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La valutazione dell'offensività in concreto e l'introduzione della non punibilità per speciale tenuità
A cura di Michela Salerno
Il legislatore con la previsione di “non punibilità” di alcuni fatti di reato effettua una scelta discrezionale di politica criminale, in base alla quale elimina dal circuito penale condotte marginali, che nonostante siano conformi alla tipizzazione astratta non necessitano di applicazione della pena.
In tale ottica il principio di proporzionalità, inteso come adeguato rapporto tra la modalità di aggressione al bene giuridico protetto dalla norma e la sanzione applicabile, diviene il parametro di valutazione del reato nella sua manifestazione concreta, al fine di individuarne il disvalore.
Il fatto rimane tipico e pertanto antigiuridico, ma in riferimento alle modalità della condotta, all’entità del danno, al grado della colpevolezza, nonchè alla occasionalità dello stesso, l’impatto pregiudizievole sul bene tutelato è di entità tale da non richiedere la sanzione penale come extrema ratio (1).
Proprio con la legge delega n. 67/2014, il legislatore assegna al Governo il compito di delimitare l’area del penalmente rilevante di alcuni fatti previsti dalla legge come reato.
Sulla base di tale delega il d.lgs. 28/2015 introduce nel codice penale l’art. 131 bis c.p., rubricato “esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto”.
La norma, lungi dal sostanziare una abolitio criminis per determinate fattispecie previste come reato, attua una depenalizzazione in concreto, presupponendo la riscontrabilità di un fatto tipico, colpevole e offensivo, anche se in via residuale, per il quale, in base a valutazioni di deflazione processuale, si ritiene non necessario, in presenza di particolari condizioni statuite nella disposizione, prevedere la punibilità e la conseguente applicazione della pena (2).
Sono riscontrabili tutti gli elementi costitutivi del reato, tipizzati nella fattispecie astratta, ma in concreto il fatto ha una potenzialità offensiva ridotta, una illiceità gradata.
L’articolo va, dunque, tenuto distinto dalle ipotesi in cui la particolare tenuità è riferita al fatto e non all’offesa e rileva ai fini della quantificazione della pena, sub specie di circostanze attenuanti.
In esse il disvalore del fatto permane e si assiste ad una mera diminuzione di pena.
Esempio paradigmatico di particolare tenuità del fatto come circostanza attenuante è rappresentato dall’art. 62 n. 4 c.p., il quale prevede nei delitti contro il patrimonio l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, o del conseguimento del lucro di speciale tenuità, in tali casi la sanzione è ridotta.
Per completezza espositiva bisogna ricordare che la particolare tenuità del fatto come attenuante trova applicazione anche in numerose norme di settore (3).
Il T.U. sugli Stupefacenti, dpr 309/90 ,disciplina all’art. 73 comma 5 i fatti di lieve entità “in riferimento ai mezzi, alle modalità, alle circostanze dell’azione, ovvero alla qualità o quantità delle sostanze”; analoga norma di settore è poi prevista anche in materia di diritto d’autore, ex art. 171 ter legge 633/41.
Dalle premesse appena svolte si deduce che l’articolo 131 bis c.p. rappresenta un unicum nell’ambito del diritto penale sostanziale, atteso che il legislatore ha previsto un istituto di non punibilità per speciale tenuità generalizzato.
- Le differenze rispetto agli istituti analoghi.
L’esclusione della punibilità ex art. 131 bis c.p. presenta caratteri di peculiarità anche in riferimento alla irrilevanza del fatto prevista nel processo minorile e al fatto di particolare tenuità ex d.lgs 274/2000, procedimento innanzi al giudice di pace penale (4).
All’uopo occorre premettere che gli artt. 34 d.lvo 274/2000 e 27 dpr 448/88 divergono strutturalmente dalla disposizione ex art. 131 bis c.p..
Infatti, per essi l’operatività è processuale, non è contemplata l’esclusione della pena e conseguentemente la non punibilità dell’offesa, ma si preclude la sola procedibilità dell’azione penale.
Nell’art. 34 d.lvo 274/2000, se il fatto è di particolare tenuità, rispetto all’interesse tutelato, all’esiguità del danno o del pericolo, alla occasionalità o al grado di colpevolezza, tenuto conto del pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento potrebbe arrecare alle esigenze di lavoro, studio, famiglia, o di salute del reo, l’azione penale non si giustifica, nell’ottica di voler ritenere non punibili fatti di rilievo bagatellare.
Per espressa previsione normativa, l’istituto risulta applicabile non solo in fase predibattimentale, su richiesta del pubblico ministero con relativa istanza di archiviazione, salvo opposizione della persona offesa alla quale la richiesta va notificata, ma anche in dibattimento ove risulti già esercitata l’azione penale, esclusi i casi di opposizione di cui si è detto.
In tale ottica, come gia accennato, a differenza dell’art. 131 bis c.p., l’art. 34 d.lvo 274/2000 non rappresenta una causa di non punibilità in senso stretto, ma una condizione di procedibilità dell’azione penale, con una evidente ratio di deflazione processuale.
Diversi risulterebbero, peraltro, anche i presupposti applicativi dei due istituti.
La norma introdotta con il d.lsg. 28/2015 richiede che il reato abbia una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, o pena pecuniaria sola o congiunta alla predetta pena, che l’offesa, valutata sulla base dei parametri di cui all’art. 133 c.p., per le modalità realizzative e per l’esiguità del danno o del comportamento, sia di particolare tenuità e il comportamento non risulti abituale.
Sul punto la giurisprudenza ha specificato che la nuova causa di non punibilità del fatto non è applicabile innanzi ai procedimenti del giudice di pace.
Infatti, come evidenziato, le differenze che caratterizzerebbero le due fattispecie rispetto ai presupposti applicativi, ma soprattutto il ruolo della persona offesa, alla quale è concessa, ex art. 34 d.lgs. 274/2000, una facoltà inibitoria che si giustifica nella finalità conciliativa della giurisdizione del giudice di pace, sono in grado di connotare la disposizione citata come norma speciale rispetto all’art. 131 bis c.p..
Contrariamente a quanto affermato dalla Cassazione a sezioni semplici, le SS.UU. (5) nella sentenza in oggetto puntualizzano che il rapporto di specialità tra le due norme non è sussumibile sotto l’art. 15 c.p., ma deve essere ricondotto nell’ambito dell’art. 16 c.p..
Infatti, analizzando i due differenti precetti si ravviserebbero elementi specializzanti reciproci che non consentirebbero di poter individuare un rapporto di genus a species tra norme.
Ebbene, il rapporto sarebbe di c.d. “specialità reciproca”.
Se così è l’art. 34 d.lgs. n. 274/2000 deve qualificarsi come legge penale speciale ai sensi dell’art. 16 c.p..
Quest’ultimo contiene una autonoma disciplina della materia, operante nel microcosmo della giurisdizione del giudice di pace, alla quale non può essere estesa una disposizione di altro sistema non sorretta da una prospettiva volta alla conciliazione tra le parti.
Ad analoga conclusione deve giungersi anche in riferimento all’art. 27 dpr 448/88.
Il precetto consente di definire il giudizio con sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, ove risulti la tenuità dello stesso e l’occasionalità del comportamento, atteso che il proseguimento del procedimento sarebbe idoneo a pregiudicare le esigenze educative del minore.
L’irrilevanza è accertabile sia durante le indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero, a fini deflattivi del dibattimento, sia successivamente nell’udienza preliminare, nel giudizio direttissimo o immediato, con pronuncia persino d’ufficio dello stesso giudice.
Anche in tale caso la ratio è completamente differente rispetto a quella di politica criminale ravvisata nell’art. 131 bis c.p. e rispecchia la volontà del legislatore di tutela del minore e della integrità psicofisica dello stesso, al fine di tenerlo esterno al meccanismo penale, per il grave pregiudizio che potrebbe trarne a fronte di fatti reato di ridotta offensività.
- La tenuità dell’offesa.
La non punibilità per speciale tenuità presenta caratteri innovativi soprattutto con riguardo alla riferibilità della “particolare tenuità” all’offesa e non al fatto commesso.
Al riguardo, la giurisprudenza ha, peraltro, specificato che il giudice deve riscontrare non solo la presenza dei presupposti applicativi, ma deve tener conto, congiuntamente, della tenuità dell’offesa e della non abitualità del comportamento.
L’analisi deve basarsi sulle modalità della condotta e dell’esiguità del danno o del pericolo, valutati ex art. 133 c.p. con riguardo alla natura, specie, mezzi, modalità dell’azione, dell’intensità del dolo o della gravità della colpa, elementi ai quali deve aggiungersi il comportamento non abituale del reo.
In riferimento all’offesa viene specificato, al comma 2 dell’art. 131 bis c.p., che la stessa non può ritenersi di particolare tenuità quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, con crudeltà, anche in danno di animali, ha adoperato sevizie, ha approfittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, ovvero quando dalla condotta sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.
Attesa la quasi identità di previsione tra il comma 2 dell’art. 131 bis c.p. e le circostanze aggravanti ex art. 61 n. 1, 4, 5 c.p. , si ritiene dalla giurisprudenza non applicabilità la non punibilità per speciale tenuità del fatto in presenza delle medesime circostanze.
Divieto di applicazione si ha, in base allo stesso dato letterale, anche nel caso in cui la condotta abbia cagionato quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona, mentre la non punibilità può sussistere, in base all’ultimo comma della disposizione, persino ove la particolare tenuità del danno o del pericolo costituisca circostanza attenuante, a riprova della differenza strutturale dei due istituti.
La valutazione in riferimento alla modalità della condotta, all’esiguità del danno e al grado di colpevolezza va valutata rispetto al fatto concreto.
Una analisi complessa, che al fine di considerare tutte le peculiarità della fattispecie concreta, richiede il richiamo agli indici ex art. 133 c.p. in riferimento alla gravità del reato agli effetti della pena; una valutazione che attiene alla proporzionalità tra l’offesa al bene giuridico protetto dalla norma e l’esclusione della sanzione.
Solo la concreta manifestazione del reato, con la verificazione delle modalità della condotta può distinguere il fatto che nella realtà fenomenica è tipico e antigiuridico, dal fatto concretamente posto in essere, che risulta privo di disvalore e, pertanto, non punibile.
Non può che riferirsi al fatto concreto anche la considerazione delle conseguenze da esso prodotte, dovendosi tenere conto per stabilire l’entità del danno o del pericolo nonché la colpevolezza, dello “sfondo fattuale nel quale la condotta si inscrive” e quale sia il possibile impatto pregiudizievole rispetto al bene tutelato (6).
A ciò aggiungasi che il precetto, al comma 3, definisce il comportamento abituale, ogni qualvolta l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, considerato isolatamente sia di particolare tenuità, nonché nel caso di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate.
Le nozioni di delinquente abituale, professionale o per tendenza sono quelle richiamate dagli artt. 102, 103 105 e 108 c.p..
L’abitualità è presunta dalla legge quando il reo è stato condannato alla reclusione complessivamente superiore a cinque anni, per delitti non colposi della stessa indole e entro i dieci anni successivi commetta un ulteriore delitto, non colposo, della stessa indole.
E’, invece, dichiarata dal giudice nel caso in cui il soggetto risulti condannato per due delitti non colposi e riporti una ulteriore condanna, se in base ad una valutazione complessiva del fatto, della colpa e della capacità a delinquere del reo, il giudicante presume l’agente dedito al delitto.
La professionalità si ravvisa, invero, quando l’agente si trovi nelle condizioni previste per la dichiarazione di abitualità e si ritenga che viva normalmente, anche se in parte, dei proventi del reato.
E infine la dichiarazione di tendenza a delinquere si ha per chi, sebbene non ritenuto recidivo o delinquente abituale o professionale, commetta un delitto non colposo contro la vita e l’incolumità individuale, il quale rilevi una speciale inclinazione al delitto e trovi spiegazione in un’ indole particolarmente malvagia.
- I problemi interpretativi.
Dubbi ha suscitato l’ultimo inciso del comma 3 dell’articolo, ove si prevede che il reato è abituale quando ha “ ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate”.
Su tale ultima locuzione la dottrina ha avuto modo di dividersi in riferimento all’interpretazione delle caratteristiche della condotta, interrogandosi se i requisiti della non unicità dell’azione, della abitualità e della reiterazione vadano intesi come cumulativi o alternativi.
L’inciso apre spazio a problemi di diritto sostanziale.
Un indirizzo minoritario ha ritenuto necessaria una lettura congiunta, pervenendo alla esclusione dell’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. per i reati abituali, sulla base della precisazione che la disciplina di questo istituto presuppone la ripetizione nel tempo di condotte idonee e indirizzate ad offendere il bene giuridico protetto dalla norma, avendo il reato ad oggetto per definizione condotte plurime, abituali e reiterate ne conseguirebbe la non applicabilità alle ipotesi di reato abituale (7).
A medesime conclusioni si arriverebbe anche attraverso l’analisi della dicitura “condotte reiterate” che richiama il ripetersi nel tempo del comportamento e, pertanto, la non occasionalità.
Si precisa inoltre che se si optasse per una lettura disgiunta dell’inciso, la non punibilità non potrebbe applicarsi alla disciplina del reato continuato che presuppone la violazione di una stessa o di più disposizioni di legge per mezzo di più azioni od omissioni attuative di un medesimo disegno criminoso.
Tuttavia la Cassazione, ritenendo prioritaria la lettura disgiunta degli elementi riportati nell’ultimo inciso del terzo comma dell’art. 131 bis c.p. ne ha escluso la compatibilità con la continuazione.
La Corte ha affermato che il carattere plurimo delle condotte non può produrre l’estensione della non punibilità per speciale tenuità al reato continuato, ritenendosi in tal caso, di fatto, abituale la condotta dell’agente (8).
Nel 2015 la Corte di Cassazione ha, tuttavia, affermato l’applicabilità della disciplina di cui sopra al concorso formale e al reato permanente, ritenendo di non dover ravvisare in tali casi il carattere abituale della condotta, ma la presenza di un’unica azione protratta nel tempo che sia contemporaneamente violativa di più disposizioni penali (9).
Ulteriore problema si è posto in riferimento ai reati per i quali è prevista una soglia di punibilità, in essi infatti la rilevanza penale si ha solo se il danno superi un determinato limite quantitativo.
In espresso riferimento all’art. 186 codice della strada, la giurisprudenza (10) ha avuto modo di osservare che non sussisterebbe alcun limite all’operatività dell’istituto ex art. 131 bis c.p., anche ai reati con previsione di una soglia di punibilità, posto che è compito del giudice valutare in concreto, caso per caso, la sussistenza degli indici e dei presupposti stabiliti dalla disposizione in oggetto.
Ebbene, sarebbe irragionevole fissare in astratto da parte del legislatore soglie di disvalore della condotta, della colpevolezza o del danno, totalmente avulse dalla manifestazione contingente del fatto storico e a prescindere conseguentemente dalla peculiarità del caso concreto.
- La natura giuridica dell’istituto e ulteriori questioni.
E’ necessario, infine, accennare al rapporto tra causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. e cause di estinzione del reato, quali per esempio la prescrizione.
La causa estintiva non può che ritenersi prevalente, in base al principio del favor rei; essa fa venire meno lo stesso reato, contrariamente alla causa di non punibilità che esclude solo la punibilità e, quindi, l’applicazione della sanzione.
Molto si discute, poi, in riferimento alla natura dell’istituto.
Parte della dottrina ritiene di ricomprendere la norma nell’ambito del diritto processuale, con analoga funzione rispetto agli art. 27 dpr 448/88 e 34 d.lgs. 374/2000, ma è la stessa rubrica dell’articolo 131 bis c.p. ad escludere a priori tale ricostruzione.
In essa si fa, infatti, riferimento alla ‘punibilità’ prevedendosi una esclusione della sola pena, con l’obbligo del giudice di accertare comunque l’antigiuridicità del fatto, che continua a sussistere, non venendo meno il carattere illecito della condotta.
La stessa collocazione della norma nel titolo V libro I dedicato alla pena ne confermerebbe l’assunto.
Altro indice idoneo a far propendere per l’inquadramento dell’istituto nell’ambito della disciplina di diritto sostanziale deriverebbe dall’analisi dell’art. 651 bis c.p.p., introdotto con il medesimo decreto legislativo.
Con tale previsione si stabilisce che la sentenza di proscioglimento, pronunciata per particolare tenuità del fatto in seguito a dibattimento, è irrevocabile e ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e dell’affermazione che l’imputato lo ha commesso nel giudizio civile o amministrativo, con riferimento alle restituzioni e al risarcimento del danno promosso nei confronti del prosciolto.
Se ne deduce che, a fronte del riconoscimento del risarcimento del danno, il giudice debba accertare, prima dell’emissione della sentenza, che il fatto sussista, che il reo lo abbia commesso e che la condotta sia proprio quella tipizzata dalla fattispecie astratta di reato.
Egli deve verificare la presenza degli elementi costitutivi del delitto, atteso che il giudicato ha efficacia in riferimento alla illiceità penale del fatto e il reato, pertanto, non è escluso, venendone meno solo la pena irrogabile, per ragioni di opportunità politica e di deflazione processuale (11).
Tuttavia, una recente pronuncia della Cassazione del 2016 (12) ha sottolineato la natura mista della previsione, confermandone il carattere sostanziale ma evidenziandone anche importanti aspetti prettamente processuali.
Proprio partendo dall’analisi dell’art. 651 bis c.p.p., la Corte ha specificato che la disposizione si riferisce al proscioglimento e non all’assoluzione, così come confermerebbe altra previsione normativa, l’art. 469 comma 1 bis c.p.p. che consente espressamente, nel caso ex art. 131 bis c.p., di emettere sentenza di non doversi procedere previa audizione della persona offesa.
Il Supremo Consesso pone l’attenzione sulle espressioni utilizzate dal legislatore, le quali porterebbero a ritenere che si tratti di ipotesi di improcedibilità dell’azione penale, di una fase, pertanto, antecedente alla valutazione nel merito della condotta, e conclude affermando che l’istituto, nonostante sia di chiaro taglio sostanziale, possiede una dimensione processuale ampia idonea a precludere il protrarsi dell’azione penale in dibattimento.
- La successione di norme.
Infine, in assenza di norme intertemporali, la giurisprudenza è intervenuta con riferimento alla disciplina successoria riguardante le ipotesi di non punibilità per speciale tenuità.
Ebbene, la natura sostanziale dell’istituto consente l’applicabilità dell’art. 2 comma 4 c.p., il quale sancisce la retroattività favorevole delle disposizioni penali con il limite del giudicato.
Come è noto, l’intangibilità del giudicato viene meno solo con l’abolitio criminis e l’art. 131 bis c.p. presuppone invece, come ampiamente trattato, la sussistenza del reato.
Non si elimina il carattere della illiceità del fatto e la più favorevole disciplina incide non sul disvalore in astratto dello stesso, ma sulla punibilità in concreto.
Il problema successorio si è posto anche in riferimento ai giudizi pendenti innanzi alla Corte di Cassazione al momento di entrata in vigore della nuova disciplina.
All’uopo è stato analizzato il problema del giudizio ormai pendente innanzi alla Corte di Cassazione, atteso che al Supremo Consesso sarebbe precluso entrare nel merito e valutare la particolare tenuità dell’offesa nel caso concreto sottoposto al suo giudizio.
L’art. 609 comma 2 c.p.p. consente, tuttavia, ai giudici di legittimità di rilevare d’ufficio la sussistenza delle condizioni di applicabilità dell’art. 131 bis c.p., attesa la non deducibilità in appello della questione, con la necessità di rinviare la causa al giudice di merito, affinché proceda all’applicazione della causa di non punibilità.
7. Conclusioni
E’ bene evidenziare la portata innovativa dell’istituto di cui trattasi, non solo in riferimento alla configurazione che il legislatore ne ha dato, come norma di carattere generalizzato, operante al di fuori dei meccanismi del processo minorile e di quelli propri del giudice di pace penale, ma anche come disposizione che attua una depenalizzazione in concreto, frutto di una discrezionale scelta di politica criminale, con ratio deflattiva.
I profili di novità emergono anche dalle divergenze rispetto alle circostanze attenuanti, nelle quali la particolare tenuità è riferita al fatto e non all’offesa, comportando una mera diminuzione di pena e non l’esclusione della sanzione.
L’istituto ha sollevato problemi giurisprudenziali e dottrinari circa la sua natura giuridica, nei confronti della quale oggi si concorda: l’art. 131 bis c.p. possiede struttura ‘ibrida’, dovendosi inquadrare come norma di natura sostanziale, che tuttavia presenta importanti implicazioni sotto il profilo processuale, ai fini della procedibilità dell’azione penale.
La natura sostanziale consente l’estensione, anche all’art. 131 bis c.p., della disciplina successoria prevista ex art. 2 comma 4 c.p., nonché l’applicabilità dell’istituto ai reati con soglie di punibilità prestabilite, ai reati permanenti e al concorso formale di reati, con esclusione del solo reato continuato, nonostante i limiti che tale ultima considerazione comporta in riferimento alla compressione del principio del favor rei.
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Bibliografia:
- Garofoli, Manuale di diritto penale, parte generale, Nel Diritto Editore, XIV ED.,2018;
- Salerno, Il sistema del diritto penale, I, I principi generali del diritto penale, cap. III, Dike Ed. , 2017
- Risoli, il delitto di rientro sul territorio italiano dello straniero espulso e l’art. 131 bis c.p.: applicabilità in astratto della causa di non punibilità e suoi possibili criteri di applicazione in concreto in due provvedimenti del Tribunale di Milano, nota a sent. Trib. Milano 6133/2016 e Trib. Milano n. 10230/2016, in www. penalecontemporaneo.it, Maggio 2017;
- Sylos Labini, la Cassazione conferma l’inapplicabilità dell’art. 131 bis c.p. davanti al giudice di pace, nota a sent. n. 45996/2016, in www.penalecontemporaneo.it, dicembre 2016; C. M. Celotto, Art. 131 bis c.p. e art. 34 d.lgs. 274/2000 a confronto: un rapporto di necessario compatibilità, nota a sent. Cass. Sez. III, n. 20245/2017;
- SS. UU., 28 novembre 2017 n. 53683;
- Ancora S. Risoli, il delitto di rientro sul territorio italiano dello straniero espulso e l’art. 131 bis c.p.: applicabilità in astratto della causa di non punibilità e suoi possibili criteri di applicazione in concreto in due provvedimenti del Tribunale di Milano, nota a sent. Trib. Milano 6133/2016 e Trib. Milano n. 10230/2016, in www. penalecontemporaneo.it, Maggio 2017
- Sez. Pen, Sez. III, sent. 6870/2017;
- Pen. n. 29897/2015;
- Pen. n. 47039/2015;
- SS.UU. n. 13681/2016
- Pen. n. 15449/2015;
- Pen. n. 5800/2016;