativa, in Stato e mercato, n. 1/2018, pp. 117-126.
[46] Appare utile sul punto il rimando al recente contributo di M. G. Losano, Trasparenza e segreto: una convivenza difficile nello Stato democratico, in Diritto Pubblico, n. 3/2017, pp. 657-682.
[47] A. Mutti, Trasparenza e segretezza nei sistemi democratici, in Il Mulino, n. 2/2015, p. 347.
[48] Appare utile, sul punto, il rimando a quanto ricostruito in L. Buffoni, La rappresentazione del Parlamento, in Osservatorio sulle fonti, n. 3/2016, pp. 1-17.
[49] Ex multis, G. Bongiorno, Il divieto di pubblicare atti del processo penale: dalla tutela dei giurati alla tutela del segreto investigativo, in Foro it., n. 9/1995, pt. 2, pp. 525-532.
[50] M. Luciani, Il segreto di Stato nell’ordinamento nazionale, in AA. VV., Il segreto di Stato. Evoluzioni normative e giurisprudenziali, Quaderno di intelligence-Gnosis, novembre 2011, pp. 9-27.
[51] P. Silvestri, La trasparenza amministrativa ed il segreto di Stato: la regola e l’eccezione, in A. Torre (a cura di), Costituzioni e sicurezza dello Stato, Santarcangelo di Romagna, 2013, p. 1147.
[52] In dottrina è stato proprio efficacemente approfondito e studiato il carattere di "strumentalità" proprio della pubblicità, nonché, per converso, dell'opposta segretezza, si confrontino, ex multis, F. Merloni, Trasparenza delle Istituzioni e principio democratico, in F. Merloni (a cura di), La trasparenza amministrativa, Milano, 2008, p. 7 ss; E. Carloni, L'Amministrazione aperta. Regole, strumenti, limiti dell'open government, Rimini, 2014, p. 33 ss.
[53] Per degli utili approfondimenti sul punto appare significativo il rimandare a quanto preziosamente ricostruito in G. Pitruzzella, voce Segreto, I) Profili costituzionali, in Enciclopedia giuridica Treccani, Vol. XXXVIII, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1992, p. 1 ss; A. Morrone, voce Bilanciamento (giustizia costituzionale), in Enciclopedia del diritto, Annali, Vol. 2, tomo II, Milano, 2008, pp. 185-204; ancora più di recente si confronti altresì A. Morrone, Il bilanciamento nello Stato costituzionale. Teorie e prassi delle tecniche di giudizio nei conflitti tra diritti e interessi costituzionali, Torino, 2014.
[54] P. Barile, Democrazia e segreto, in Quaderni costituzionali, n. 1/1987, pp. 32-33; sul tema inerente alle interrelazioni del segreto investigativo con la connessa problematica della garanzia del diritto di libera informazione si confronti, ex multis, M. Chiavario, Diritto Processuale Penale, Torino, 2013, pp. 464-465.
[55] P. Barile, Democrazia e segreto, in Quaderni costituzionali, n. 1/1987, specialmente pp. 34-35.
[56] A. Anzon, VI) voce segreto d'ufficio – Dir. Amm., in Enciclopedia giuridica Treccani , Vol. XXVIII, Roma, 1992, pp. 1-2.
[57] A. Anzon, op. cit., pp. 1-2.
[58] A. Anzon, op. cit., p. 2.
[59] S. Cassese, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 2012, pp. 279-284.
[60] Più diffusamente sul tema si veda in dottrina, ex multis, S. Tarullo, Manuale di Diritto Amministrativo, Bologna, 2017, pp. 529-567.
[61] S. M. Cicconetti, Diritto Parlamentare, Torino, 2010, p. 113.
[62] S. M. Cicconetti, op. cit., p. 119.
[63] S.M. Cicconetti, op. cit., p. 218.
[64] P. Pisa, Il segreto di Stato. Profili penali, Milano, 1977, pp. 203-207.
[65] Per una più diffusa ricostruzione sulla tematica si veda, in maniera particolare, C. Mosca - G. Scandone - S. Gambacurta - M. Valentini, I Servizi di informazione e il segreto di Stato, Milano, 2008, p. 457.
[66] La giurisprudenza costituzionale in tema di segreto di Stato si è sostanzialmente sviluppata senza alcuna soluzione di continuità: dirimenti sono state anzitutto due risalenti decisioni - che hanno costituito la vera e propria pietra miliare per ogni successiva sentenza in materia - C. cost., sentt., 14 aprile 1976, n. 82 e 24 maggio 1977, n. 86; nel solco di queste si sono poste, più recentemente, il celebre caso Abu Omar (C. cost., sent., 3 aprile 2009, n. 106) e altre due ravvicinate, quanto rilevanti, decisioni, C. cost., sentt., 23 febbraio 2012, n. 40 e 13 febbraio 2014, n. 24.
[67] La letteratura in dottrina sul tema del segreto di Stato è davvero ampia per poter essere richiamata con completezza, sia consentito soltanto - e senza alcuna pretesa di esaustività - il rinvio a T. F. Giupponi, Le dimensioni costituzionali della sicurezza, Bologna, 2008; M. Luciani, Il segreto di Stato nell’ordinamento nazionale, in AA. VV., Il segreto di Stato. Evoluzioni normative e giurisprudenziali, Quaderno di intelligence-Gnosis, novembre 2011, pp. 9-25; A. Soi, L’intelligence italiana a sette anni dalla riforma, in Forum di Quaderni Costituzionali, n. 8/2014; E. Rinaldi, Arcana Imperii, il segreto di Stato nella forma di governo italiana, Napoli, 2016; A. Mitrotti, Brevi considerazioni sulla disciplina del segreto di Stato, in Osservatorio AIC, n. 2/2018 nonché, da ultimo, A. Mitrotti, Sulla controversa natura dell’atto appositivo del segreto di Stato: atto politico o formale provvedimento amministrativo?, in Astrid Rassegna, n. 8/2018.
[68] Si pensi, solo per un esempio, al menomato diritto di difesa potenzialmente esercitabile in giudizio (e tutelato in via generale ex artt. 24 e 113 Cost.) da parte del funzionario vincolato all’obbligo di segretezza.
[69] Salvo, naturalmente, le dovute eccezioni (a conferma della regola), posto che, ad esempio, per un fondamentale diritto di libertà costituzionalmente riconosciuto vige, all’opposto, il principio della pubblicità: trattasi, come sarà ben noto, del diritto di associarsi liberamente, ex art. 18 Cost., che non ammette, appunto, alcuna possibilità del suo esercizio segreto, vietando, così, l’esistenza di associazioni segrete nonché di quelle perseguenti, anche indirettamente, degli scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.