Studi
La responsabilità precontrattuale della pubblica Amministrazione nelle procedure ad evidenza pubblica
di Roberto Pusceddu
La responsabilità precontrattuale della pubblica Amministrazione
nelle procedure ad evidenza pubblica
di ROBERTO PUSCEDDU
Sommario: 0. Premessa. 1. La responsabilità c.d. pre-contrattuale. 2 L’applicabilità della responsabilità pre-contrattuale alle procedure di evidenza pubblica. 3. La configurazione della responsabilità pre-contrattuale: le fasi dell’evoluzione giurisprudenziale. 4. Considerazioni conclusive.
Nel presente contributo ci si propone di definire e sottoporre ad analisi il fenomeno della responsabilità c.d. pre-contrattuale nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica.
La tematica in esame rappresenta un evidente punto di contatto tra due macro-settori dell’ordinamento giuridico (il diritto privato, da una parte, ed il diritto pubblico, dall’altra) che si compenetrano reciprocamente e tale compenetrazione, come si avrà modo di osservare, pur non essendo priva di problematicità, è il segnale sintomatico di come le macrodistinzioni e le ripartizioni manualistiche abbiano assunto, ad oggi, una mera vera valenza classificatoria-statica sfumando e affievolendosi sul piano della dinamica del diritto.
La responsabilità precontrattuale della P.A. risente inevitabilmente delle riflessioni dei civilisti sull’omologo istituto vigente nel diritto privato.
È indubbio che la perfezione concettuale tipica del diritto privato “si impone anche negli altri settori perché fornisce un linguaggio formalizzato idoneo a organizzare razionalmente la conoscenza giuridica dei fenomeni. In altri termini, gli strumenti concettuali del diritto privato hanno costituito la base per elaborare anche quelli del diritto pubblico e amministrativo, nonostante la progressiva e sempre più intensa elaborazione di istituti speciali nell’ambito delle esperienze di diritto amministrativo”[1].
L’estensione delle regole generali sulla responsabilità civilistica al danno cagionato dalla pubblica amministrazione deve necessariamente tenere in dovuta considerazione il procedimento amministrativo, che in tempi odierni, è significativamente partecipato dal privato, al punto che la responsabilità della pubblica amministrazione pare, come si vedrà nelle pagine successive, sempre più riconducibile al modello della responsabilità da “contatto sociale”.
“Il «problema» dell’applicazione della norma di diritto civile allo Stato è uno dei punti nodali del rapporto tra diritto pubblico e diritto privato. Inevitabilmente la discussione si rivolge intorno all’applicabilità nei confronti della pubblica amministrazione della disciplina civilistica di svariati istituti: gestione di affari altrui; ingiustificato arricchimento; donazione; condizioni generali di contratto; responsabilità precontrattuale”[2].
Quest’ultimo aspetto sarà l’oggetto d’indagine del presente contributo.
Inquadrata sul piano privatistico la resposabilità pre-contrattuale, ci si soffermerà sulla configurazione di tale ipotesi di responsabilità nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica al fine di poterne tratteggiare la fisionomia da un punto di vista puramente statico e poterne cogliere gli aspetti rilevanti nell’ambito propriamente dinamico-procedurale anche e, soprattutto, alla luce del quadro giurisprudenziale delineatosi dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 18/04/2016 n. 50 (Codice dei contratti pubblici).
- La responsabilità c.d. pre-contrattuale.
- Profili definitori e inquadramento privatistico.
Al fine di un adeguato inquadramento del fenomeno in esame, in primo luogo, si impone una preliminare, necessaria e indispensabile definizione della responsabilità pre-contrattuale così come nell’ordinamento giuridico italiano è concepita.
È opportuno delineare i tratti morfologici dell’istituto per poi accertare come lo schema di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c. sia compatibile con una responsabilità della pubblica amministrazione nell’ambito del procedimento di formazione dei contratti ad evidenza pubblica.
È necessario verificare se possa configurarsi una responsabilità precontrattuale a fronte di un atto legittimo dell’amministrazione nel corso di una fase precedente all’aggiudicazione.
La Pubblica Amministrazione agisce sia con strumenti amministrativi in senso stretto, quale esito dell’attività procedimentale disciplinata da norme di diritto pubblico, sia con strumenti di diritto privato.
È proprio in quest’ultimo caso che si pone la questione se possano trovare applicazione nei confronti del soggetto pubblico le previsione di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c[3].
Così l’autrice: “Secondo il diritto comune, la responsabilità precontrattuale ricorre qualora, nelle fase delle trattative che precedono la stipula del contratto, le parti agiscano contravvenendo al principio di buona fede (art. 1337 c.c.), ponendo in essere trattative non serie ovvero recedendo dalle stesse senza giustificato motivo”[4].
Con riferimento alla pubblica amministrazione, nessuno ormai nutre dubbi sull’astratta configurabilità di una sua culpa in contraendo nell’esercizio dell’attività contrattuale in quanto i pubblici poteri sono tenuti non solo al rispetto dei principi costituzionali di imparzialità, buona amministrazione e buon andamento (art. 97 Cost.) nell’espletamento della propria azione, ma anche all’osservanza della clausola di buona gede nei rapporti instaurati con il privato, al fine di garantirne le situazioni giuridiche coinvolte e tutelarne il legittimo affidamento.
Dottrina e giurisprudenza più risalenti negavano la configurabilità di una responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, sulla base di diversi argomenti:
- a) presunzione di legittimità degli atti della pubblica amministrazione;
- b) insindacabilità del comportamento discrezionale del soggetto pubblico durante lo
svolgimento delle trattative;
- c) inconcepibilità di un affidamento incolpevole del privato sulla conclusione del contratto, non essendo pariteticità tra le parti, bensì sussistenza di un potere discrezionale di valutazione in capo ai pubblici poteri;
- d) esistenza di un sistema di controlli cui è sottoposta l’attività negoziale dei soggetti pubblici.[5]
Si inizia ad ammettere la configurabilità di una responsabilità precontrattuale in capo alla pubblica amministrazione nel momento in cui si supera la “pseudo problematica” della discrezionalità amministrativa. L’esercizio di poteri discrezionali non esclude il dovere di agire secondo buona fede, trovando anzi in quest’ultima un limite invalicabile. Così l’autore:[6]“Ciò che si chiede al giudice non è di valutare se il soggetto si sia condotto da corretto amministratore, ma se si sia condotto da corretto contraente, non di accertare se abbia bene o male apprezzato il pubblico bisogno ma se, […] si sia comportato in modo da violare il principio posto nell’art. 1337 c.c.”[7].
In materia contrattuale, la giurisprudenza ha esteso l’ammissione, nei confronti degli enti pubblici, dell’istituto della responsabilità precontrattuale per violazione dell’art. 1337 c.c. (dovere di buona fede nelle trattative e nella formazione del contratto, a prescindere dalla prova dell’eventuale diritto all’aggiudicazione[8]).
Avverso questa estensione veniva affermato in giurisprudenza che: “il sindacato sulle modalità di condizione delle trattative e sulla condotta della pubblica amministrazione fino al momento dell’approvazione avrebbe costituito una indebita ingerenza nell’esercizio dei poteri discrezionali, senza considerare che nell’ambito dei procedimenti ad evidenza pubblica difetterebbero le condizioni per la configurabilità di trattative tra due soggetti e di un diritto soggettivo reciproco all’osservanza delle regole di buona fede”[9].[10]
Il principio di buona fede è posto “a presidio non solo dell’aspettativa della conclusione del contratto ma, anche, e prima ancora, della correttezza e lealtà delle trattative poiché costituisce la misura dei poteri legittimamente esercitabili dalle parti, sia che operi come principio “atipico”, sia che risulti specificata da obblighi di protezione, non solo nei rapporti tra individui ma anche con organizzazioni complesse, quali la pubblica amministrazione, che operano secondo modalità predeterminate”[11].
Ad avviso della più recente giurisprudenza amministrativa, in seno ad un procedimento ad evidenza pubblica può configurarsi, accanto ad una responsabilità civile per lesione dell’interesse legittimo, derivante dall’illegittimità degli atti o dei provvedimento relativi al procedimento amministrativo di scelta del contreaente, una responsabilità di tipo pre-contrattuale per violazione di norme imperative che pongono “regole di condotta”, da osservarsi durante l’intero svolgimento della procedura di evidenza pubblica: le predette regole ‘di validità’ e ‘di condotta’ operano in quest’ottica su piani distinti, non essendo necessaria la violazione delle regole di validità per aversi responsabilità precontrattuale, mentre l’inosservanza delle regole di condotta può non determinare l’invalidità delle procedure di affidamento[12].
La responsabilità pre-contrattuale sorge laddove si verifichino comportamenti contrari a buona fede posti in essere da una delle parti nel corso della trattativa: il bene protetto è la libertà contrattuale della controparte: “L’applicabilità dei principi e delle regole privatisitche sulla responsabilità precontrattuale (artt. 1337 e 1338 c.c.) al rapporto tra pubblica amministrazione e privato costituisce ius receptum in giurisprudenza. Tale esito si colloca nell’ampio ed indagato processo di progressiva erosione dell’area di privilegio della p.a. e di attrazione di quest’ultima alla disciplina di diritto comune, nei limiti della compatibilità: in assenza di disciplina speciale ed in coerenza con l’istanza di uguaglianza, la soluzione viene ricerca nel diritto comune, con gli adattamenti necessari per rispettare la peculiarità dell’agire contrattuale della p.a.”.[13]
La norma di riferimento è dettata all’art. 1337 c.c. (rubricata Trattative e presponsabilità precontrattuale) che così dispone: “Le parti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede”.
Tale disposizione è concepita come “clausola aperta” in quanto in essa può essere sussunto qualunque comportamento, contrario a buona fede, lesivo dell’altrui libertà contrattuale.
Occorre, innanzitutto, domandarsi quale sia la ratio e quale sia l’ambito di applicazione di tale norma.
La ratio, sottesa alla fattispecie dell’illecito precontrattuale, consiste nella tutela del legittimo affidamento ingenerato nella parte dalle intraprese trattative, finalizzate alla stipula del contratto, e frustrato dalla condotta scorretta delll’altro contraente[14].
L’ambito di applicazione dell’art. 1337 c.c. è delimitato dalla nozione di «trattative» (termine che si ritrova, come poc’anzi esposto, nella rubrica della stessa norma), internamente, e dalla conclusione del contratto, esternamente; con la stipula del contratto si apre, normalmente, l’area della responsabilità contrattuale: “La responsabilità precontrattuale viene talvolta riferita alle trattative, talaltra alla formazione del contratto: le prime potrebbero essere descritte, in negativo, come inerenti ad una fase anteriore a quella della formazione durante la quale le parti si limitano a valutare l’opportunità della stipulazione del contratto, senza ancora porre in essere alcuni di quegli atti di proposta e accettazione che integrano il vero e proprio processo formativo”[15].
Benchè l’art. 1337 c.c. si configuri come tipica clausola generale, stante il rinvio esplicito operato al parametro della buona fede - intesa in senso oggettivo - (l’art. 1175 c.c. a riguardo così dispone: “Il debitore ed il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza”). “Nel caso dei contratti ad evidenza pubblica, diversamente dal caso in cui le trattative si svolgano tra soggetti privati, il procedimento di formazione del contratto non è aperto, ma è, nella normalità dei casi, rigorosamente scandito dalla legge. Ne deriva che la formazione del contratto, nel raffronto con la disicplina codicistica, segue modalità non libere ma vincolate, in misura tale che il relativo procedimento, diversamente da quello del diritto comune, è improntato alla tipicità”[16].
1.2. La natura giuridica della responsabilità pre-contrattuale: l’evoluzione giurisprudenziale.
Nel presente paragrafo si intende definire la natura della responsabilità pre-contrattuale.
L’accertamento della natura ed il conseguente inquadramento giuridico della responsabilità precontrattuale non concerne una questione di mera classificazione teorica o di impostazione dottrinale (o di sistematica giuridica di concetti), perché la distinzione tra le attuali due principali tipologie di responsabilità ha rilevanti effetti giuridici e profonde ripercussioni pratiche[17]. Occorre, in primo luogo, porre in evidenza che, con riferimento alla natura della responsabilità pre-contrattuale, si fronteggiano due orientamenti opposti[18].Si precisa che i suddetti orientamenti – che si avrà modo di sviluppare a breve – si fondano sulla diversa risposta alla domanda relativa al se “l’inosservanza del dovere di buona fede, intesa in senso oggettivo, si inquadri in un rapporto giuridico o sia da ricondursi a quel generale dovere del neminem laedere che si sostanzia in un obbligo di rispetto dell’altrui sfera di interessi”[19].
Secondo la tesi più accreditata dalla dottrina e accolta dalla giurisprudenza prevalente, il fenomeno in esame configura un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., poichè la violazione del dovere di buona fede nelle trattative, corrispondente alla lesione della libertà negoziale altrui, è riconducibile alla lesione del dovere generale del neminem laedere.
Non è, infatti, ravvisabile, per una giurisprudenza consolidata e risalente, una natura contrattuale per la responsabilità in questione, poiché la stessa “sorge prima che un contratto venga ad esistenza” (così Cass. n. 1650/1964), ma, come affermato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, si individua: “una forma di responsabilità extracontrattuale che si collega alla violazione della regola di condotta stabilita a tutela del corretto svolgimento dell'iter di formazione del contratto”[20].
Per contro, altra parte della dottrina ritiene che la natura della responsabilità in esame sia contrattuale, sulla base del dato letterale di cui all'art. 1337 c.c. che usa l'espressione “parte” facendo esplicito riferimento alla violazione di un rapporto obbligatorio (ex art. 1173 c.c.) tra soggetti determinati.
Secondo dottrina[21] il riferimento letterale alle “parti” di cui all’art. 1337 c.c. è suscettibile di essere interpretato estensivamente, avendo il legislatore utilizzato detto termine in senso generico, senza distinzione né specificazione alcuna: pertanto, è tenuto ad agire secondo buona fede oggettiva qualunque soggetto di diritti, si tratti di persona fisica o giuridica - privata o pubblica - nonché i terzi che hanno comunque partecipato alle trattative senza poi assumere le vesti di parti sostanziali dello stipulato contratto.
Secondo tale tesi, pertanto, si verte in tema di responsabilità per inadempimento dell’obbligazione di comportarsi secondo buona fede nel corso delle trattative, la cui fonte (dell’obbligazione, si intende) sarebbe da ricercare non nella generica violazione del neminem laedere bensì nella violazione del vincolo che si instaura fra le parti a seguito del c.d. “contatto sociale” derivante dalle trattative instaurate.
Un’ultima tesi, infine, sostenuta da una dottrina minoritaria e trascurata dalla giurisprudenza, ponendo l’accento sulla natura atipica della responsabilità precontrattuale, ritiene che tale figura costituisca un’autonoma forma di responsabilità, dando vita ad un tertium genus.
L’orientamento della Corte di Cassazione è stato per lungo tempo ancorato alla tradizionale concezione della responsabilità precontrattuale come responsabilità extracontrattuale, con la conseguenza che la prova dell’esistenza e dell’ammontare del danno, nonché del dolo o della colpa del danneggiante, erano a carico del danneggiato, con il termine quinquiennale di prescrizione del diritto azionato[22].
I giudici della Suprema Corte, tuttavia, ritengono che i tempi siano maturi per discostarsi dall’orientamento classico, che: “non ha consentito di dare il giusto rilievo, sul piano giuridico, alla peculiarità di talune situazioni non inquadrabili né nel torto né nel contratto, e - tuttavia - singolarmente assimilabili più alla seconda fattispecie, che non alla prima”.
Con un interessante excursus storico-giuridico i giudici di legittimità evidenziano che nel ‘900 si è definitivamente consolidata la tesi di una forma di responsabilità che si colloca “ai confini tra contratto e torto”, in quanto radicata in un “contatto sociale” tra le parti che, in quanto dà adito ad un reciproco affidamento dei contraenti, è “qualificato” dall’obbligo di “buona fede” e dai correlati “obblighi di informazione e di protezione”.
In tali circostanze, il rapporto obbligatorio si connota non da obblighi di prestazione, come accade nelle obbligazioni che trovano la loro causa in un contratto, bensì da obblighi di protezione, egualmente riconducibili, sebbene manchi un atto negoziale, ad una responsabilità diversa da quella aquiliana e prossima a quella contrattuale.
Da queste considerazioni, che la Corte evidenzia essere state ampiamente recepite dalla giurisprudenza, discende che: “l’elemento qualificante di quella che può ormai denominarsi “culpa in contraendo” solo di nome, non è più la colpa, bensì la violazione della buona fede che, sulla base dell’affidamento, fa sorgere obblighi di protezione reciproca tra le parti”.
Se ne ricava che la responsabilità per il danno cagionato da una parte all’altra nel corso delle trattative, in quanto ha la sua derivazione nella violazione di specifici obblighi (buona fede, protezione, informazione) precedenti quelli che deriveranno dal contratto, se ed allorquando verrà concluso, e non del generico dovere del neminem laedere, non può che essere qualificata come responsabilità contrattuale, con ogni conseguenza sotto il profilo del termine prescrizionale e dell’ onere della prova.
Di recente, i Giudici della Cassazione Civile[23] si sono pronunciati sulla vexata quaestio concernente la natura della responsabilità precontrattuale.
Com’è ben noto, s’intende per ‘responsabilità precontrattuale’ quella lesione della libertà negoziale altrui che, cagionata nel corso delle trattative per la conclusione di un contratto, sia dovuta a una condotta dolosa o colposa, ovvero nella mancata osservanza del precetto della buona fede. Una tale ipotesi di responsabilità, che vede negli art. 1337 c.c. e 1338 c.c. il suo fondamento normativo, pur collocandosi in una fase antecedente alla conclusione del contratto, coinvolge comunque soggetti che non è possibile ritenere estranei tra loro poiché sono dovuti per forza entrare in contatto nel corso delle trattative.
Con riferimento alla specifica ipotesi di responsabilità pre-contrattuale indagata nella presente tesi, giova richiamare la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione[24], che involge importanti questioni afferenti alla responsabilità precontrattuale della P.A. emergente in sede di affidamento pubblico.
In sintesi, si ritiene opportuno tratteggiare gli aspetti essenziali del caso in esame per poter coerentemente porre in luce il principio di diritto cui è pervenuta la Suprema Corte. La vicenda de qua trae origine dalla sospensione di un contratto di appalto per la costruzione di opere da parte dell’Amministrazione aggiudicatrice a causa del diniego di registrazione dello stesso opposto dalla Corte dei Conti.
Mentre, dunque, l’Amministrazione riteneva che il mancato rilascio del visto comportasse l’invalidità del contratto nei propri confronti, dall’altro, l’aggiudicataria, dal canto suo, rilevava la sussistenza di una responsabilità precontrattuale a carico dell’Amministrazione per avere tenuto un comportamento contrario ai principi di buona fede e correttezza.
Tra l’altro, l’affidamento incolpevole dell’impresa nella positiva conclusione del contratto era avvalorato dalla già intervenuta consegna dei lavori alla stessa per ragioni di urgenza. In un contesto così delineatosi, l’impresa ricorreva, chiedendo, unitamente ad altre voci, la risoluzione del contratto di appalto per inadempimento dell’Amministrazione e il risarcimento dei danni patiti.
Orbene, nei primi due gradi di giudizio, tali richieste non trovavano accoglimento e, al riguardo, la Corte di Appello di Roma deduceva che la mancata registrazione del decreto avesse privato il contratto di appalto della relativa esecutorietà. Una circostanza esterna, a detta del giudice di seconde cure, indipendente dall’attività dell’Amministrazione che, invece, aveva svolto regolarmente l’intero iter procedimentale.
Ciò premesso, in punto di diritto, il corpo della sentenza in esame si snoda attraverso l’analisi di due questioni principali ed essenziali per addivenire alla corretta soluzione della controversia che si identificano, l’una nell’esame dei confini della responsabilità precontrattuale della P.A. per violazione dell’art. 1337 e l’altra nella valutazione della possibilità di escludere la culpa in contrahendo dell’Amministrazione per la conoscenza della causa di invalidità del contratto da parte dell’impresa ex art. 1338 c.c.
Per quanto attiene al primo aspetto, il principio della tutela dell’affidamento rileva, secondo la giurisprudenza, in tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica, a partire dall’approvazione della determina a contrarre e fino al momento dell’aggiudicazione definitiva. La tutela dell’affidamento nelle pubbliche gare assume, dunque, connotati differenti in ragione della fase in cui si trova la gara.
Tale affidamento sarà minimo nel caso della determinazione a contrarre e si accentuerà a seguito dell’emanazione del bando consolidandosi per effetto dell’aggiudicazione definitiva. Con la stipula del contratto di appalto, invece, questo sarà soggetto alle specifiche norme disciplinanti l’esecuzione del contratto.
In tale ottica, si riconosce ab origine una posizione di legittimo affidamento, ancor prima dell’aggiudicazione, che può discendere anche dalla stessa mancata conclusione del procedimento di gara.
Delineati i confini dell’aspettativa qualificata che nutre l’impresa partecipante alla selezione pubblica, la tutela delle sue ragioni passa per il comportamento diligente, corretto e leale dell’Amministrazione banditrice, la cui violazione integrerebbe un’ipotesi di responsabilità precontrattuale.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che la responsabilità precontrattuale non può definirsi responsabilità da provvedimento ma da comportamento e presuppone la violazione dei doveri di correttezza e buona fede nella fase delle trattative e della formazione del contratto, ben prima, dunque, della definitiva determinazione del contraente. Diversi sono i casi palesatesi dinanzi alla Corte di Cassazione che confermano tale ultima accezione.
Si pensi all’omessa redazione del contratti formale senza giustificazione, oppure allorquando, stipulato il contratto, questo non venga trasmessa all’autorità di controllo.
Soffermando l’attenzione sull’ultima ipotesi esplicitata, indubbiamente affine alla questione de qua, la giurisprudenza in più occasioni[25] ha statuito che laddove l’Amministrazione abbia preteso l’adempimento della prestazione prima dell’approvazione del contratto da parte dell’autorità di controllo, questo comportamento è suscettibile di dare luogo a responsabilità precontrattuale per aver violato l’affidamento ingeneratosi nell’altra parte. Sulla scorta di tale orientamento, la sesta sezione della Corte di Cassazione ha pronunciato il seguente principio di diritto: “nel caso in cui, all’esito della procedura di evidenza pubblica, sia stipulato il contratto la cui efficacia sia condizionata all’approvazione da parte dell’autorità di controllo (nella specie, alla registrazione del decreto di approvazione da parte della Corte dei Conti), l’Amministrazione committente ha l’obbligo di comportarsi secondo buona fede e correttezza (artt. 1337 e 1338 c.c., cioè di tenere informato l’altro contraente delle vicende attinenti al procedimento di controllo e di fare in modo che non subisca pregiudizi connessi agli sviluppi e all’esito del medesimo procedimento, essendo in condizioni di farlo, in ragione del suo status professionale nel quale è implicita una posizione di garanzia nei confronti di coloro che si rapportano ad essa; l’Amministrazione è quindi responsabile qualora, avendo preteso l’anticipata esecuzione della prestazione, abbia accettato il rischio del successivo mancato avveramento della condizione di efficacia del contratto a causa della mancata registrazione del decreto di approvazione, in tal modo frustrando il legittimo e ragionevole affidamento del privato nella eseguibilità del contratto”.
Tuttavia, non è possibile aprioristicamente determinare quali siano le “norme generali da presumersi note alla generalità dei consociati”[26] ma è necessario che il giudice indaghi case by case sulla diligenza e, quindi, sulla scusabilità dell’affidamento del contraente avendo riguardo non solo alla conoscibilità astratta della norma ma anche dell’esistenza di interpretazioni univoche della giurisprudenza.
Difatti, la stessa conoscibilità astratta della previsione legislativa non dimostra necessariamente che il privato sia in colpa, specialmente quando questo contragga con un’Amministrazione che non solo rimanga silente, ma improvvisamente conduca il procedimento sino alla stipulazione di un contratto destinato a rimanere efficace.
Dalle siffatte conclusioni, la Corte deriva e pronuncia il secondo principio di diritto che in questi termini esprime: “accertare se un contraente abbia confidato colpevolmente o incolpevolmente nella validità ed efficacia del contratto (concluso o da concludere) con la Pubblica Amministrazione – al fine di escludere o affermare la responsabilità di quest’ultima […] è un’attività propria del giudice di merito il quale deve verificare in concreto se la norma (di relazione) violata sia conosciuta o facilmente conoscibile da qualunque cittadino mediamente avveduto (e sia quindi causa di invalidità autoevidente), delle circostanze di fatto cui la legge ricollega l’invalidità); in presenza di norme (di azione) l’Amministrazione è tenuta istituzionalmente a conoscere ed applicare in modo professionale (come, ad esempio, quelle che disciplinano il procedimento di scelta del contraente), essa ha l’obbligo di informare il privato delle circostanze che potrebbero determinare la invalidità o inefficacia e, comunque, incidere negativamente sulla eseguibilità del contratto, pena la propria responsabilità per culpa in contraendo, salva la possibilità di dimostrare in concreto che l’affidamento del contraente sia irragionevole, in presenza di fatti e circostanze specifiche”.
Il parametro della buona fede viene in rilievo – come sottolinea il Consiglio di Stato[27], in materia di revoca degli atti di gara. Detta pronuncia affronta il tema delle condizioni di legittimità dell’esercizio del potere di revoca. Nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto legittima la revoca degli atti di garta decisa dall’amministrazione sul presupposto che per una diversa valutazione la gara orginariamente bandita non risultava più congruente all’interesse pubblico da perseguire. Ne ha conseguito il diritto dell’impresa partecipante al risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale.
Viene, dunque, suggerito uno spunto di riflessione con riferimento al rapporto tra la discrezionalità tipica dei poteri di autotutela ed i principi comunitari in materia di attività ammnistrativa di cui all’art. 1 L. 241/1990, tra cui si menziona il dovere di diligenza.
Nel caso de quo, il Consiglio di Stato ha precisato che in linea generale l’azione ammnistrativa non è risultata compiutamente coerente con le esigenze di programmazione e di continuità dell’attività corrispondente e che, in particolare, l’amministrazione è giunta a disporre di informazioni idonee a configurare la fondata ipotesi della revoca della gara in una fase del procedimento antecedente a quella in cui la relativa informazione è stata poi resa nota, con il provvedimento di revoca, risultando l’adempimento tardivo e, quindi, dannoso per i partecipanti alla gara.
Più in generale, i doveri di correttezza e di buona fede si traducono nell’obbligo di rendere al partecipante alla gara in modo tempestivo le informazioni necessarie a salvaguardare la sua posizione su eventi, o sulla rinnovata valutazione dell’interesse pubblico alla gara, che possano far ipotizzare fondatamente la revoca dei relativi atti, in modo da impedire che si consolidi un pericoloso affidamento sulla incerta conclusione del procedimento[28].
Costituisce, peraltro, violazione del canone di correttezza il fatto che l’amministrazione, non appena venuta a conoscenza della nuova circostanza che può legittimare la revoca, non si sia posta il problema degli affidamenti creati nei concorrenti e non abbia proceduto, quanto meno, all’immediata motivata sospensione degli atti di gara[29].
Si è precisato che al dovere di correttezza corrisponde l’onere di sopportare le conseguenze sfavorevoli del proprio comportamento, che abbia ingenerato nel cittadino incolpevole un legittimo affidamento[30].
Sulla valutazione del comportamento dell’amministrazione è necessario soffermarsi seppur in maniera succinta. La giurisprudenza ha precisato che la mancanza di ogni vigilanza e coordinamento sugli impegni economici che l’amministrazione veniva assumendo, quando la procedura di evidenza pubblica risultava già avviata e addirittura pervenuta all’aggiudicazione, ha fatto sì che, con grave delusione delle aspettative della parte privata, si rendesse inevitabile la rimozione di tutti gli atti della gara pubblicistica compresa l’aggiudicazione. Ciò integra un comportamento tanto più disattento ove si consideri che gli affidamenti radicatisi nell’impresa si sono lasciati perdurare al di là del tempo strettamente indispensabile non offrendosi ad horas (come la situazione avrebbe imposto) notizie sulla revoca dell’aggiudicazione. In altri termini, simili condotte non rilevano ai fini della verifica della legittimità della revoca ma soltanto della violazione del dovere di buona fede e della conseguente responsabilità precontrattuale. Si imporrebbe, invero, un’interpretazione del potere di revoca più attenta ai principi dell’ordinamento comunitario: valutare simili condotte ai fini della legittimità stessa del provvedimento attraverso il filtro del dovere di diligenza[31].
Si segnala, da ultimo, una recente pronuncia del Consiglio di Stato che si afferma sulla natura della responsabilità precontrattuale della P.A. quale responsabilità non da provvedimento ma da comportamento: “la responsabilità precontrattuale della p.a. non è responsabilità da provvedimento, ma da comportamento, e presuppone la violazione dei doveri di correttezza e buona fede nella fase delle trattative, in quanto l’art. 1337 c.c. pone in capo alla p.a. obblighi analoghi a quelli che gravano su un comune soggetto nel corso delle trattative precontrattuali.
[Peraltro, come si avrà modo di porre in evidenza nei successivi paragrafi] In caso di responsabilità precontrattuale spetta il solo interesse negativo, essendosi verificata la lesione dell’interesse giuridico al corretto svolgimento delle trattaive (non alla lesione del contratto); il dnano risarcibile è unicamente quello consistente nella perdita derivata dall’aver fatto affidamento nella conclusione del contratto e nei mancati guadagni verificatisi in conseguenza delle altre occasioni contrattuali perdute [vedasi il concetto di chance che verrà approfondito nel proseguo del presente elaborato]”.
Sulla natura della responsabilità precontrattuale giova richiamare la recente pronuncia del Consiglio di Stato[32], secondo cui: “la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, per violazione del dovere di lealtà e di correttezza, va esclusa in presenza di una revoca disposta una decina di giorni dopo l’atto revocato e motivata con sopravvenienze legislative e istituzionali che impedivano l’assunzione di impegni finanziari con la durata prevista”[33]; “per configurare responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione aggiudicatrice occorre che la gara sia giunta ad uno stadio tale da avere ingenerato nel concorrente un affidamento consolidato in ordine alla favorevole conclusione della procedura”.
Con riferimento alla natura della responsabilità precontrattuale della P.A. ed, in particolare, alle conseguenze in ordine alla individuazione del termine di prescrizione dell’azione risarcitoria[34], “la responsabilità precontrattuale, ai sensi degli art. 1337 e 1338 c.c., va inquadrata nella responsabilità di tipo contrattuale da "contatto sociale qualificato", inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni, ai sensi dell'art. 1173 c.c. e dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi dell'art. 1174 c.c., bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, ai sensi degli art. 1175 e 1375 c.c., con conseguente applicabilità del termine decennale di prescrizione ex art. 2946 c.c.”.
1.3. L’elemento soggettivo.
Nell’ambito di un inquadramento statico della fattispecie in esame, si impone un’analisi dell’elemento soggettivo che debba o meno sussistere al fine della configurabilità della responsabilità pre-contrattuale sottoposta ad esame. Gli obblighi di correttezza reciproca che si impongono alle amministrazioni e ai privati sembrano declinarsi per la pubblica amministrazione anche nella diligenza e professionalità nell’adempimento delle relative funzioni, anche per evitare danni ai privati che con essa instaurano relazioni giuridiche.
La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione aveva trovato scarsa applicazione nella giurisprudenza civile ed i danni cagionati dalla parte pubblica nell’attività contrattuale avevano trovato qualificazioni giuridiche differenti e forme di tutela effettiva al di fuori della disciplina sulla responsabilità e del correlato giudizio di risarcimento, tradizionalmente affidato al giudice ordinario.
Con riferimento all’elemento soggettivo, tradizionalmente la colpa[35] dell’amministrazione è considerata elemento costitutivo della responsabilità civile.
Nel corso del tempo, la necessità di individuare canoni valutativi dell’elemento soggettivo riferibile ad una struttura organizzata ha reso inevitabile abbandonare i parametri tradizionalmente impiegati nell’accertamento dell’elemento soggettivo in capo alle persone fisiche individuando una nozione di colpa distinta da quella del funzionario agente e autonoma rispetto all’illegittimità dell’atto o alla non conformità o correttezza del comportamento dell’amministrazione e che permettesse di non rendere eccessivamente gravoso per il danneggiato fornire la prova del requisito soggettivo, in mancanza del quale non sarebbe stato possibile conseguire la tutela risarcitoria[36].
Tuttavia, “pare essere emersa una oggettivazione degli elementi che concorrono a definire la nozione di colpa dell’amministrazione. L’accertamento della colpa sembra sovrapporsi a quello dell’imputabilità o correttezza della condotta, con inevitabili implicazioni in merito alla qualificazione della responsabilità dell’amministrazione come da inadempimento o contrattuale in quanto configurabile nonostante la prova della diligenza (non colpa) del debitore”[37].
Successivamente, si è ritenuto che, ai fini dell’accertamento dell’elemento soggettivo, allo scopo di limitarne la configurabilità, fosse necessaria una più penetrante indagine estesa alla valutazione di un quid pluris rispetto all’illegittimità dell’atto, ossia la dimostrazione che l’adozione e l’esecuzione del provvedimento illegittimo è avvenuta in violazione delle norme di imparzialità, correttezza e buona amministrazione intesi come limiti esterni alla discrezionalità amministrativa.
Si osserva che l’illegittimità è riferita all’atto impugnato e dimostratata mediante l’impiego di mezzi di prova (per lo più) documentali, il giudizio sull’elemento soggettivo è un giudizio sul comportamento complessivo della p.a. ed ha un oggetto più esteso del giudizio di legittimità.
Si suggerisce di distinguere tra un profilo oggettivo della colpa riferibile alla violazione di norme ed un profilo soggettivo ricavabile dalla valutazione delle modalità complessive della condotta amministrativa, anche in applicazione dei principi di diritto sanciti dalla giurisprudenza europea[38].
Le pronunce dei giudici nazionali[39] ai fini della valutazione della colpa, prendono in considerazione il comportamento complessivo della p.a. e valutano la gravità e il carattere manifesto della violazione in relazione al grado di discrezionalità riconosciuta all’amministrazione (eventualmente consumata dalla definizione della disciplina di gara), ai precedenti giurisprudenziali, all’apporto eventualmente fornito dai privati nel procedimento e alle circostanze del caso concreto in cui la violazione è intervenuta: “È stato osservato che subordinare l’accertamento della colpa alla dimostrazione della gravità della violazione parrebbe attribuire rilevanza esclusivamente alla colpa grave, in assenza di base normativa, nonchè riferire la colpa alla difformità dai parametri normativi anzichè al processo generativo dell’atto, in particolare all’attitudine di esso a pregiudicare gli affidamenti dei privati, attribuendo alla responsabilità funzione prevalentemente sanzionatoria, invece che riparatoria, a tutela dell’interesse leso del danneggiato mediante l’integrale riparazione del pregiudizio subito. Nell’intento di ovviare a questi inconveniente, parte degli interpreti qualifica l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della sussistenza dell’elemento soggettivo. Il fondamento normativo della presunzione di colpa è individuato nella disciplina in materia di prove ovvero in materia di inadempimento contrattuale, a seconda che la responsabilità dell’aministrazione sia qualificata, rispettivamente, come extracontrattuale o contrattuale”[40].
Così delineato il profilo c.d. soggettivo concernente la responsabilità precontrattuale di cui si tratta, nel successivo paragrafo ci si soffermerà sull’aspetto meramente oggettivo riguardante il c.d. danno risarcibile.
1.4. Il danno risarcibile.
Il profilo del c.d. danno risarcibile è questione, oggetto di dibattito dottrinale-giurisprudenziale, che merita d’essere affrontata, seppur succintamente, con riferimento all’ipotesi di configurazione di una responsabilità pre-contrattuale.
L’accertamento degli elementi costitutivi di fattispecie fanno si che sorga la responsabilità precontrattuale e si impone di prendere in considerazione – necessariamente- anche la prova del danno. “La giurisprudenza dominante è solita distinguere: se il pregiudizio è causato dalla violazione delle regole della procedura di gara, il danno da risarcire è parametrato sull’utile che sarebbe stato ricavato dal contratto; se, invece, è causato dalla violazione delle regole di correttezza e buona fede (art. 1337 c.c.) – ipotesi che si configura generalmente nella fase successiva all’aggiudicazione – si tratta di responsabilità precontrattuale ed il danno da risarcire è riferito – come si avrà modo di osservare – all’interesse negativo”.[41]
La responsabilità precontrattuale ha luogo, per lo più, quando l’amministrazione revoca gli atti di gara o, comunque, non porta a compimento la procedura, in seguito al mutamento del programma originario o a causa di difficoltà finanziarie, sempre che nella condotta dell’Amministrazione sia ravvisabile l’inosservanza degli obblighi di correttezza.
In giurisprudenza talora si è assistito ad improprie limitazioni del risarcimento del danno precontrattuale al solo danno c.d. emergente.
Tali limitazioni è forse riconducibile alla difficoltà di provare l’ammontare del danno non solo sotto il profilo del danno emergente ma, soprattutto, per quanto riguarda il lucro cessante, sicché si è spesso proceduto alla quantificazione della somma dovuta mediante l’utilizzo del criterio equitativo[42].
Nella giurisprudenza del giudice amministrativo la prova della scorrettezza e del diritto alla stipulazione del contratto pubblico all’esito di una procedura selettiva si è talora affermata in relazione alla sequenza vincolata di atti che, rimossa l’illegittimità, potevano determinare il diritto all’aggiudicazione ed alla conseguente stipulazione del contratto: “Il richiamo ai parametri di quantificazione del danno era stato ritrovato per analogia con l’ipotesi del risarcimento dovuto negli appalti di lavori pubblici da parte dell’amministrazione committente in caso di recesso dal contratto stipulato (c.d. jus paenitendi). In tal modo, il limite massimo conseguibile a titolo risarcitorio veniva definito nel decimo del valore del contratto, “il decimo dell’importare delle opere non eseguite”, e dunque dell’importo a base d’asta come ribassato dall’offerta dell’impresa ricorrente, introducendo un’ipotesi in cui l’interesse negativo avrebbe potuto quantitativamente giungere a coincidere con l’interesse positivo dell’impresa all’esecuzione del contratto”.[43]
Il risarcimento è, infatti, limitato al c.d. interesse negativo relativo al non essere coinvolti in trattative infruttuose o, più in generale, in rapporti giuridici che (in violazione degli obblighi di protezione e di correttezza) rechino danni[44].
Non si risarcisce l’affidamento nella conclusione del contratto – poiché ciò apparirebbe in contrasto con la facoltà dell’amministrazione di recedere correttamente – ma il danno che è derivato dall’inutilità della trattative.
La quantificazione del danno come interesse negativo non deve necessariamente consistere in un ammontare inferiore al valore relativo all’interesse positivo[45], sicchè il richiamo alla risarcibilità nei limiti dell’interesse negativo pare giustificabile unicamente dalle difficoltà di provare tale danno e giustificare il rinvio alla determinazione equitativa, che esclude una rigorosa ripartizione dell’onere della prova, consentendo al giudice di ricavare elementi ulteriori per definire il danno risarcibile[46].
Il diritto al risarcimento del danno precontrattuale, previsto nei limiti dell’interesse negativo, ricomprende – come detto - le due componenti di cui, al pari dell’interesse positivo, è formato: danno emergente e lucro cessante.
Secondo la giurisprudenza prevalente, i danni risarcibili sarebbero limitati al c.d. “interesse negativo”, per tale intendendosi il pregiudizio subito dalla parte per essere stata coinvolta in trattative inutili e aver confidato nella conclusione di un contratto mai stipulato, ovvero per l’aver impiegato risorse ed energie nella conclusione di un contratto invalido o inefficace, diversamente dall’interesse positivo all’adempimento riconosciuto nella responsabilità contrattuale.
Il danno, così definito, è risarcibile nelle due componenti del c.d. “danno emergente” (consistente nelle spese sostenute nel corso delle trattative per viaggi, progettazione, compensi a tecnici, eventuali assunzioni e acquisti di attrezzature, ecc.) e del “lucro cessante” (consistente nella perdita delle chance di eventuali stipulazioni con altri soggetti di contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi).[47]
Per parte della dottrina, invece, l'ambito dei danni risarcibili non dovrebbe essere limitato all'interesse negativo, giacché oltre al recesso ingiustificato dalle trattative o alla conclusione di un contratto non valido o inefficace, dovrebbe ricondursi, nell'alveo della responsabilità precontrattuale, anche la fattispecie della conclusione di un contratto a condizioni diverse da quello che si sarebbe stipulato in assenza del comportamento in mala fede dell'altra parte; in tal caso, il risarcimento dovrebbe ristorare il pregiudizio subito per il c.d. “interesse differenziale” (l’interesse, a concludere, appunto, un diverso contratto a differenti condizioni).
In merito alla responsabilità della P.A. nella fase prenegoziale nell’ambito dei contratti c.d. ad evidenza pubblica, la giurisprudenza amministrativa prevede in maniera pressoché unanime il principio della reciproca autonomia e differenziazione tra illegittimità dell’atto amministrativo e illiceità del comportamento dell’amministrazione. Tale principio è stato cristallizzato dall’Adunanza Plenaria del 5 settembre 2005, n. 6, e che determina, in tale fase, l’instaurarsi di un sistema “binario” di responsabilità:
(a) responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. da provvedimento legittimo illecitamente adottato oppure
(b) responsabilità ex art. 2043 c.c. in caso di provvedimento illegittimo e da cui il giudice amministrativo fa doverosamente discendere un altrettanto differente regime risarcitorio.
Si tratta di risarcimento da lesione di interesse negativo per la responsabilità da comportamento illecito e risarcimento da lesione dell’interesse positivo per la seconda fattispecie di responsabilità[48].
In particolare, occorre soffermarsi sulla riconoscibilità del c.d. danno da perdita di chance per l’impossibilità di formulare con certezza un giudizio prognostico in merito alla spettanza dell’aggiudicazione.
La parola ‘chance’ deriva dal latino cadentia – cadere dai dadi – nel linguaggio comune significa “buona probabilità di riuscita”.
Il risarcimento del danno da perdita di chance è una tecnica risarcitoria elaborata dalla giurisprudenza, applicata in materia di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, nei rapporti tra privati e con l’amministrazione.
Nel diritto amministrativo, la tecnica sembra essere impiegata allo scopo di conciliare i caratteri della tutela risarcitoria con la nozione di ‘interesse legittimo’, in particolare pretensivo, “per come si è costruita a fondamento dell’azione di annullamento”[49].
Occorre tenere a mente, al fine di elaborare una ricostruzione esaustiva del profilo in esame, la definizione di interesse legittimo quale “posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene della vita interessato dall’esercizio del potere pubblicistico, che si compendia nell’attribuzione a tale soggetto di poterei idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione o la difesa dell’interesse al bene”.
Si tratterebbe, dunque, di una posizione non meramente processuale, tradizionalmente ritenuta strumentale in quanto non garantisce la realizzazione dell’utilità pratica, a differenza del diritto soggettivo che, invece, assicura al titolare il conseguimento del bene della vita.
Allorquando si è riconosciuta l’ammissibilità della tutela risarcitoria in ipotesi di attività provvedimentale, ai fini del giudizio sull’ingiustizia del danno non è sembrato sufficiente l’accertamento della lesione dell’interesse legittimo pretensivo dovendosi svolgere anche un giudizio prognostico sulla spettanza del bene della vita, ossia accertare la meritevolezza dell’interesse al conseguimento dell’utilità pratica che ad alcuni autori è parso contraddittorio aggiungere all’accertamento della lesione dell’interesse legittimo al quale il bene della vita è correlato e, in ogni caso, difficile da conciliare con i tradizionali limiti del sindacato del giudice sull’esercizio del potere pubblico, in particolare se connotato da discrezionalità.
Si fa luogo alla tecnica risarcitoria della chance nelle ipotesi in cui le scelte dell’amministrazione non sono pienamente sindacabili dal giudice, privo del potere di sostituirsi alla p.a. per determinare quale sarebbe l’esito dell’esercizio dell’attività amministrativa. Ciò tanto nelle ipotesi in cui si pone a fondamento della responsabilità dell’amministrazione la lesione dell’interesse legittimo pretensivo e si domanda il risarcimento del danno subito per non aver ottenuto l’aggiudicazione, quanto nelle ipotesi in cui la responsabilità è qualificata come precontrattuale e la tecnica risarcitoria è impiegata per compensare il pregiudizio subito per non aver potuto stipulare altri contratti[50].
La definizione della nozione di chance non pare essere univoca.
Il danno da perdita di chance[51] inteso quale perdita della possibilità di conseguire un risultato è risarcibile a titolo di danno emergente, quale perdita di una posta attiva del patrimonio del danneggiato, suscettibile di valutazione autonoma rispetto al bene che il soggetto aspira a raggiungere. Sul piano probatorio, la prova che incombe sul danneggiato non sembra essere particolarmente gravosa, in quanto limitata alla possibilità di conseguire il risultato[52].
Laddove si consideri la chance quale mancato conseguimento del risultato finale auspicato la perdita di chance rileva a titolo di lucro cessante. Non è considerata come perdita di un’utilità autonomamente rilevante poiché non si distingue dalla perdita del risultato finale auspicato [ma, piuttosto, è costituita dall’] annullamento di un presupposto necessario per il conseguimento del bene sperato[53].
In senso critico, è stato rilevato che la chance pare essere destinata a confondersi con il fenomeno causale, poiché opera come criterio di accertamento del nesso eziologico tra condotta illecita o inadempimento e danno[54] e che la prova gravante sul danneggiato pare essere “diabolica”, perché la chance sembra assumere rilievo in quanto idonea a conseguire un guadagno (“mancato”, a causa della condotta contra legem).
Si suggerisce di procedere all’unificazione dei due orientamenti interpretativi, considerando la chance quale bene giuridico autonomo, sussistente a prescindere dalla realizzabilità dell’utilità auspicata, risarcibile se si raggiunge la prova che si tratta di probabilità di riuscita (chance risarcibile) e non di mera possibilità di conseguire l’utilità sperata (chance irrisarcibile).
La chance si caratterizza, infatti, per l’indimostrabilità della futura realizzazione della medesima e ai fini della risarcibilità non è necessario accertare la spettanza del bene in termini di certezza. Sembra, invece, costante in giurisprudenza, l’affermazione circa la necessità di accertare la sussistenza di un livello minimo di probabilità di successo per escludere la risarcibilità di mere possibilità di riuscita[55].
Peraltro, in assolvimento di un dovere di completezza, ai fini della quantificazione del danno viene preso in considerazione il dato statistico calcolato, in materia di appalti, in base al numero dei partecipanti alla gara, unitamente all’ampiezza della discrezionalità della stazione appaltante, nonché ad ogni elemento di fatto utile a determinare l’esito del giudizio comparativo. Alcune pronunce eslcudono la rilevanza del dato statistico ed esigono dal danneggiato la dimostrazione della sussistenza di circostanze idonee a porlo in condizione di risultare vincitore, per esempio facendo riferimento ai titoli e all’offerta presentati.[56]
Con riferimento ai limiti ai danni riconoscibili in sede di responsabilità precontrattuale[57]: “il danno risarcibile a titolo di responsabilità precontrattuale in relazione alla mancata stipula di un contratto d'appalto o in relazione all'invalidità dello stesso, comprende le spese sostenute dall'impresa per aver partecipato alla gara (danno emergente), ma anche e soprattutto la perdita, se adeguatamente provata, di ulteriori occasioni di stipulazione di altri contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi, impedite proprio dalle trattative indebitamente interrotte (lucro cessante), con esclusione del mancato guadagno che sarebbe derivato dalla stipulazione ed esecuzione del contratto non concluso”.
Da ultimo, si segnala una recente pronuncia del Consiglio di Stato intervenuto su una delle questioni più dibattute in tema di responsabilità della P.A., ossia quella concernente il risarcimento dei danni da perdita di chance in caso di affidamento diretto di un contratto pubblico
Prima di procedere all’analisi degli orientamenti che dominano il dialogo giurisprudenziale sul punto, occorre in prima battuta ricostruire le tappe del percorso argomentativo seguito dai giudici di Palazzo Spada, che hanno portato, in ultima analisi, ad un deferimento della questione all’Adunanza Plenaria.
Innanzitutto, il Supremo consesso della Giustizia Amministrativa ha affermato che, al fine di riconoscere il risarcimento dei danni derivanti da perdita di chance occorre procedere all’accertamento dei seguenti requisiti.
In primis, va accertato il nesso eziologico tra la condotta (affidamento diretto) e l’evento (perdita della chance) sulla base della teoria della causalità alternativa ipotetica. Con la conseguenza che, laddove si dimostri che il danno lamentato si sarebbe comunque verificato per effetto di una sequenza causale diversa ed autonoma rispetto a quella verificatasi in concreto, il danno non sarà risarcibile per effetto di quest’ultima.
In secundis, va accertata l’illegittimità dell’atto impugnato della P.A., da cui deriva un danno ingiusto, cioè sine iure e contra ius, necessario per integrare la fattispecie di responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c..
La partita, tuttavia, non finisce al termine dei suddetti accertamenti.
Infatti, ulteriore problematica che va risolta concerne proprio l’an e il quantum del risarcimento connesso alla succitata astratta posizione giuridica (la chance appunto), alla luce di due orientamenti giurisprudenziali antitetici a riguardo.
A parere di un primo orientamento[58] il risarcimento della chance, a fronte della mancata indizione di una gara, è condizionato dalla prova di un rilevante grado di probabilità di conseguire il bene della vita negato dall’amministrazione per effetto di atti illegittimi. In tal caso, dunque, fermo restando la risarcibilità, il grado della chance inciderà sulla quantificazione dei danni.
Un secondo orientamento[59] ritiene, invece, che in caso di mancata indizione della gara (e pertanto in caso di mancato rispetto degli obblighi di pubblicità e trasparenza), non è possibile formulare una prognosi sull’esito di una procedura di evidenza pubblica mai svolta, per cui la chance deve essere ristorata nella sua obiettiva consistenza, a prescindere dalla verifica probabilistica in ordine all’ipotetico esito della gara.
In altri termini “nell’ambito della dicotomia dei danni risarcibili ex art. 1223 c.c., la teoria della chance ontologica configura tale posizione giuridica come un danno emergente, ovvero come bene giuridico già presente nel patrimonio del soggetto danneggiato, la cui lesione determina una perdita suscettibile di autonoma valutazione sul piano risarcitorio. La teoria eziologica intende, invece, la lesione della chance come violazione di un diritto non ancora acquisito nel patrimonio del soggetto, ma potenzialmente raggiungibile, con elevato grado di probabilità, statisticamente pari almeno al 50%. Si tratta dunque di un lucro cessante”.
Di conseguenza, alla luce della portata pratica di tale dibattito, si è ritenuto di dover rimettere la questione all’Adunanza Plenaria (ex art. 99 c.p.a.) a cui spetta la parola finale sul tema. I Giudici di Palazzo Spada, nell’effettuare tale rinvio evidenziano in particolare due rischi derivanti dall’adesione all’una o all’altra tesi: da un lato, che l’accoglimento della nozione di chance in termini eziologici potrebbe rendere non effettivo il risarcimento e dunque sarebbe soluzione non conforme ai principi eurounitari in materia; dall’altro, che venga snaturata la tipica funzione reintegratrice del rimedio del risarcimento del danno e siano riconosciuti danni non collegati ad un’effettiva lesione della sfera giuridica soggettiva, ovvero danni di carattere punitivo (la cui compatibilità con l’ordinamento giuridico italiano è stata peraltro sancita di recente dalla Cassazione, SS.UU., sentenza 5 luglio 2017, n. 16601).
- L’applicabilità della responsabilità pre-contrattuale alle procedure di evidenza pubblica.
È preliminarmente doveroso inquadrare le due fasi della c.d. procedura ad evidenza pubblica al fine di poter coerentemente e sistematicamente inquadrare il fenomeno indagato.
È bene premettere che il Codice dei contratti pubblici è ispirato ad una visione comunitaria dell’evidenza pubblica, secondo la quale, la pubblica gara, volta all’individuazione del contraente, risulta tesa a tutelare e valorizzare la concorrenza ed il mercato e non più, solo e semplicemente, l’ottimizzzazione dell’interesse pubblico.
Le procedure ad evidenza pubblica sono scomponibili in due fasi ben distinte:
- la procedura d. di scelta del contraente (dal bando sino all’aggiudicazione), che sostituisce la “normale” trattativa privatistica, con cui la stazione appaltante sceglie la propria controparte contrattuale esercitando poteri autoritativi connotati da discrezionalità tecnica e dispone -piuttosto che di “libertà contrattuale”, come dovrebbe essere secondo il diritto civile- di poteri/doveri autoritativi finalizzati alla tutela dei principi di trasparenza, imparzialità, parità concorrenziale e economicità, cui si contrappone l’interesse legittimo dei concorrenti al corretto espletamento della selezione;
- quella esecutiva, che inizia dalla stipula del contratto, di natura paritetica, perché una volta intervenuto il reciproco impegno contrattuale il rapporto è regolato dal codice civile, con la conseguente operatività dei relativi strumenti di tutela, a disposizione di entrambe le parti.
L’aggiudicazione e la stipulazione del contratto decretano due momenti cruciali dell’attività negoziale della p.a. Da un lato, infatti, con l’aggiudicazione termina la procedura ad evidenza pubblica, rispetto alla quale il privato riveste una posizione di interesse legittimo, dall’altro, con la stipulazione del contratto inizia il rapporto negoziale tra l’amministrazione aggiudicatrice ed il contraente privato che sia risultato migliore offerente. Trattasi di un rapporto paritetico, nell’ambito del quale il contraente privato vanta una posizione di diritto soggettivo.
Pur tuttavia il confine fra le due posizione e, quindi, fra le relative forme di tutela, diviene più labile nell’ipotesi in cui la P.A., nonostante sia intervenuta l’aggiudicazione, ometta o rifiuti in maniera illegittima di stipulare il contratto[60].
La classificazione ut supra operata potrebbe definire superflua in quanto avvallata dalla giurisprudenza prevalente, pur a fronte di una disciplina normativa piuttosto frammentaria, che vale la pena di riassumere sinteticamente.
L’art. 21 quinquies della legge n. 241/1990, al comma 1 bis, prevede testualmente che: “Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato dall'amministrazione agli interessati é parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilita' di tale atto con l'interesse pubblico”; vi è, poi, l’art. 21 sexies della stessa legge sul procedimento, secondo cui:
“1. Il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto”.
Secondo l’art. 11, comma 9, del codice dei contratti pubblici, “Divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, e fatto salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti, la stipulazione del contratto di appalto o di concessione ha luogo entro il termine di sessanta giorni…”.
Inoltre l’art. 134 del codice degli appalti prevede che “La stazione appaltante ha il diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto previo il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell'importo delle opere non eseguite”;
Tale norma riguarda solo gli appalti di lavori, non anche quelli di servizi e forniture. Dal quadro normativo così ricostruito ha preso spunto la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 20 giugno 2014, n. 14, per affermare che “Nel procedimento di affidamento di lavori pubblici le p.a. se, stipulato il contratto di appalto, rinvengano sopravvenute ragioni di inopportunità della prosecuzione del rapporto negoziale, non possono utilizzare lo strumento pubblicistico della revoca dell'aggiudicazione ma devono esercitare il diritto potestativo regolato dall'art. 134 d.lg. n. 163 del 2006”.
Il riferimento ai soli appalti di lavori, peraltro conforme al tenore testuale del sopra citato art. 134 del codice dei contratti, parrebbe introdurre implicitamente una differenza tra gli stessi (in cui, dopo il contratto, è possibile il solo recesso, con le più stringenti conseguenze indennitarie descritte dall’art. 134 del codice appalti) e gli appalti di servizi e forniture, ove, invece, resterebbe applicabile l’istituto della revoca, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 21 quinquies della legge n. 241/1990; la questione non è irrilevante, in quanto, l’indennizzo previsto per il recesso dall’art. 134 è maggiore di quello previsto per la revoca dei contratti dall’art. 21 quinquies, comma 1 bis.
Si segnala che recentemente l’Adunanza Plenaria[61] è stata investita della seguente questione: configurabilità della responsabilità precontrattuale anteriormente alla scelta del contraente. In particolare, sono state rimesse all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato le seguenti questi
- se la responsabilità precontrattuale sia o meno configurabile anteriormente alla scelta del contraente, vale a dire della sua individuazione, allorché gli aspiranti alla posizione di contraenti sono solo partecipanti ad una gara e possono vantare un interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione;
- se, nel caso di risposta affermativa, la responsabilità precontrattuale debba riguardare esclusivamente il comportamento dell’amministrazione anteriore al bando, che ha fatto sì che quest’ultimo venisse comunque pubblicato nonostante fosse conosciuto, o dovesse essere conosciuto, che non ve ne erano i presupposti indefettibili, ovvero debba estendersi a qualsiasi comportamento successivo all’emanazione del bando e attinente alla procedura di evidenza pubblica, che ne ponga nel nulla gli effetti o ne ritardi l’eliminazione o la conclusione.
Con l’ordinanza in epigrafe la terza sezione di Palazzo Spada ha rimesso all’Adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 99 c.p.a., la questione riassunta in massima, concernente l’ammissibilità della responsabilità precontrattuale anche nella fase che precede la scelta del contraente e, in caso di risposta positiva, la valutazione del comportamento della p.a. anteriore o successivo al bando di gara.
Dopo aver ricostruito l’originario indirizzo giurisprudenziale in materia di responsabilità precontrattuale della P.A., con particolare riferimento alla più risalente giurisprudenza della Corte di cassazione, l’ordinanza ha evidenziato il passaggio alla giurisdizione amministrativa, imposto dalla legge n. 205 del 2000 e ratificato dalla nota decisione dell’Adunanza plenaria[62].
L’ordinanza ha evidenziato come la prima giurisprudenza amministrativa, successiva all’entrata in vigore della citata legge n. 205, abbia in sostanza recepito gli orientamenti della Cassazione, riconoscendo la responsabilità precontrattuale in tutti i casi in cui la P.A. - dopo l'aggiudicazione - intervenga con provvedimenti di vario tipo (revoche, annullamenti, dinieghi di stipula o approvazione) che vanificano, dall'esterno, gli esiti della procedura di selezione. In tale contesto, la responsabilità è stata indifferentemente configurata dalla giurisprudenza sia in presenza del preventivo annullamento per illegittimità di atti della sequenza procedimentale, sia nell'assodato presupposto della loro validità ed efficacia, ma sempre e solo nel caso di intervenuta aggiudicazione.
La Terza Sezione ha individuato le diverse fattispecie emerse nella prassi: a) revoca dell'indizione della gara e dell'aggiudicazione per esigenze di una ampia revisione del progetto, disposta vari anni dopo l'espletamento della gara; b) impossibilità di realizzare l'opera prevista per essere mutate le condizioni dell'intervento; c) annullamento d'ufficio degli atti di gara per un vizio rilevato dall'amministrazione solo successivamente all'aggiudicazione definitiva o che avrebbe potuto rilevare già all'inizio della procedura; d) revoca dell'aggiudicazione, o rifiuto a stipulare il contratto dopo l'aggiudicazione, per mancanza dei fondi.
La stessa ordinanza rileva che nella giurisprudenza successiva sono poi emersi due diversi orientamenti, rispetto ai quali viene quindi ora richiesto l’intervento chiarificatore e nomofilattico dell’Adunanza plenaria. Un primo orientamento[63], ha in sostanza riconosciuto la sussistenza della responsabilità precontrattuale anche nella fase che precede la scelta del contraente e, quindi, prima e a prescindere dall’aggiudicazione.
Un secondo orientamento[64], invece, ritiene che la responsabilità precontrattuale della P.A. è connessa alla violazione delle regole di condotta tipiche della formazione del contratto e quindi non può che riguardare fatti svoltisi in tale fase, con la conseguenza che la stessa non è configurabile anteriormente alla scelta del contraente, vale a dire della sua individuazione, allorché gli aspiranti alla posizione di contraenti sono solo partecipanti ad una gara e possono vantare un interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione.
Nel rimettere la questione all’Adunanza plenaria, l’ordinanza ha definitivamente preso posizione a favore del secondo più restrittivo orientamento, evidenziando alcuni argomenti fondati su un approccio ermeneutico maggiormente rispondente ai principi civilistici.
In base a tale orientamento, l’amministrazione è tenuta a rispettare tale principio (e se non lo fa incorre in responsabilità precontrattuale) solo a seguito dell’aggiudicazione, che, nell’ambito delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, segna il momento in cui viene individuato un contraente specifico, quindi, titolare non più di una mera aspettativa di fatto ma di un interesse (legittimo)[65] concreto e specifico alla stipula del contratto.
Prima dell’aggiudicazione, infatti, la procedura di gara non assumerebbe i connotati di una “trattativa”, ma di un complesso di operazioni volte a verificare l’offerta migliore tra quelle presentate dagli operatori economici partecipanti, i quali, pertanto, in questa fase non possono vantare alcun affidamento circa l’aggiudicazione in loro favore né, a maggior ragione, in relazione alla stipula del contratto.[66]
Secondo questa tesi inoltre, considerato che il bando di gara ha natura di offerta “in incertam personam” (offerta al pubblico) l’eventuale annullamento in autotutela prima dell’aggiudicazione (momento in cui la proposta contrattuale si concretizza nei confronti di uno specifico soggetto, ossia l’aggiudicatario) non può comportare profili di responsabilità precontrattuale della P.A., né obblighi di indennizzo ai sensi dell’art. 1328 c.c., in quanto non esisterebbe ancora una parte accettante (ossia l’oblato).[67]
Nonostante l’ordinanza di rimessione propendesse per la tesi opposta, muovendo dalla premessa teorica per cui il dovere di correttezza e di buona fede troverebbe necessariamente il suo presupposto nella sussistenza di una ‘trattativa’ contrattuale già in stato avanzato, l’Adunanza Plenaria ha chiarito che “l’attuale portata del dovere di correttezza è oggi tale da prescindere dall’esistenza di una formale ‘trattativa’ e, a maggior ragione, dall’ulteriore requisito che tale trattativa abbia raggiunto un livello così avanzato da generare una fondata aspettativa in ordine alla conclusione del contratto”[68].
Infatti, ciò che il dovere di correttezza mira a tutelare non è la conclusione del contratto, ma la libertà di autodeterminazione negoziale: “tant’è che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il relativo danno risarcibile non è mai commisurato alle utilità che sarebbero derivate dal contratto sfumato, ma al c.d. interesse negativo (l’interesse appunto a non subire indebite interferenze nell’esercizio della libertà negoziale) o, eventualmente, in casi particolari, al c.d. interesse positivo virtuale (la differenza tra l’utilità economica ricavabile dal contratto effettivamente concluso e il diverso più e più vantaggioso contratto che sarebbe stato concluso in assenza dell’altrui scorrettezza)”.[69]
La sussistenza della responsabilità precontrattuale dell’amministrazione prescinde dall’eventuale illegittimità dei provvedimenti amministrativi adottati, ed anzi “per molti versi presuppone la legittimità dei provvedimenti che scandiscono la parabola procedurale”.
In tale contesto, risulterebbe eccessivamente restrittiva la tesi secondo cui, nei procedimenti ad evidenza pubblica, l’obbligo di rispettare i doveri di correttezza sorgerebbe soltanto dopo l’adozione del provvedimento di aggiudicazione. Aderendo a tale impostazione, “si finirebbero, infatti, per creare a favore del soggetto pubblico ‘zone franche’ di responsabilità, introducendo in via pretoria un regime ‘speciale’ e ‘privilegiato’, che si porrebbe in significativo contrasto con i principi generali dell’ordinamento civile e con la chiara tendenza al progressivo ampliamento dei doveri di correttezza”[70].
Inoltre, non è sufficiente che il privato dimostri la propria buona fede e il proprio affidamento incolpevole, occorrendo altresì:che l’affidamento incolpevole risulti leso da una condotta oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e di lealtà, a prescindere dall’indagine sulla legittimità dei singoli provvedimenti amministrativi;che tale oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia soggettivamente imputabile all’amministrazione in termini di colpa e di dolo; e che il privato provi sia il danno-evento (ossia la lesione alla libertà di autodeterminazione negoziale), sia il danno-conseguenza (ossia le perdite economiche sofferte a causa della condotta scorretta dell’amministrazione)[71].
Sussistendo tali presupposti, l’amministrazione sarà tenuta a rispondere a titolo di responsabilità precontrattuale anche per eventuali comportamenti posti in essere prima dell’aggiudicazione, indipendentemente dalla circostanza per cui tali comportamenti siano precedenti o successivi rispetto al bando di gara.
2.1 La configurazione della responsabilità pre-contrattuale: le fasi dell’evoluzione giurisprudenziale.
Occorre prender le mosse da una, soltanto apparentemente superflua considerazione. Il terreno di elezione sul quale si gioca la partita della configurabilità della responsabilità precontrattuale in capo alla pubblica amministrazione è proprio quello della procedura ad evidenza pubblica, atteso che l’attività di gara, in quanto prodromica alla stipula di un contratto deve essere considerata come attività precontrattuale anche se procedimentalizzata.
La configurabilità della responsabilità precontrattuale pubblica, dunque, è stata il frutto di una sofferta evoluzione giurisprudenziale, scomponibile schematicamente in tre tappe che saranno descritte nei paragrafi che seguono.
2.1.1. Prima fase.
In una prima fase, durata sino a tutti gli anni ‘50, la giurisprudenza riteneva in radice non configurabile una tale forma di responsabilità precontrattuale in relazione a procedure a evidenza pubblica, ove la P.A. eserciti poteri autoritativi di scelta del contraente, essenzialmente per due ragioni: (i) in primo luogo perché non sembrava possibile configurare “atti autoritativi illeciti” e, (ii)in secondo luogo, perché la relativa verifica avrebbe potuto comportare un inammissibile controllo giudiziale sull’esercizio dei poteri discrezionali In sostanza, in questa prima fase dottrina e giurisprudenza negavano la configurabilità di una responsabilità precontrattuale della P.A. sulla base di diversi argomenti quali:
- presunzione di legittimità degli atti dell’amministrazione;
- insindacabilità del comportamento discrezionale della P.A. durante lo svolgimento delle trattative;
- inconcepibilità di un affidamento incolpevole del privato sulla conclusione del contratto, non essendoci pariteticità tra le parti, bensì sussistenza di un potere discrezionale di valutazione in capo all’ente pubblico;
- esistenza di un sistema di controlli cui risulta sottoposta l’attività negoziale dei soggetti pubblici.[72]
Contro l’ammissibilità di una culpa in contrahendo della p.a. venivano addotti diversi argomenti da parte della giurisprudenza e della dottrina meno recenti.
In primo luogo, si sosteneva che la p.a, pur operando attraverso l’ utilizzo di strumenti del diritto privato, conservava la propria natura pubblicistica dal momento che il suo agire era comunque preordinato – immediatamente o mediatamente – al perseguimento del pubblico
interesse cui istituzionalmente era preposta[73]. Correlativamente a tale posizione (pubblicistica), la p.a. – nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto “usa di un libero potere discrezionale”[74].
Come corollario di tali considerazioni, si deduceva, inoltre, l’assenza in capo al privato di una posizione giuridica soggettiva qualificabile come diritto soggettivo, configurandosi, specularmente al preteso esercizio di un potere discrezionale, una mera aspettativa di fatto (alla conclusione del contratto) ovvero - secondo una diversa impostazione - una posizione
di interesse legittimo, la cui lesione non poteva comunque condurre al risarcimento dei danni da illecito precontrattuale[75].
Peraltro, la conservazione della natura pubblicistica e il carattere discrezionale del potere esercitato dalla p.a. in sede precontrattuale si traducevano – sotto il profilo della tutela giurisdizionale nei confronti dell’amministrazione – in una limitazione dei poteri di cognizione del giudice ordinario, cui non era consentito sindacare la correttezza o meno del comportamento della p.a. nello svolgimento delle trattative nella formazione del contratto, proprio in quanto essa esercita poteri discrezionali, come tali esclusivamente sindacabili da parte del giudice amministrativo[76].
A sostegno della tesi più restrittiva l’assunto che, anche dopo l’individuazione del contraente, la pubblica amministrazione rimaneva titolare di un vero e proprio potere discrezionale in ordine alla valutazione circa la convenienza e la rispondenza all’interesse pubblico del contratto che si accingeva a stipulare: il privato, quindi, non avrebbe vantato alcun diritto soggettivo risarcibile nei confronti dell’amministrazione, ma soltanto un interesse legittimo al corretto esercizio del suo potere discrezionale.
Se, quindi, l’impostazione tradizionale faceva leva sulla presunta correttezza del comportamento tenuto dai soggetti pubblici, sull’inammissibilità di un sindacato del G.O. sulle scelte discrezionali della P.A., sulla non ipotizzabilità di un affidamento meritevole di tutela del privato in ordine alla stipula del contratto, la giurisprudenza, nei primi anni Sessanta, iniziò a superare queste presunzioni concettuali, recependo quell’insegnamento della miglior dottrina secondo cui, ai fini della responsabilità precontrattuale, ciò che si chiede al giudice non è di valutare la correttezza della condotta dell’amministratore, bensì quella del contraente[77].
Aprendo, quindi, alla possibilità che un soggetto pubblico, sia pure nel perseguimento dell’interesse pubblico, possa agire come un soggetto privato, si ammetteva la riconducibilità all’istituto della responsabilità centrale nell’estrinsecarsi dei rapporti giuridici privatistici.[78]
2.1.2. Seconda fase.
La seconda tappa evolutiva, formalmente inaugurata nel 1961[79], ha visto un limitato riconoscimento della responsabilità precontrattuale della P.A. con riferimento all’ingiustificato recesso da una trattativa privata; si è ritenuto, infatti, che in questa ipotesi l’attività di scelta del contraente avvenisse senza l’esercizio di un vero e proprio potere pubblicistico; viceversa la responsabilità precontrattuale restava non configurabile in relazione alle procedure di pubblico incanto e licitazione privata.
La giurisprudenza iniziò, in questa a fase, a superare gli ostacoli concettuali rispetto all’ammissibilità della responsabilità precontrattuale[80], ammettendo che il privato potesse agire nei confronti della Pubblica Amministrazione per richiedere un risarcimento del danno a titolo di responsabilità precontrattuale in caso di recesso ingiustificato dalle trattative.
Benché, tuttavia, sia stata riconosciuta la soggezione dell’amministrazione ai principi di correttezza e buona fede nel corso delle trattative contrattuali, nelle applicazioni concrete la culpa in contraendo della P.A. veniva ravvisata unicamente nelle ipotesi in cui l’amministrazione scegliesse di adottare, quale modalità di selezione del contraente, la trattativa privata: in tale ipotesi, operando iure privatorum, si riteneva pacificamente che l’amministrazione, al pari dei soggetti privati, dovesse rispettare i precetti di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c. e che il suo comportamento fosse sindacabile dal giudice ordinario.
Si escludeva che la culpa in contraendo potesse ricorrere per la fase precontrattuale procedimentalizzata, integrata dalla procedura di evidenza pubblica, perché si osservava come detta fase fosse governata dal potere autoritativo dell’ente pubblico finalizzato alla scelta del contraente[81].
Sulla base di tale impostazione, ne derivava, su un piano puramente logico – prima ancora che giuridico – che il soggetto partecipante alla gara (sia nella forma dell’asta pubblica, sia nella forma della licitazione privata o dell’appalto concorso) veniva considerato titolare di un mero interesse legittimo al corretto esercizio del potere di scelta da parte della stazione appaltante e non già del diritto soggettivo che si contrappone all’obbligo della P.A. di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell’art. 1337 c.c.
2.1.3. Terza fase.
La terza fase ha preso le mosse alla fine degli anni ’90, quando è stata riconosciuta in via generale la responsabilità precontrattuale della stazione appaltante pubblica che - conclusa con l’aggiudicazione una qualunque procedura di scelta del contraente - si rifiuti immotivatamente di stipulare il relativo contratto ovvero ometta di inviarlo all’autorità di controllo impedendogli di acquisire efficacia[82]; da allora in poi il percorso giurisprudenziale non si è mai arrestato, elevando la responsabilità precontrattuale a generale meccanismo di garanzia per il privato, soprattutto nelle ipotesi di revoca o annullamento delle procedure a evidenza pubblica[83]; difatti si è ritenuto che ogni procedura pubblicistica di scelta del contraente assuma una duplice veste -di “meccanismo pubblicistico” per la selezione del miglior contraente da un parte e di “trattativa in senso civilistico” (o, se si preferisce, di “contatto sociale”) dall’altra- nel cui ambito meritano tutela risarcitoria anche l’affidamento e la libertà contrattuale dei partecipanti alla gara[84].
Tale svolta storica si avviò con il celebre intervento della Cassazione a Sezioni Unite del 1999, legittimante la risarcibilità della lesione dell’interesse legittimo.
Si è, pertanto, progressivamente realizzata la trasposizione in ambito amministrativo dei principi di matrice civilistica, con conseguente estensione delle ipotesi di responsabilità precontrattuale ai casi in cui la P.A. successivamente all’aggiudicazione, intervenga con provvedimenti di vario tipo (revoche, annullamenti, dinieghi di stipula o approvazione), tali da vanificare gli esiti delle procedure selettive.
Basandosi su tali premesse, la Giurisprudenza di legittimità ha concluso a favore dell’addebitabilità alla P.A., della responsabilità precontrattuale nel caso di mancata stipulazione del contratto con l’impresa aggiudicatrice senza l’indicazione di plausibili ragioni di pubblico interesse[85], ovvero nel caso di impedimento doloso o colposo dell’attività di controllo del contratto, ad esempio omettendo la redazione formale dello stesso o omettendo di trasmetterlo all’autorità di controllo[86].
Oggi, in base all’orientamento maggioritario della Giurisprudenza, si ritiene che
“la violazione delle regole di correttezza che presiedono alla formazione del contratto può assumere rilevanza solo dopo che la fase pubblicistica abbia attribuito al ricorrente effetti concretamente vantaggiosi, come quello dell’aggiudicazione, e solo dopo che tali effetti siano venuti meno nonostante l’affidamento ormai conseguito dalla parte interessata.”[87]
Pertanto, è ormai ius receptum la generalizzata possibilità di configurare una responsabilità precontrattuale della P.A. in tutte le procedure a evidenza pubblica, potendosi individuare due distinte ipotesi.
- La prima è detta “responsabilità precontrattuale pura”[88], perché armonicamente riconducibile al modello civilistico di cui all’art. 1337 c.c..
Essa è rinvenibile quando l’Amministrazione, con un proprio comportamento contrario a buona fede, lede il legittimo affidamento riposto dal privato nella conclusione del contratto, incidendo negativamente sul suo diritto all’autodeterminazione in ambito negoziale e, quindi, violando una posizione di diritto soggettivo; in tal caso la pubblica amministrazione risponderà secondo il regime della responsabilità da inadempimento.
La responsabilità precontrattuale pura si verifica laddove l’amministrazione incida con atto di autotutela su di una gara già culminata nell’atto di aggiudicazione e il privato aggiudicatario avanzi, a quel punto, una richiesta risarcitoria che fa leva -non già sull’illegittimità dell’atto di ritiro, bensì- sulla scorrettezza della stazione appaltante; in sostanza il privato non intende dimostrare l’illegittimità dell’atto di ritiro, bensì evidenziare che l’intero comportamento dell’amministrazione -la quale ha imbastito una complessa procedura di affidamento per poi ritirarla- è stato causa di ingiusta lesione della sua libertà negoziale; di conseguenza la richiesta risarcitoria riguarda il solo “interesse negativo” (vedi supra): spese sostenute per partecipare alla procedura e mancati profitti da occasioni perdute a causa dell’impegno profuso nella partecipazione alla gara.
È evidente come questa vicenda risarcitoria possa verificarsi sia in presenza di un atto di ritiro legittimo sul piano del diritto amministrativo (il caso classico è quello dell’annullamento di un’aggiudicazione illegittima; ma si pensi anche alla revoca dell’intera procedura di gara per il venir meno, non imputabile alla stazione appaltante, dei fondi necessari) sia in presenza di un atto di ritiro, viceversa, illegittimo (si pensi al caso della revoca dell’intera gara non giustificata da ragioni di interesse pubblico)[89].
Difatti, a prescindere dai presupposti dell’atto di ritiro, la controversia è identificata dal contenuto della domanda risarcitoria, con cui il privato contesta -non già la legittimità dell’azione amministrativa, bensì- il comportamento scorretto tenuto dalla P.A. “nelle trattative” (in questo caso nella fase ad evidenza pubblica), facendo valere una posizione di diritto soggettivo autonoma rispetto all’interesse legittimo riferibile ai singoli atti di gara[90], di guisa che la giurisdizione sulla domanda risarcitoria dovrebbe fisiologicamente appartenere al giudice ordinario.
La responsabilità precontrattuale pubblica può emergere anche laddove si giunga alla conclusione del contratto di appalto pubblico, che risulti però inefficace o invalido a causa di condotte scorrette tenute dalla stazione appaltante nella fase precedente alla stipula[91]: lo dimostra l’ormai riconosciuta possibilità di applicare l’art. 1338 cc. anche alle procedure a evidenza pubblica, laddove sia stata svolta una gara in condizioni che obiettivamente non consentivano l’affidamento della relativa commessa, tanto che lo stesso si rivela alla fine inefficace, ad esempio per mancata registrazione del contratto da parte della Corte dei Conti; anche in questi casi, infatti, la responsabilità precontrattuale colpisce un comportamento negligente della stazione appaltante pubblica, la quale aveva evidentemente omesso le necessarie verifiche, ingenerando un affidamento dell’aggiudicataria sulla fattibilità della commessa e impegnandola in una “gara inutile”.
Proprio tale questione è stata esaminata da una recente pronuncia della Cassazione[92], relativa a un appalto pubblico che -giunto sino alla fase della stipula del contratto- si era poi rivelato ineseguibile (con la conseguente inefficacia del contratto), in quanto sulla realizzazione della prevista opera pubblica non era stato previamente acquisito il necessario nulla osta paesaggistico; difatti la Corte dei Conti aveva per questa ragione negato la registrazione del contratto.
Orbene, la Cassazione - confermata l’inefficacia del contratto per mancata registrazione, che ne costituiva, in quel caso, condicio iuris- ha ravvisato una responsabilità contrattuale della stazione appaltante ex art. 1338 cc., affermando che “l’Amministrazione committente ha l'obbligo di comportarsi secondo buona fede e correttezza (artt. 1337 e 1338 c.c.), cioè di tenere informato l'altro contraente delle vicende attinenti al procedimento di controllo e di fare in modo che non subisca i pregiudizi connessi agli sviluppi e all'esito del medesimo procedimento, essendo in condizioni di farlo, in ragione del suo status professionale nel quale è implicita una posizione di garanzia nei confronti di coloro che si rapportano ad essa; l'Amministrazione è quindi responsabile qualora, avendo preteso l'anticipata esecuzione della prestazione, abbia accettato il rischio del successivo mancato avveramento della condizione di efficacia del contratto a causa della mancata registrazione del decreto di approvazione, in tal modo frustrando il legittimo e ragionevole affidamento del privato nella eseguibilità del contratto”.
- La seconda ipotesi da prendere in considerazione, è quella relativa alla “responsabilità precontrattuale c.d. “spuria”, che si configura in caso di illegittimità degli atti amministrativi all’interno di una procedura ad evidenza pubblica; in tal caso, la fonte del danno cagionato al privato non risiede nella violazione della regola della buona fede precontrattuale, bensì dalla violazione di specifiche regole pubblicistiche.
La p.a. sarà responsabile non ex art. 1337 c.c., ma in base ad un provvedimento illegittimo, da cui scaturisce un illecito aquiliano, ex art. 2043 in quanto il provvedimento amministrativo illegittimo sarà concepito come un fatto illecito causativo di un danno ingiusto.
La responsabilità precontrattuale cd. spuria o atecnica, può rinvenirsi nelle procedure ad evidenza pubblica se si tiene conto della doppia natura della gara. Essa, infatti, postula non solo una trattativa privata, ma anche un procedimento pubblicistico, posto a tutela dell’interesse pubblico alla scelta del miglior contraente privato. In tali ipotesi, la responsabilità dell’amministrazione discende dalla violazione delle regole in tema di gara, da cui ne discende l’illegittimità dell’aggiudicazione
Si pensi alla violazione dell’obbligo di informazione ovvero alla gara bandita senza avere i fondi e, quindi, in un momento successivo revocata, o ancora l’adozione di provvedimenti illegittimi da cui derivano danni lesivi di interessi legittimi (si pensi al caso del provvedimento di esclusione dalla gara o dell’aggiudicazione illegittima in favore di una impresa concorrente).
Più nello specifico: il privato che deduce la responsabilità da provvedimento illegittimo precontrattuale della P.A. non intende far valere la violazione del principio di buona fede oggettiva di cui all’articolo 1337 del cod. civ., bensì il pregiudizio che un provvedimento amministrativo illegittimo arreca all’interesse legittimo pretensivo al conseguimento del bene della vita, rappresentato dall’aggiudicazione, o meglio, dalla stipulazione del contratto e del relativo utile. In tal caso, non sarebbe configurabile una responsabilità precontrattuale in senso ontologico, quanto piuttosto in senso cronologico e ciò in quanto la responsabilità della pubblica amministrazione precede la stipula del contratto.
La responsabilità precontrattuale “spuria”, infatti, designa l’obbligazione risarcitoria avente ad oggetto i danni cagionati dall’adozione di provvedimenti illegittimi nel corso della serie procedimentale di evidenza pubblica: essa, dunque, involge l’esercizio non corretto del potere pubblicistico di stampo autoritativo, con la conseguente lesione di interessi legittimi. Si tratta, pertanto, di una forma di responsabilità solo cronologicamente connessa alle trattative precontrattuali, ma ontologicamente assai diversa da quella derivante dalla violazione del canone di buona fede prenegoziale.
In alcuni casi il privato contesta in apice la stessa legittimità di un intervento in autotutela effettuato dalla stazione appaltante sugli atti gara, ad esempio l’annullamento dell’aggiudicazione ovvero l’annullamento dell’intera gara, per poi domandare il risarcimento dell’interesse positivo, corrispondente al lucro che avrebbe conseguito dall’aggiudicazione della commessa, determinato, a seconda dei casi, in termini di certezza o di chance.
In queste ipotesi non può, invero, parlarsi di responsabilità precontrattuale, perché in realtà si è in presenza di una “normale” ipotesi di responsabilità da lesione di interesse legittimo, con la conseguente fisiologica giurisdizione del G.A.[93].
Sull’ammissibilità della responsabilità precontrattuale in caso di revoca dell’aggiudicazione provvisoria, si segnala una recente pronuncia del T.a.r. per la Campania, secondo cui: “il provvedimento di revoca dell'aggiudicazione provvisoria ascrivibile alla colpevole condotta della stazione appaltante e, in particolare, alle incontestate criticità e ritardi registrati durante la fase di pubblicazione della "lex specialis" ed al conseguenziale slittamento dei termini di partecipazione, nonché alla lenta celebrazione delle attività di esame delle offerte, determina il sorgere di una responsabilità precontrattuale, riconducibile al modello extracontrattuale o da fatto illecito di cui all'art. 2043 c.c.”.[94]
In conclusione giova sottolineare come prima della sentenza con cui la Suprema Corte nel 2016 ha qualificato la responsabilità precontrattuale come contrattuale da contatto sociale qualificato, non vi era alcuna differenza tra la responsabilità precontrattuale pura (di cui agli artt. artt. 1337 e 1338 c.c.) e spuria della p.a. (ex art. 2043 c.c.), atteso che entrambe venivano ricondotte alla responsabilità extracontrattuale, rispondendo secondo il relativo regime, anche se con una sostanziale differenza costituita dal fatto che:
- la responsabilità precontrattuale spuria, come responsabilità da provvedimento illegittimo, ricade nel modello della responsabilità soggettiva presunta: l’illegittimità del provvedimento presume la sussistenza dell’elemento soggettivo e quindi spetta alla p.a. provare, per andare esente da responsabilità, l’errore scusabile.
- La responsabilità precontrattuale pura, ante sentenza del 2016, viceversa, sebbene fosse considerata aquiliana, ricadeva nel modello della responsabilità soggettiva, senza dunque presunzione di colpa, poiché la fonte della responsabilità della p.a. era costituita dal comportamento violativo della clausola privatistica di buona fede (e non un provvedimento illegittimo, in tal caso non sussistente): spettava dunque al privato o danneggiato doveva provare la colpa della p.a..
Questa tendenziale uniformità di regime è, tuttavia, destinata a venire meno in base al nuovo assunto formulato dalla citata sentenza, aprendosi un divario tra la responsabilità precontrattuale pura della p.a. e la responsabilità precontrattuale spuria. Sotto il profilo della natura giuridica:
- la responsabilità precontrattuale spuria era e resta una responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. da provvedimento illegittimo
- mentre la responsabilità precontrattuale pura della p.a. diventa una responsabilità da contatto sociale qualificato e, dunque, una responsabilità da inadempimento di un obbligo di protezione e di informazione, sussumibile nel regime di cui all’art. 1218 c.c..
Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, la contrattualizzazione della responsabilità precontrattuale pura della p.a. incide sul riparto dell’onere della prova, avvicinando in tal modo il regime della responsabilità precontrattuale spuria a quello della responsabilità precontrattuale pura: la prima – come appena riferito – ricade nel modello della responsabilità soggettiva presunta, sollevando il danneggiato dall’onere della prova, allo stesso modo, “contrattualizzando” la responsabilità precontrattuale pura, il privato è sollevato dall’onere della prova dell’elemento soggettivo in base al regime proprio della responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c..
Per quanto concerne la questione del riparto della giurisdizione, emergono ulteriori profili di indagine.
- La responsabilità precontrattuale spuria è una responsabilità da provvedimento illegittimo e, in quanto tale, la causa petendi della responsabilità precontrattuale spuria è la lesione dell’interesse legittimo, per cui in base al criterio ordinario di riparto della giurisdizione basato sulla natura della situazione giuridica soggettiva, la giurisdizione sulla responsabilità precontrattuale spuria della p.a. spetta al g.a. come giudice di legittimità.
- La responsabilità precontrattuale pura, invece, non è una responsabilità da provvedimento illegittimo, ma è una responsabilità da comportamento violativo di una regola privatistica che incide su una posizione di diritto soggettivo. Pertanto, la causa petendi è un diritto soggettivo per il quale, secondo le regole giurisprudenziali citate, il giudice competente dovrebbe essere il g.o., ma, come noto, in materia di procedure di affidamento di contratti pubblici, il legislatore ha ritenuto di attribuire la giurisdizione esclusiva al g.a. con la conseguenza che anche le questioni relative alla responsabilità precontrattuale pura sono attratte nella giurisdizione del g.a.
Le due differenti ipotesi di responsabilità precontrattuale della p.a. incidono anche sulla tipologia di azioni esperibili da parte del privato per la tutela delle proprie posizioni soggettive.
Nel caso della responsabilità precontrattuale pura, lo strumento di tutela del privato danneggiato si sostanzia nell’azione di accertamento del comportamento violativo della clausola di buona fede e nella condanna al risarcimento del danno da esperire innanzi al g.a. in via esclusiva.
Laddove vi sia una responsabilità precontrattuale cd. spuria, la tutela del privato è una tutela impugnatoria, demolitoria, caducatoria del provvedimento illegittimo: spetta, dunque, al privato una azione di impugnazione e di risarcimento del danno.
Quindi, oggi più di ieri, alla luce del nuovo codice dei contratti pubblici, la responsabilità precontrattuale spuria è una responsabilità che ricade nella giurisdizione del g. a., sub specie di interesse legittimo, che si sostanzia nell’azione demolitoria, nell’azione di impugnazione. Mentre, la responsabilità precontrattuale pura ricade nella giurisdizione speciale del g.a., concretizzandosi in un’azione di accertamento e di condanna.
I punti di differenza tra le due forme di responsabilità della p.a. concernono anche il danno risarcibile.
- Nella responsabilità precontrattuale pura il danno risarcibile a favore del privato segue quanto previsto in tema di responsabilità precontrattuale ex artt. 1337 e 1338 c.c., e cioè il cd. interesse negativo, consistente esemplificativamente nel tempo e nel danaro persi nella gara, le eventuali occasioni alternative mancate, etc.
- Nella responsabilità precontrattuale spuria da provvedimento illegittimo il danno risarcibile è invece il bene della vita, e cioè, l'interesse positivo alla partecipazione alla gara, all'aggiudicazione del contratto, alla stipulazione del contratto e il profitto ritraibile dal contratto e di tutto ciò ne è dimostrazione il nuovo Codice dei contratti pubblici che prevede l’onere di impugnazione immediata delle ammissioni– esclusioni alla gara, in cui il danno che viene risarcito è il bene della vita: il soggetto infatti viene riammesso alla gara o viene escluso dalla gara.
- Considerazioni conclusive.
Alla luce della ricostruzione dogmatica che nella presente contributo si è avuto modo di operare e in base alle argomentazioni addotte, si impone trarre le presenti conclusioni sul tema della responsabilità precontrattuale nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica.
La labilità dei confini del diritto è certo sintomo non di fragilità ma di evoluzione positiva e apertura nell’ottica di una trasversalità degli istituti giuridici che non debbono essere concepiti staticamente come rigidamente ancorati in un determinato ambito o specifico settore dell’ordinamento.
È in questa prospettiva interdisciplinare – colta nella sua dimensione più accentuata nel presente elaborato – che si ha modo di percepire e cogliere l’immagine di un diritto che vive e che rifugge statiche e cristallizzate ricostruzioni dogmatiche al fine di poter al meglio rispondere alle esigenze che la realtà richiede di soddisfare.
In questo senso, si coglie la funzione ‘risolutoria’ e decisiva – nonché reale ed effettiva – del ‘diritto’: fornire una risposta ogni qualvolta la realtà ponga un quesito; è in quest’ottica funzionale-operativa che si rintraccia la stessa natura e la stessa ontologia del diritto; esso, infatti, non si astrae dalla realtà riposandosi in un iperuranio distinto e distante ma si cala nella vita reale al fine di regolarne i suoi articolati e problematici intrecci: in ciò si percepisce il fascino del diritto.
Pur tuttavia, la tematica in oggetto non è esente da profili di criticità che meritano di essere posti in rilievo.
Il diritto civile rappresenta la materia definitoria del tema in questa sede trattato. Il diritto amministrativo, dunque, svolge un ruolo squisitamente specialistico.
Basti pensare, infatti, che l’archetipo che dà luogo all’insorgere della responsabilità precontrattuale è rappresentato dalla rottura ingiustificata delle trattative.
Si tratta di una responsabilità che si potrebbe definire ‘di confine’ tra libertà e correttezza, coerentemente con quanto impone il dettato costituzionale all’art. 2, ove si sancisce, in un’ottica solidaristica, il limite nell’esercizio di un proprio diritto di libertà costituito dal non abuso dello stesso da parte del soggetto titolare.
D’altra parte, nella fase delle trattative, l’assenza di vincolo contrattuale, ancora non sorto, non esonera dall’assumere un generale dovere di correttezza.
Non si escluda il fatto che l’esercizio di un’azione precontrattuale mira a tutelare ed a far valere non un diritto soggettivo ma un diritto di libertà contrattuale già esistente al momento delle trattative.
Il bilanciamento tra libertà di contrarre e dovere di correttezza nella fase precontrattuale è stato ben evidenziato dalla Suprema Corte (SS.UU. n. 26724/2007) ove si sancisce che la condotta, posta in essere prima della stipula del contratto – consistente nel non adempiere i doveri informativi essenziali – altera l’equilibrio economico tra le parti.
Meritano di essere posti in rilievo, in questa sede, due ulteriori principi che si innestano nell’ambito della responsabilità precontrattuale che riguarda la P.A.
Si tratta, in primo luogo, del c.d. principio di tutela dell’affidamento che i cittadini ripongono nel comportamento della P.A. con la quale instaurano una relazione di sufficiente stabilità che giustifica l’affidamento reciproco.
In secondo luogo, occorre considerare il canone della c.d. autoresponsabilità che impone a chiunque entri in contatto con la P.A. di adempiere i necessari obblighi informativi prima di esporre la propria sfera giuridico-patrimoniale al c.d. rischio contrattuale.
Infine, nello specifico della responsabilità precontrattuale nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica, giova porre in rilievo la difficile conciliazione tra due momenti: uno civilistico ed uno amministrativistico.
Si tratta del c.d. principio dell’inesauribilità del potere di diritto pubblico, residuo di un ormai tramontato dogma di infallibilità della P.A. e del c.d. principio di vincolatività contrattuale che incombe su chiunque si preordini alla stipulazione di un contratto.
Il raffronto tra i summenzionati principi non genera, dunque, armonia ma, piuttosto, dà luogo all’insorgere di inevitabili contrasti che rendono la tematica in oggetto indubbiamente complessa ma, al contempo, affascinante.
[1] A. LALLI, Pubblico e privato: Le tendenze di lungo periodo e la recente disciplina in materia di società partecipate dai pubblici poteri, in Rivista italiana per le scienze giuridiche, n.7/2016.
[2] C. CICERO, Contratto pubblico e principi di diritto privato, CEDAM, 2001, p. 1.
[3] V. MONTANI, Responsabilità precontrattuale e abbandono ingiustificato delle trattative: un rapporto da genus a species, (Commento a Cass. civ. sez III, 20 marzo 2012 n. 4382) in Danno e responsabilità, n. 11/ 2012 pag 1103 ss.
[4] E. BRUGNOLI, La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione si configura solo dopo l’aggiudicazione, (Commento a Cons. St., sez. IV, 11 novembre 2008 n. 5633) in Giornale di diritto amministrativo n. 5/2009 pag. 499 ss.
[5] Così Cass. SS.UU., del 12 luglio 1951, n. 1912; Cass. civ., sez. un., del 20 aprile 1962, n. 792.
[6] M. NIGRO L’amministrazione tra diritto pubblico e privato: a proposito di condizioni legali, 1961, p. 461.
[7] M. NIGRO, L’amministrazione tra diritto pubblico e privato: a proposito di condizioni legali, in Foro Italiano, 1961, I, p. 461.
[8] Cass. n. 4382/2012.
[9] Cass. n. 9892/1993.
[10] La giurisprudenza più recente sembrava aver riconosciuto la rilevanza delle regole di buona fede e correttezza anche nella fase che precede l’aggiudicazione utilizzando lo schema della responsabilità precontrattuale. In questo senso, si veda Cass. n. 15620/2014, peraltro relativa ad un caso di licitazione privata – vedi anche sez. V, n. 3831/2013; nel senso che, anche prima dell’aggiudicazione, rileva, a prescindere dalla legittimità dell’atto di revoca, il comportamento complessivo dell’amministrazione: vedi Cons. St., Sez. IV, n. 142/2014. L’orientamento più restrittivo e tradizionale è stato ribadito da Cons. St., Sez. V, n. 1864/2015, secondo cui, se un affidamento tutelabile ex art. 1337 c.c., non presuppone necessariamente l’aggiudicazione definitiva, come statuito dalla Cassazione, lo stesso non può comunque prescindere dal compimento di un atto della procedura dal quale possa ritenersi sorto in capo all’impresa partecipante un ragionevole aggiramento circa l’esito positivo del concorso.
[11] S. RODOTÀ, Il tempo delle clausole generali, in Riv. critica dir priv., 1998, p. 709. C. CASTRONOVO, L’avventura delle clausole generali, 1986, p. 29. A. DI MAJO, Clausole generali e diritto delle obbligazioni, in Riv. critica dir. priv., 1984, p. 539, p. 569, ritiene che le clausole generali o principi in esse incorporati siano considerati quasi una “espansione dei principi costituzionali”. L. MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Riv. critica dir. priv., 1985, pp. 5 e ss., sottolinea il programma della clausola di buona fede di assoggettare rapporti obbligatori a regole morali non codificate.
[12] G. GALLI in Il foro Italiano – 2015, pp. 622: “Per vero, non appaiono del tutto infondate le preoccupazioni di quanti paventano una decisiva estensione della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, considerando che, da un lato, il contraente pubblico, diversamente da quello privato, è normativamente obbligato all’instaurazione di trattative multiple (con ciò moltiplicandosi le occasioni di ingenerare affidamenti tutelabili) e, dall’altro, la disciplina di evidenza pubblica individua minuziosamente i parametri comportamentali cui il soggetto pubblico è tenuto ad attenersi...[...]”.
[13] C. CICERO, Contratto pubblico e principi di diritto privato. CEDAM 2001, p. 87.
[14] A. PASSARELLA, Responsabilità precontrattuale della P.A. anche prima dell’aggiudicazione: un passo in avanti o una vittoria di Pirro? Commento a sentenza del Consiglio di Stato, Sez V, 15 luglio 2013, n. 3831. in: I contratti, n. 2/2014, p. 150.
[15] C. CICERO, Contratto pubblico e principi di diritto privato. CEDAM 2001, p. 96.
[16] C.CICERO, op. ult. cit., 97.
[17] Amplius V. CARBONE, Le nuove frontiere della responsabilità precontrattuale della P.A., in Il Corriere Giuridico, 5/2012, p. 685.
[18] Per un approfondimento della tematica in oggetto si veda CARINGELLA – DE MARZO, Manuale di diritto civile, III, Il Contratto, Giuffrè Milano, 2007.
[19] E. BETTI, Teoria generale dell’obbligazione, Giuffrè Milano, 1953, I, pp. 81 e ss.
[20] Cass., Sez. Un., n. 9645/2001.
[21] DE MAURO A. - FORTINGUERRA F. - TOMMASI S., La responsabilità precontrattuale, Cedam, Padova, 2007, p.309; DI BENEDETTO, Diritto civile, op. cit., p. 511; STOLFI G., Sulla colpa “in contrahendo”dell’Amministrazione pubblica, in Riv. dir. comm., 1975, II, p. 25 – 26.
[22] cfr. ex plurimis, 15040/2004; 16735/2011.
[23] Cass. Civ. sez. I 12/07/2016 n° 14188.
[24] Cass. Civ., sez. I, Sent. 12/05/2015, n. 9636.
[25] Cass. n. 23393 del 2008; Cass. n. 3383 del 1981; Cass. n. 3008 del 1968.
[26] Cass. n. 4635 del 2006.
[27] Cons. St. sez. VI, 5 settembre 2011 n. 5002 in Giornale del diritto amministrativo, n. 5/2012.
[28] Cons. St., sez VI, 2 settembre 2011, n. 4921, in Foro Amm. – CDS, 2011, p. 2811.
[29] Tar Lazio, Roma, sez II quater, 8 aprile 2010 n. 5913, in www.giustamm.it.
[30] Cons. St., sez. IV, 15 luglio 2008, n. 3536, in Foro amm. – CDS, 2008, p. 2375.
[31] C. Vitale, La revoca degli atti di gara; discrezionalità e dovere di diligenza della pa. Commento a sent. Cons. St., sez. VI, 5 settembre 2011, n. 5002. in Giornale del diritto amministrativo, n. 5/2012.
[32]Cons. St. sez. V, 26 giugno 2015, n. 3237 Foro it., 2015, III, 672, con nota di Travi.
[33] Cons St. sez. V, 14 aprile 2015, n. 1864, (id., 2015, III, 613, con nota di Galli).
[34] Cass. civ., sez. I, 12 luglio 2016, n. 14188 in Rivista del Notariato 2017, 4, II, 776 con nota di RINALDO e in Foro it., 2016, I, 2685, con nota di PALMIERI.
[35] E BRUGNOLI in La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione si configura solo dopo l’aggiudicazione, (Commento a Cons. St., sez. IV, 11 novembre 2008 n. 5633) in Giornale di diritto amministrativo n. 5/2009 pag. 503: “[Nell’ipotesi di rottura delle trattative ex art. 1337 c.c.] non è necessario il dolo o la mala fede del recedente per qualificare come illecita la rottura delle trattative (in quanto contraria alla libertà contrattuale), ma è sufficiente un comportamento colposo che lega un giustificato affidamento della controparte”.
[36] E. DEMICHELIS, Esclusione illegittima: la colpa della stazione appaltante e il danno risarcibile. In: Foro Amministrativo, II, fasc. 5, 2016, p. 1210.
[37] E. DEMICHELIS, op. cit..
[38] G.M. RACCA, Gli elementi della responsabilità della pubblica amministrazione e la sua natura giuridica, a cura di R. GAROFOLI, G.M. RACCA, M. DE PALMA) Milano, 2003 p. 158.
[39] In ambito nazionale si evidenzia un orientamento del giudice amministrativo volto a marginalizzare il requisito della colpa per affermare un criterio di responsabilità oggettiva cui si contrappongono decisioni che, in linea con la tradizionale impostazione, affermano l’imprescindibilità della dimostrazione della sussistenza dell’elemento psicologico, pur con richiamo all’errore scusabile che sposta l’onere della prova sulle amministrazioni aggiudicatrici e consente di qualificare la responsabilità precontrattuale come responsabilità da inadempimento degli obblighi che presidiano le procedure di selezione del contraente. Così Cons. St., Sez. V, 23 gennaio 2012, n. 265, in Foro Amm. Cons. St., 2012, p. 119, ove si richiama la possibilità di qualificare l’illegittimità dell’atto come presunzione semplice della colpa dell’amministrazione. Si veda da ult.: PONZIO, Il comportamento contraddittorio nella revoca dell’aggiudicazione di un appalto pubblico: la responsabilità precontrattuale e il danno risarcibile, in Urb. e Appalti, 2013, p. 1085; Cons. St., Sez. V, 12 settembre 2011, n. 4844, in www.giustiza-amministrativa.it;
[40] E. DEMICHELIS, Esclusione illegittima: la colpa della stazione appaltante e il danno risarcibile. In: Foro Amministrativo, II, fasc. 5, 2016, p. 1210.
[41] F. TRIMARCHI BANFI, L’aggiudicazione degli appalti pubblici e la responsabilità dell’amministrazione, in Dir. Proc. Amm. n. 1, 2015 pag 1-16.
[42] M. A. SANDULLI, Il risarcimento del danno, in G. GRECO (a cura di), La giustizia amministrativa negli appalti pubblici in Europa, Quaderni, in Riv. It. Dir. Pub. Comunitario, Milano, 2012, pp. 31 e ss. Sul punto anche GIOVAGNOLI, Il risarcimento del danno da provvedimento illegittimo, Milano, 2010; F. G. SCOCA, Risarcibilità e interesse legittimo; TRAVI, Tutela risarcitoria e giudice amministrativo.
[43] G. M. RACCA – S. PONZIO, Evoluzioni sulla responsabilità precontrattuale delle pubbliche amministrazioni, in Giur. it., 2015, 1975.
[44] Cfr. Cons. St., Sez. VI, 23 giugno 2005, n. 3999.
[45] Cons. St., Sez. IV, 19 marzo 2003, n. 1457.
[46] Si veda sul punto: Cons. St., Sez. V, 23 settembre 2002, n. 4852, sull’impossibilità di ricorrere a tale sistema di quantificazione del danno in assenza di un principio di prova.
[47] Così Cass. n. 3746/2005; 9157/95.
[48] D. BARBIERATO, La responsabilità precontrattuale della stazione appaltante. Profili risarcitori. In: Responsabilità Civile e Previdenza, fasc. 6, 2014, p. 2070B.
[49] G. FALCON, Il giudice amministrativo tra giurisdizione di legittimità e giurisdizione di spettanza, in Dir. proc. amm. 2001, p. 291.
[50] F. TRIMARCHI BANFI, L’aggiudicazione degli appalti pubblici e la responsabilità dell’amministrazione, in Dir. Proc. Amm. n. 1, 2015 pag 1-16, ove si cita: Cons. St. sez. IV, 7 febbraio 2012, n. 662 in De Jure, Giuffrè.
[51] F. TRIMARCHI BANFI, op. cit.:“la chance è la possibilità di conseguire una utilità, con l’avvertenza che tale possibilità assume rilevanza giuridica solo se supera un livello minimo di probabilità; di solito, il livello considerato sufficiente è quello che si situa al di sopra del cinquanta per cento. Il concetto di chance serva a superare l’incertezza che riguarda il corso che le cose avrebbero avuto in assenza del fatto contrario al diritto. Poremmo dire che si tratta di un procedimento controfattuale, che investe il nesso di causalità tra il fatto contrario al diritto (ad esempio l’ammissione alla gara è condizione sine qua non per l’aggiudicazione); l’interrogativo cui il concetto di chanche prmette di rispondere è se, supposta l’ammissione, l’aggiudicazione sarebbe stata conseguita o avrebbe avuto un grado di probabilità sufficiente affinché la perditadella probabilità sia considerata risarcivbile. Per rispondere ad una domanda di questo tipo occorre tener conto di fatti concomitanti, che concorron a determinare le probabilità di successo del titolare della chance – ad esempio il numero dei partecipanti alla gara – di questi fatti questi fatti si tiene conto quando si calcola la consistenza della chance”.
[52] Cass. Civ. 14 maggio 2013, n. 11548, in Guid dir. 2013, 33, 49; Id. 28 settembre 2010, n. 20351, con nota di PIRASTU, Brevi considerazioni in tema di risarcimento del danno da perdita di chance, in Respo. Civ. Prev., 2011, p. 104.
[53] Trib. di Reggio Emilia, 27 febbraio 2014, cit. par. 3.
[54] Cons. St., 31 marzo 2006, n. 5323.
[55] F. TRIMARCHI BANFI, L’aggiudicazione degli appalti pubblici e la responsabilità dell’amministrazione. Ibidem.
[56] Cass. Civ. sez. lav. 3 marzo 2010, n. 5119, in Giust. Civ. Mass. 2010, 3, p. 319.
[57] Cons. Stato, sez. IV, 15 settembre 2014, 4674 in Guida al diritto 2014, 41, 94 con nota di TOMASSETTI e in Foro it., 2015, III, 106, con nota di GALLI.
[58] Cons .St., sez. III, 9 febbraio 2016, n. 559; C.d.S., sez. V, 1 ottobre 2015, n. 4592.
[59] Cons.St., sez. V, 1 agosto 2016, n. 3450; C.d.S., sez. V, 8 aprile 2014, n. 1672, C.d.S., sez. V, 2 novembre 2011, n. 5837.
[60] L. CAMERIERO, Comm. a Sent. Tar Sicilia, Catania, sez. IV, 9 ottobre 2009, n. 1678, in Riv. Urbanistica e Appalti, Febbraio 2010.
[61] Cons. St., sez. III, ord., 24 novembre 2017, n. 5492 – Pres. Frattini, Est. Veltri.
[62] Cons. St., 5 settembre 2005, n. 6, in Foro it., 2009, III, 124; Foro amm. CDS 2006, 1, 86 con nota di VACCA.
[63] cfr. ad es. sez. V, 15 luglio 2013, n. 3831, in Rivista Giuridica dell'Edilizia 2013, 5, I, 925; Contratti, 2014, 146, con nota di PASSARELLA; Rass. avv. Stato, 2014, fasc. 1, 173, con nota di ROMEO
[64] cfr. ad es. sez. III, 29 luglio 2015, n. 3748 in Foro Amministrativo 2016, 3, 562 con nota di PIGNATTI
[65] Cons. Stato, Sez V, 15 luglio 2016, n. 3154.
[66] Gli operatori economici partecipanti potrebbero vantare, secondo questa tesi, solamente un interesse legittimo allo svolgimento corretto della procedura competitiva.
[67] Ovviamente deve trattarsi di atti di ritiro legittimi, perché in caso di loro illegittimità, si profilerebbe in capo alla P.A. la diversa forma di responsabilità per danno da lesione dell’interesse legittimo degli operatori economici alla conclusione della procedura (perdita di chance). La revoca (legittima) della procedura comporta comunque l’indennizzo ex art. 21 quinquies L. 241/1990.
[68] Cons. Stato, Ad. Plen., 4 maggio 2018 n. 5.
[69] Ad. Plen., n. 5/2018.
[70] Ad. Plen., n. 5/2018.
[71] Cons. St., Sez. IV, n. 2907/2018.
[72] Si menzioni a riguardo: Alessi, La responsabilità precontrattuale della P.A., Milano, 1951, p. 248; Si vedano anche: De Rosa, La responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione, superato il dogma della giurisprudenza civile, in Riv. giur. edil., 2001, I, p. 1183 e Zuccheretti, Brevi note in tema di responsabilità precontrattuale, in Foro amm. TAR, 2003, p. 3245.
[73] Significativo in tal senso, MANTELLINI, Lo Stato e il codice civile, op. cit., p. 47: “quando lo Stato usa del diritto privato a modo dei privati ciò fa senza pregiudizi della sua ragione politica e deve avvenire che l’ente pubblico si imponga sempre nella relazione civile e la modifichi fino a renderla compatibile con la qualità sempre pubblica dello Stato mai perduta”. Si rinvia a quanto rilevato in ordine alla teoria della bipartizione dell’attività amministrativa (Cantucci).
[74] Cass. civ., II, 12 luglio 1951, n. 1912, in Giur. Cass. civ., 1951, III, quadr. I, p.1.
[75] Cfr. Cass. 1912/1951 cit.; Trib. Trento 27 giugno 1947, in Foro pad., 1947, I, p. 106; Cass. 20 aprile 1962, n. 792, in Riv. giur. edil., 1962, I, p. 627
[76] Tale indirizzo era sostenuto dalla maggioritaria giurisprudenza, sia di merito che di legittimità (Trib. Verbania 28 gennaio 1953, in Foro it., 1954, I, p. 884, annotata; Trib. Cagliari 3 maggio 1958, in Foro it., Rep. 1958, voce Amm. St., n. 144; Cass. civ., II, 13 luglio 1960, in Foro it., Rep. 1960, voce Amm. St., n. 167).
[77] M. NIGRO, L’amministrazione tra diritto pubblico e diritto privato, in Foro it., 1961, 462 ss., il quale acutamente osserva che a venire in considerazione non è la valutazione circa la correttezza dell’agire dei pubblici poteri sotto il profilo del perseguimento o meno del pubblico interesse, perché, ai fini della responsabilità precontrattuale, a venire in gioco è, piuttosto, il comportamento della Pubblica Amministrazione quale corretto contraente.
[78] F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2017, 304.
[79] Cfr. Cassazione, Sez. Un., 12 luglio 1961, n. 1675; vedi M. NIGRO, L’amministrazione tra diritto pubblico e diritto privato: a proposito di condizioni legali, in Foro.it, 1961, I; pp. 457 e ss.
[80] Cfr. Cass., 12 luglio 1961, n. 1675, in Foro it., 1962, I, 1165, con nota di Bigliazzi – Geri.
[81] Cass., 29 luglio 1987, n. 6545, in Foro it., 1988, I, p. 460.
[82] Cfr. Cassazione, Sez. Un., 26 maggio 1997, n. 4673.
[83] Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 5 settembre 2005, n. 6, che ha riconosciuto e attribuito alla giurisdizione del G.A. la responsabilità precontrattuale della stazione appaltante nelle ipotesi di revoca dell'aggiudicazione di un appalto per mancanza di adeguate risorse finanziarie.
[84] Cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 2012, n. 552; Consiglio di Stato, Sez. IV, 15 settembre 2014, n. 4674; in dottrina cfr. M. Palma, Note in tema di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, pubblicato su www.dimt.it; parte della dottrina aveva, peraltro, precorso i tempi di tale evoluzione: cfr., ad esempio, Bianca, pp. 178 e segg.
Non mancano tuttora, comunque, decisioni che, in base alle caratteristiche della singola fattispecie, escludono la responsabilità contrattuale: si veda, ad esempio, Consiglio di Stato, Sez. III, 20 marzo 2014 n. 1365, in materia di project financing, ove si legge che:
“Essendo peraltro solo l’atto di scelta del promotore idoneo a determinare una immediata posizione di vantaggio per il soggetto prescelto, nessuna lesione di una situazione giuridicamente protetta può ravvisarsi nella mancata scelta facente seguito alla statuizione di inefficacia delle anzidette deliberazioni per effetto della mancata inclusione dell’opera nel piano sanitario regionale; sì che alcun legittimo affidamento può dirsi insorto in capo all’odierna appellante e nessuna lesione, come tale risarcibile, di siffatto affidamento può ravvisarsi”.
[85] Cfr. Cass. Sez. Un., 22 luglio 1999, n. 500, in Danno e resp., 1999, 10, p. 965, con nota di Carbone, Monateri.
[86] Cfr. Cass., 4 marzo 1987, n. 2253, in Foro it., 1988, I, p. 897 con nota di Albenzio.
[87] Cons. St. sez. IV, 11 novembre 2008, n. 5633
[88] Sulla distinzione rispetto all’altra ipotesi -quella di responsabilità precontrattuale cd. impropria- si veda, tra gli altri, F. CARINGELLA, La responsabilità della P.A.: un istituto dal sesso incerto, Relazione tenuta al Convegno 29 ottobre 2007 presso l’Università Luiss di Roma, su Attività contrattuale e responsabilità della P.A. pubblicata su www.giustizia-amministrativa.it.
[89] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 7 settembre 2009, n. 5245, ove si legge che “con particolare riferimento alle procedure di evidenza pubblica, la responsabilità precontrattuale dell'amministrazione, è stata indifferentemente configurata dalla giurisprudenza sia in presenza del preventivo annullamento per illegittimità di atti della sequenza procedimentale, sia nell'assodato presupposto della loro validità ed efficacia: a) nel caso di revoca dell'indizione della gara e dell'aggiudicazione per esigenze di una ampia revisione del progetto, disposta vari anni dopo l'espletamento della gara; b) per impossibilità di realizzare l'opera prevista per essere mutate le condizioni dell'intervento; c) nel caso di annullamento d’ufficio degli atti di gara per un vizio rilevato dall'amministrazione solo successivamente all'aggiudicazione definitiva o che avrebbe potuto rilevare già all'inizio della procedura; d) nel caso di revoca dell'aggiudicazione, o rifiuto a stipulare il contratto dopo l'aggiudicazione, per mancanza dei fondi”; conforme, più di recente, Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 febbraio 2012, n. 662.
[90] Cfr. Consiglio di Stato di Stato, Sez. IV, 20 febbraio 2014, n. 790, secondo cui: “La responsabilità precontrattuale della p.a. non è responsabilità da provvedimento, ma da comportamento, e presuppone la violazione dei doveri di correttezza e buona fede nella fase delle trattative, in quanto l'art. 1337 c.c. pone in capo alla p.a. obblighi analoghi a quelli che gravano su un comune soggetto nel corso delle trattative precontrattuale”; cfr., altresì, G.P. Cirillo, Diritto civile pubblico, 2012, ed. Direkta, pp. 476 e 790 e segg., ove si afferma, con riferimento alle vicende civilistiche, che a fronte della richiesta di interesse negativo “il contratto (nel caso ora esaminato il provvedimento: n.d.r.) scade a mero fatto storico”, essendo il suo contenuto irrilevante in relazione a una richiesta risarcitoria incentrata sul mero comportamento “materialmente scorretto” di controparte.
[91] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 15 luglio 2013, n. 3831, ove si è affermato che “La fase di formazione dei contratti pubblici è caratterizzata dalla contestuale presenza di un procedimento amministrativo e di un procedimento negoziale…Il procedimento negoziale è disciplinato da regole di diritto privato, finalizzate alla formazione della volontà contrattuale, che contemplano normalmente un invito ad offrire della p.a. cui segue la proposta della controparte e l'accettazione finale della stessa p.a. La presenza di un modello formativo della predetta volontà contrattuale predeterminato nei suoi profili procedimentali mediante la scansione degli atti sopra indicati…non rappresenta un ostacolo all'applicazione delle regole della responsabilità precontrattuale. Si è, infatti, in presenza di una formazione necessariamente progressiva del contratto, non derogabile dalle parti, che si sviluppa secondo lo schema dell'offerta al pubblico. Non è, dunque, possibile scindere il momento di sviluppo del procedimento negoziale limitando l'applicazione delle regole di responsabilità precontrattuale alla fase in cui il "contatto sociale" viene individualizzato con l'atto di aggiudicazione. Del resto, anche nel diritto civile il modello formativo dell'offerta al pubblico presuppone normalmente il "contatto" con una pluralità di “partecipanti” al procedimento negoziale. Diversamente argomentando l'interprete sarebbe costretto a scindere un comportamento che si presenta unitario e che conseguentemente non può che essere valutato nella sua complessità”.
[92] Cassazione civile, Sez. I, 12 maggio 2015, n. 9636; conforme T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 2 settembre 2015, n. 11008.
[93] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 29 dicembre 2014, n. 6406, secondo cui: “Nelle gare pubbliche il danno precontrattuale è riconducibile al solo interesse negativo, include il danno emergente (per le spese sostenute per la partecipazione alla gara e in previsione della conclusione del contratto) e il lucro cessante (dovuto alla perdita di ulteriori occasioni contrattuali, vanificate a causa dell'impegno derivante dall'aggiudicazione non sfociata nella stipulazione); non rientra nel prisma del danno precontrattuale l'interesse positivo, sub specie di utile di impresa, ossia i vantaggi economici che sarebbero derivati dall'esecuzione del contratto non venuto ad esistenza”.
[94] TAR Campania, sez. I, 14 settembre 2016, n. 4300, in lamministrativista.it, 8 novembre 2016, con nota di NUZZO