Studi
L'affidamento ai servizi legali alla luce del nuovo D.Lgs 50/2016
A cura di Arianna Cutilli
INTRODUZIONE
La recente emanazione del d.lgs. 50/2016, c.d. Nuovo Codice dei Contratti Pubblici, ha riacceso con vigore la vexata quaestio sui limiti relativi all’applicabilità della normativa disciplinante le procedure ad evidenza pubblica agli affidamenti di servizi legali da parte della Pubblica Amministrazione, con particolare riferimento a quelle prestazioni che attengano alla difesa giudiziale e alle attività ad essa connesse.
Il dibattito interpretativo e applicativo in materia, ha visto contrapporsi, già sotto la vigenza dell’ora abrogato d.lgs. 163/2006, le tesi di quanti, da un lato, cercavano di confinare ad ipotesi limitate la sottoposizione degli affidamenti de quibus alle procedure di gara, vedendo, nella particolare natura del rapporto che si instaura al conferimento del mandato ad un procuratore, un limite ontologico rispetto alle logiche sottese alle suddette procedure, e di chi, dall’altro, propendeva per un’applicazione estesa della normativa, in ragione di una maggiore tutela delle istanze pubblicistiche, alla cui salvaguardia l’operare amministrativo deve sempre tendere.
In particolare, la tesi che potremmo definire restrittiva, fondava le proprie ragioni sulla necessità di preservare il rapporto fiduciario e l’intuitu personae, che stanno alla base del rapporto tra avvocato e cliente, in forza del contratto d’opera intellettuale (artt. 2230 ss. cod. civ.) tra loro stipulato col conferimento del mandato, sicché si riteneva ineluttabilmente vulnerata l’essenza stessa di tale contratto allorquando la scelta del professionista da nominare fosse stata il frutto di un’asettica procedura comparativa, volta a bilanciare le caratteristiche qualitative delle offerte con il principio di economicità cui devono informarsi le scelte dell’amministrazione.
La discrasia tra le due componenti balza ancora di più all’evidenza, poi, allorquando si ponga mente, in primis, al fatto che gli affidamenti di cui trattasi attengono ad un’opera intellettuale, la cui qualità è, gioco forza, connessa alla persona dell’offerente, che non può, quindi, essere indistintamente sostituito, rappresentando la sua prestazione un unicum per qualità, nonché al dato per cui la prestazione intellettuale richiesta verrà svolta a fini di tutela giurisdizionale della pubblica amministrazione e, quindi, a fortiori, degli interessi della collettività cui la prima è asservita. L’inevitabile assimilazione delle prestazioni legali agli altri servizi pure sottoposti alle procedure di gara, finisce, quindi, per svilire la funzione sociale dell’avvocato e il privilegiato rapporto che dovrebbe crearsi con il cliente, in virtù del conferimento del mandato.
Di diverso avviso erano, e, come si vedrà, sono, i sostenitori della tesi che vede l’effettiva applicazione dei principi che regolano l’azione amministrativa tutelata solo attraverso la soggezione delle procedure di affidamento di incarichi legali alle regole delle procedure comparative, non tollerando che, qualora il mandato sia conferito dalla pubblica amministrazione, possa trovare spazio l’affidamento diretto dell’incarico.
Le ragioni di tale avversione riposano sulla necessità di contrastare fenomeni di favoritismi e discriminazioni, di cui troppo spesso le amministrazioni si rendono colpevoli, e che portano con sé dispendi di risorse economiche, sacrificando la natura fiduciaria del rapporto tra avvocato e cliente, allorquando quest’ultimo si identifichi con una pubblica amministrazione.
Ancora oggi, questo contrasto, temporaneamente sopito con la nota pronuncia del Consiglio di Stato, 11 maggio 2012, n. 2730, altrimenti detta “Sentenza Caringella”, è ancora in fase di composizione, ridestato dall’emanazione del Nuovo Codice dei Contratti Pubblici, ma, ancor di più, dalle Direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE, 2014/25/UE in materia di appalti pubblici, per il suo tramite attuate, la cui formulazione, pedissequamente recepita dal Codice, ha dato luogo a nuove incertezze interpretative, che si traducono in un aumento dei contenziosi e in una loro disomogenea risoluzione.
Le nuove disposizioni europee, infatti, sembrerebbero escludere tout court dalla loro applicazione gli affidamenti di servizi legali c.d. giudiziali o forniti in ragione di un probabile contenzioso, sicché la puntuale trasposizione del testo europeo all’interno del Nuovo Codice avrebbe dovuto condurre alla medesima conclusione anche gli operatori interni.
Se così non è, la causa può essere rintracciata unicamente nel dato letterale della normativa europea che definisce “appalti di servizi” gli affidamenti dei servizi legali che comunque esclude dal suo ambito di applicazione.
La definizione così fornita, e trasposta all’interno del Nostro Codice, ha avuto il duplice effetto di indurre gli operatori a ritenere che le Direttive europee, definendo appalti di servizi anche gli affidamenti di servizi legali forniti in ragione di un contenzioso, volesse escludere la loro qualificazione come contratti d’opera intellettuale e, per l’effetto, ritenere sottoposti i detti appalti ai principi annoverati dall’art. 4 del Codice, i quali devono ispirare l’affidamento degli appalti di servizi esclusi dall’applicazione del Codice stesso.
Lo strumento interno che potrebbe fornire una certezza applicativa della normativa in materia è dato dalle emanande Linee Guida dell’ANAC, la quale, ha dato avvio, il 10 aprile 2017,ad una consultazione, in funzione della loro adozione.
Ad oggi, tuttavia, non solo dette Linee Guida non sono state adottate ma lo schema posto in consultazione presenta delle evidenti lacune e criticità, che si spingono fino a far sospettare che la loro adozione, rebus sic stantibus, possa integrare una violazione del divieto di goldplating, sicché le incertezze sono state prontamente espresse da coloro che hanno presentato le loro osservazioni e, in particolare, dal Consiglio Nazionale Forense, che preme per una profonda revisione del progetto.
Il presente elaborato si pone, quindi, lo scopo di analizzare il quadro normativo oggi vigente, e tuttora in formazione, alla luce di quello pregresso, rilevandone le lacune, così da favorire un proficuo ragionamento sul miglior modo di contemperare la tutela del rapporto di fiducia tra professionista e cliente e il buon agire della pubblica amministrazione.
1. LA DISCIPLINA PREVIGENTE E LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO N. 2730/2012, C.D. “ SENTENZA CARINGELLA”.
Prima di passare alla disamina della nuova disciplina codicistica, occorre soffermarsi sulla normativa precedentemente dettata dal previgente d.lgs. 163/2006, sì da comprendere non solo le modifiche operate mediante la riforma del 2016, ma anche i punti tutt’oggi rimasti scoperti e che hanno risolto l’ANAC a predisporre una consultazione, volta all’adozione di Linee Guida integrative della normativa approntata dal legislatore.
Sotto la vigenza dell’abrogato d.lgs. 163/2006, l’affidamento dei servizi legali era escluso dall’alveo delle procedure ad evidenza pubblica del Codice, per espressa previsione dell’art. 20, primo comma, il quale prevedeva che ai suddetti affidamenti, annoverati nell’Allegato II B, si applicassero solo gli artt. 65, 68 e 225 del Codice stesso[1]. Le tre previsioni normative richiamate erano sostanzialmente preposte a dare attuazione al più generale principio di trasparenza, che, unitamente ai principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento e proporzionalità, avrebbe comunque dovuto guidare l’azione amministrativa nell’affidamento dei servizi esclusi, mediante la pubblicità dell’aggiudicazione dell’affidamento e l’indicazione delle specifiche tecniche nel bando di gara.
Oltre a questo, l’art. 27, rubricato “Principi relativi ai contratti esclusi”, prevedeva che l’affidamento di questi avvenisse comunque nel rispetto dei principi sopra richiamati, nonché previo invito, da parte della stazione appaltante, ad almeno cinque concorrenti.
Di fatto, quindi, la precedente normativa, pur escludendo dall’ambito applicativo del Codice l’affidamento di detti servizi ma prevedendo comunque una procedura comparativa, sembrava non ammettere la possibilità che l’incarico al patrocinatore avvenisse per affidamento diretto.
La prima difficoltà di carattere ermeneutico all’emanazione dell’abrogato Codice, fu, allora, quella di definire la nozione di “servizi legali”, atteso che un’inclusione tout court di qualsivoglia incarico di patrocinio legale all’interno dell’Allegato II B avrebbe significato non considerare che all’amplissimo spettro dei servizi legali possano ricondursi molteplici e differenti attività, che possono mal conciliarsi con una procedura comparativa.
Venne così a crearsi un acceso dibattito interpretativo tra quanti propendevano per un’esclusione a tutto tondo degli affidamenti in esame, ma pur sempre con l’applicazione delle norme richiamate dall’art. 20, e quanti, invece, rilevando l’endemica poliedricità delle attività riconducibili sotto la nozione di “servizio legale”, sostenevano fermamente la necessità di procedure di affidamento differenziate.
In particolare, la discrasia ermeneutica si attestava sulla possibilità di ricondurre o meno alla categoria dei servizi legali di cui all’Allegato II B tanto i singoli incarichi episodici ed occasionali conferiti agli avvocati, quanto quelle attività di consulenza e assistenza giuridica a carattere continuativo, inerenti ad un’organizzazione stabile e complessa.
La diatriba interpretativa venne successivamente risolta con la celeberrima pronuncia del Consiglio di Stato, 11 maggio 2012 n. 2730, nota come “Sentenza Caringella”.
I giudici di Palazzo Spada, in detta occasione, riformarono una pronuncia del T.A.R. Lazio[2], che abbracciava l’orientamento interpretativo secondo cui sia l’attività di assistenza e consulenza giuridica di carattere continuativo, sia il conferimento del singolo incarico di patrocinio legale sarebbero stati sussumibili nella nozione codicistica di servizi legali .
Scostandosi da questo orientamento onnicomprensivo, il Consiglio di Stato ritenne, differentemente, di tenere distinte le due tipologie di incarichi, concludendo che il conferimento del singolo incarico episodico, basato su necessità contingenti, non costituisse appalto di servizi legali, ma integrasse un contatto d’opera intellettuale, ai sensi dell’art. 2229 cod.civ., il quale, per la sua ontologica connotazione a carattere fiduciario, mal si concilia con le modalità di selezione delle procedure ad evidenza pubblica.
Al contrario, l’incarico di consulenza e di assistenza inserito in un complesso organizzato di attività professionali, basato sulle esigenze dell’amministrazione, benché inquadrato come servizio escluso, era, a giudizio del Consiglio di Stato, da ritenersi pur sempre soggetto ai principi di pubblicità e trasparenza, poiché caratterizzato da un “quid pluris”, una complessità, mancante nel caso di incarichi episodici.
2. LE DIRETTIVE COMUNITARIE E IL NUOVO D.LGS. 50/2016.
Proprio in ragione del possibile conflitto tra le esigenze di salvaguardia del rapporto fiduciario che deve legare il professionista e il cliente e la natura pubblica del cliente stesso, comunque asservito ai principi che reggono l’azione amministrativa, la normativa comunitaria ha cercato di bilanciare le diverse istanze.
Il risultato di questo bilanciamento riposa nelle tre direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, emanate nel 2014 (2014/23/UE, 2014/24/UE, 2014/25/UE), le quali escludono la loro applicazione ai servizi di arbitrato e di conciliazione, nonché ai servizi legali, riservandola residualmente, seppur con un regime giuridico “alleggerito”, ai servizi legali riportati negli allegati XIV della Direttiva 2014/23/UE, IV della Direttiva 2014/24/UE, e XVII della Direttiva 2014/25/UE, riguardanti “esclusivamente questioni di puro diritto nazionale”, e purché si attestino al di sopra della soglia di rilevanza comunitaria di € 750.000,00.
Recitano entrambi gli art. 10 delle Direttive 2014/23/UE e 2014/24/UE:
“La presente direttiva non si applica agli appalti pubblici di servizi:[…]
- d) concernenti uno qualsiasi dei seguenti servizi legali:
- i) rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 77/249/CEE del Consiglio:
— in un arbitrato o in una conciliazione tenuti in uno Stato membro, un paese terzo o dinanzi a un’istanza arbitrale o conciliativa internazionale; oppure
— in procedimenti giudiziari dinanzi a organi giurisdizionali o autorità pubbliche di uno Stato membro o un paese terzo o dinanzi a organi giurisdizionali o istituzioni internazionali;
ii) consulenza legale fornita in preparazione di uno dei procedimenti di cui alla presente lettera, punto i), o qualora vi sia un indizio concreto e una probabilità elevata che la questione su cui verte la consulenza divenga oggetto del procedimento in questione, sempre che la consulenza sia fornita da un avvocato ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 77/249/CEE;
iii) servizi di certificazione e autenticazione di documenti che devono essere prestati da notai;
iv) servizi legali prestati da fiduciari o tutori designati o altri servizi legali i cui fornitori sono designati da un organo giurisdizionale nello Stato membro interessato o sono designati per legge per svolgere specifici compiti sottola vigilanza di detti organi giurisdizionali;
v) altri servizi legali che, nello Stato membro interessato,sono connessi, anche occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri;
L' art. 17, lett. d), del nuovo Codice, recependo pedissequamente le direttive comunitarie, elencale medesime tipologie di servizi legali da queste previste nell’art. 10, escludendole dall'ambito oggettivo di applicazione delle disposizioni codicistiche.
Risultano esclusi dall’applicazione del Codice, “gli appalti e concessioni di servizi” concernenti:
“1) la rappresentanza legale da parte di un avvocato:
1.1) in un arbitrato o in una conciliazione tenuti in uno Stato membro dell'Unione europea, un Paese terzo o dinanzi a un'istanza arbitrale o conciliativa internazionale;
1.2) in procedimenti giudiziari dinanzi a organi giurisdizionali o autorità pubbliche di uno Stato
membro dell'Unione europea o un Paese terzo o dinanzi a organi giurisdizionali o istituzioni internazionali;
2) la consulenza legale fornita in preparazione di uno dei procedimenti di cui al punto 1.1), o qualora vi sia un indizio concreto e una probabilità elevata che la questione su cui verte la consulenza divenga oggetto del procedimento;
3) servizi di certificazione e autenticazione di documenti che devono essere prestati da notai;
4) servizi legali prestati da fiduciari o tutori designati o altri servizi legali i cui fornitori sono designati da un organo giurisdizionale dello Stato o sono designati per legge per svolgere specifici compiti sotto la vigilanza di detti organi giurisdizionali;
5) altri servizi legali che sono connessi, anche occasionalmente, all'esercizio dei pubblici poteri”.
La trasposizione letterale del dettato normativo europeo, priva di una rielaborazione del legislatore nazionale, volta all’adattamento del primo all’interno dell’ordinamento italiano, ha avuto come deprecabile conseguenza quella di dar luogo ad incertezze interpretative discendenti dalla qualificazione dei servizi legali come “appalti di servizi”.
Le Direttive europee, infatti, non distinguendo tra i diversi contratti pubblici che possono essere stipulati dalle amministrazioni, li riconduce tutti alla nozione di appalti di servizi, quali contratti pubblici, dimostrando così di non conoscere la figura del contratto d’opera intellettuale, avente, invece, natura privatistica.
Il carattere onnicomprensivo della qualificazione di appalti di servizi, che ingloba anche le prestazioni legali, letteralmente ripresa dall’art. 17, ha ingenerato in molti operatori e negli interpreti la diffusa ed erronea convinzione per cui si debba ritenere superata la distinzione cristallizzata nella Sentenza Caringella, escludendo così la configurabilità degli affidamenti in esame quali contratti d’opera intellettuale, ai sensi degli artt. 2229 ss. cod. civ..
Peraltro, l’esclusione dall’ambito di applicazione oggettiva del Codice, sembrerebbe, almeno a detta dell’ANAC, non dispensare le amministrazioni, che vogliano affidare questi servizi, dall’osservanza dell’art. 4 del Codice, ai sensi del quale “L’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall’ambito di applicazione oggettiva del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità., efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica”.
Sul punto si tornerà, in seguito, anticipando sin da ora che il presupposto dell’applicabilità del suddetto articolo è proprio la dibattuta qualificazione dei servizi legali quali appalti di servizi, considerando che l’art. 3 del Codice definisce “Contratti pubblici” quelli aventi ad oggetto gli appalti o concessioni di servizi.
Le prestazioni richiamate dall’art. 17, primo comma, lett. d), tuttavia, non esauriscono il novero dei servizi legali disciplinati dal Codice, poiché l’Allegato IX ne individua di diversi e ulteriori[3], che vengono, invece, ricondotti all’ambito di applicazione degli artt. 140, 142, 143 e 144 del Codice, nella misura in cui non siano esclusi a norma dell’art. 17, primo comma, lett. d)[4]. Queste diverse prestazioni si concretano in attività stragiudiziale e, quindi, nella produzione di pareri o, comunque, di atti di assistenza legale non connessi alla difesa in giudizio, che può essere svolta non solo da avvocati iscritti all’albo, ma anche da figure professionali dotate di formazione equivalente, quali, ad esempio, commercialisti o consulenti del lavoro. Per tali servizi è prevista, sia dalla normativa europea che da quella interna, la soggezione ad un regime c.d. “alleggerito”, la cui disciplina è dettata dagli artt. 140 e 142 del Codice, fintanto che ci si riferisca ad affidamenti che superino la soglia di rilevanza di € 750.000,00. Gli affidamenti al di sotto di tale importo, infatti, devono essere operati con le modalità disposte dal Codice, in particolare, dall’art. 36, e dalle Linee Guida ANAC n. 4, di cui alla Delibera 26 ottobre 2016 n. 1097.
La ratio sottesa a questa particolare disciplina è chiaramente enunciata dal Considerando n. 116 della Direttiva 2014/24/UE, il quale recita che “taluni servizi legali riguardano esclusivamente questioni di puro diritto nazionale e sono pertanto offerti generalmente solo da operatori ubicati nello Stato membro interessato e hanno di conseguenza anche una dimensione limitatamente transfrontaliera. Dovrebbero pertanto rientrare solo nel regime alleggerito, con una soglia di 750.000 EUR. Gli appalti di servizi legali al di sopra di tale soglia possono rivestire interesse per vari operatori economici, quali gli studi legali internazionali, anche su base transfrontaliera, in particolare ove riguardino questioni giuridiche aventi come fonte o contesto il diritto dell’Unione o il diritto internazionale oppure questioni giuridiche che interessano più di un paese”.
La nuova disciplina, quindi, prevede due regimi differenziati, a seconda delle diverse attività concernenti l’affidamento.
Da un lato, per i servizi di cui all’art. 17, primo comma, lett. d), è stabilita una totale esclusione della normativa codicistica, sicché, rispetto alla disciplina previgente, la procedura di affidamento è evidentemente alleggerita, non essendo prevista l’applicazione delle norme sulle modalità di pubblicità dell’aggiudicazione, né l’obbligo di invito ad altri concorrenti, rimanendo l’amministrazione, comunque apparentemente vincolata al rispetto dei principi generali di cui all’art. 4 e mentre, d’altro canto,gli altri servizi previsti dall’Allegato IX restano vincolati ad una procedura semplificata.
La normativa codicistica, così delineata, ha, tuttavia, generato diversi dubbi interpretativi sull’esatta individuazione delle tipologie di servizi legali rientranti nell’elenco di cui all’art. 17, primo comma, lett. d), e le relative modalità di affidamento, e di quelle comprese nelle categorie di cui all’Allegato IX, sicché diverse sono state le richieste di chiarimenti pervenute all’ANAC, che, il 10 aprile 2017, ha dato avvio ad una consultazione su un documento, al fine di pervenire all’adozione di un atto di regolazione, ex art. 213, secondo comma, del Codice, chiedendo altresì il parere del Consiglio di Stato.
3. LE ADOTTANDE LINEE GUIDA DELL’ANAC. LE PROCEDURE DI AFFIDAMENTO.
La bozza di Linee Guida posta in consultazione dall’ANAC[5] tenta di delineare, seppur in maniera sintetica e con risultati discutibili, le caratteristiche di alcuni dei servizi legali di cui all’art. 17, lett. d), nonché delle categorie di cui all’Allegato IX, al fine di tracciare e definire le rispettive procedure da seguire per l’affidamento degli stessi.
Esaminando, in particolare, le fattispecie di cui all’art. 17, lett. d), n. 1) e 2), ossia “La rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato in un arbitrato, in una conciliazione o in procedimenti giudiziari dinanzi a organi giurisdizionali e la consulenza legale fornita in preparazione di uno di tali procedimenti”, l’Autorità spiega come l’esclusione di tali servizi dall’applicazione codicistica trovi fondamento nella specificità della funzione difensiva svolta dall’avvocato, la cui nomina a tale scopo avviene secondo modalità che entrano ineluttabilmente in contrasto con le norme relative all’aggiudicazione degli appalti, salvo poi successivamente contraddirsi, come si vedrà in seguito. L’esclusione, specifica l’ANAC, riguarderebbe, pertanto, sia gli incarichi singoli ed episodici, sia quelli che ineriscano ad una specifica organizzazione e che si instaurino nell’ottica di un rapporto continuativo e complesso con la p.a., rispetto alla singola difesa in giudizio, affermando, così, il superamento della precedente distinzione sanzionata dalla nota Sentenza Caringella.
Di più difficile interpretazione risultano, invece, le attività riferibili a momenti prodromici alla difesa in giudizio, quali quelle fornite qualora vi sia un indizio concreto e una probabilità elevata che la questione su cui verte la consulenza divenga oggetto del procedimento. A tale proposito, l’ANAC si limita a fornire solo pochi esempi, non esaustivi, di circostanze che possano essere indicative di tale fattispecie, quali la ricezione da parte dell’amministrazione di una diffida o messa in mora, o il caso in cui fattispecie analoghe siano state già oggetto di un precedente procedimento.
Con riguardo, invece, ai servizi individuati dall’Allegato IX, il documento di consultazione chiarisce come queste diverse prestazioni si concretino, prevalentemente, in attività stragiudiziale e, quindi, nella produzione di pareri o, comunque, di atti di assistenza legale non connessi alla difesa in giudizio, che possono essere svolte non solo da avvocati iscritti all’albo, ma anche da figure professionali dotate di formazione equivalente, quali, ad esempio, commercialisti o consulenti del lavoro.
3.1 L’AFFIDAMENTO DEI SERVIZI LEGALI DI CUI ALL’ART. 17, PRIMO COMMA, LETT. D) DEL CODICE.
Come precedentemente anticipato, l’esclusione prevista per i servizi legali dell’art. 17, primo comma, lett. d) del Codice, e che possiamo individuare in prestazioni fornite da un avvocato in ragione di un contenzioso, non esonera, a giudizio dell’ANAC, le amministrazioni dal rispetto, nell’affidamento dei suddetti, dei principi generali richiamati dall’art. 4 del Codice, quali, ai fini che interessano la materia, quelli di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e pubblicità[6].
Tuttavia, l’ANAC, in aperto contrasto con quanto disposto dalla normativa europea, fissa l’applicazione di regole “minime”, ricavate dalla disamina dei principi generali del richiamato art. 4, dai quali ne estrapola una vera e propria procedura comparativa, che le amministrazioni dovrebbero seguire per affidare gli incarichi di cui all’art. 17.
Il presupposto da cui muove l’Autorità, corroborato anche dalla lettera delle Direttive europee, è che i suddetti contratti non possano essere affidati come se si trattasse di incarichi intuitu personae, richiamandosi alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE che sostiene l’inclusione nella nozione di imprenditore anche dell’esercente una professione intellettuale.
Le modalità di affidamento, ricavate dall’ANAC dall’applicazione dei principi di cui all’art. 4, si traducono nel dovere dell’amministrazione di invitare degli operatori economici, cui dovrà essere garantito l’accesso a tutte le informazioni relative all’appalto, a presentare una manifestazione d’interesse in relazione all’affidamento della “procedura di gara”, corredate di un’offerta che dovrà essere valutata dall’amministrazione in posizione di terzietà, anche attraverso un confronto con la spesa per precedenti affidamenti, nonché tramite una valutazione comparativa di due o più preventivi. Ai fini della suddetta valutazione, inoltre, l’amministrazione potrà ben tener conto dell’esito positivo di un precedente contenzioso.
Infine, l’ANAC rappresenta l’insensata possibilità per le pubbliche amministrazioni di predisporre appositi elenchi, pubblicati sui propri siti istituzionali, dove i professionisti potrebbero iscriversi, al fine di essere selezionati dall’amministrazione che si determinasse ad affidare un incarico, “così da restringere tra essi il confronto concorrenziale”.
Salve le critiche ad una tale previsione, che verranno in seguito esposte, l’ANAC si spinge fino ad ammettere la possibilità per la p.a. di estrarre a sorte dall’elenco o di affidare direttamente l’incarico, giusta motivazione, nelle ipotesi di costituzioni in giudizio impellenti.
3.2 L’AFFIDAMENTO DEI SERVIZI LEGALI DI CUI ALL’ALLEGATO IX DEL CODICE.
Più definiti, sono i contorni della procedura da seguire per l’affidamento dei diversi servizi legali annoverati nell’Allegato IX, per i quali il Codice prevede un regime differente, a seconda che l’importo del loro affidamento si attesti, o meno, al di sopra della soglia di rilevanza comunitaria.
Per gli incarichi di valore superiore ad € 750.000,00 trova applicazione, infatti, la disciplina codicistica di cui agli artt. 140 e 142 del Codice, la quale prevede un regime pubblicitario alleggerito con riguardo sia al provvedimento di indizione dell’affidamento, sia a quello di aggiudicazione.
Le stazioni appaltanti possono, infatti, rendere nota l’intenzione di affidare un incarico anche mediante avvisi di gara periodici, pubblicati in maniera continuativa, i quali prevedano che gli appalti vengano aggiudicati senza successiva pubblicazione, invitando i soggetti interessati a presentare le proprie offerte. Egualmente, anche le aggiudicazioni possono essere rese note mediante avvisi periodici, pubblicati trimestralmente, unitamente ad avvisi concernenti altri affidamenti.
Diversamente, per gli affidamenti sottosoglia, si procederà come previsto dall’art. 36 del Codice, nonché dalle Linee Guida ANAC adottate con delibera 26 ottobre 2016, n. 1097.
In particolare, le stazioni appaltanti potranno procedere all’affidamento del servizio o direttamente, qualora l’importo dello stesso sia inferiore ad € 40.000,00, o, se l’importo sia superiore a detta soglia, attraverso una procedura negoziata, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, da individuare sulla base di indagini di mercato o elenchi precostituiti.
La semplificazione della procedura di aggiudicazione, non esonera, in ogni caso, l’amministrazione dal rispetto dei principi generali elencati dall’art. 30 del Codice[7], nonché del principio di rotazione, sia con riguardo agli inviti rivolti agli operatori, sia all’aggiudicazione, scongiurando, in tal modo, un abuso della procedura semplificata, soprattutto con riguardo alla possibilità di affidamento diretto, il cui impiego potrebbe tradursi in una sistematica violazione dei principi di correttezza e non discriminazione.
Per quanto riguarda i criteri di aggiudicazione, avendo tali servizi natura intellettuale, gli stessi saranno affidati, in forza di quanto disposto dall’art. 95, terzo comma, lett. b) del Codice, sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (c.d. OEPV)[8], sì da garantire che la scelta dell’operatore non avvenga solo sulla base di un risparmio di spesa per la p.a., senza, invece, tener conto del precipuo carattere qualitativo dell’offerta. A tal proposito, benché lo stesso art. 95, al quarto comma, preveda la possibilità di ricorrere al criterio del minor prezzo, qualora gli affidamenti si attestino su un importo inferiore ad € 40.000,00, l’Autorità rappresenta la necessità che anche per questi si adoperi il criterio dell’OEPV, in ragione non solo della natura di servizi intellettuali, ma anche delle finalità di tutela difensiva cui sono preposti, e a tal fine individua i criteri di valutazione delle offerte, quali:
- Professionalità e adeguatezza dell’offerta desunta dal numero di servizi svolti dal concorrente affini a quelli oggetto dell’affidamento, con possibilità di fare riferimento anche al numero e al valore economico degli incarichi pregressi;
- Caratteristiche metodologiche dell’offerta desunte dall’illustrazione delle modalità dei svolgimento delle prestazioni oggetto dell’incarico, con possibilità di richiedere proposte migliorative dei servizi indicati nella documentazione di gara;
- Ribasso percentuale unico indicato nell’offerta economica;
- Titoli accademici o professionali attinenti alla materia oggetto del servizio legale oggetto di affidamento.
Com’è agevole rilevare, l’individuazione e le modalità di affidamento di questa categoria di servizi non sollevano grandi problemi di natura interpretativa e applicativa, posto che, al di là di valutazioni circa la bontà delle scelte normative interne e, di rimando, europee, il quadro normativo è chiaramente delineato e non lascia margini di incertezza circa la soggezione degli affidamenti in esame a procedure comparative.
4. LE CRITICHE ALLE LINEE GUIDA ANAC. I PARERI DEL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE E DELL’UNIONE DEGLI AVVOCATI AMMINISTRATIVISTI.
In seguito alla pubblicazione del documento di consultazione esaminato, diversi sono stati i pareri rilasciati all’ANAC, dai quali emerge chiaramente il dibattito sorto in ragione dello schema di Linee Guida presentato dall’Autorità.
Il documento presenta, infatti, delle indubbie criticità laddove sembra tentare di ricondurre, disattendendo sia la normativa europea che quella interna, all’unica categoria di appalto di servizi legali, tanto i servizi di cui all’Allegato IX, soggetti a procedura ad evidenza pubblica, quanto quelli elencati all’art. 17, primo comma lett. d), rappresentando la necessità che si segua una procedura ad evidenza pubblica anche per questi ultimi.
L’ANAC muove, infatti, dal presupposto che la disciplina introdotta dal Codice superi la distinzione, cristallizzata dalla già esaminata Sentenza Caringella, tra il conferimento del singolo incarico di patrocinio legale, sottratto alla disciplina dell’abrogato d.lgs. 163/2006 poiché qualificato come contratto d’opera intellettuale, e l’attività di consulenza e assistenza fornita alla pubblica amministrazione, qualificata come appalto di servizi in ragione della complessità dell’affidamento e della predeterminazione della durata dell’incarico.
La base normativa, da cui l’ANAC fa discendere il superamento della distinzione è il dato letterale, contenuto nelle direttive europee e nel d.lgs. 50/2016, che le ha pedissequamente recepite, che sussume ogni tipo di servizio legale prestato in favore della p.a. nella nozione comunitaria di “appalto di servizi”, la quale, essendo più ampia di quella italiana, tanto da ricomprendere anche le prestazioni di servizi d’opera intellettuale, ingloberebbe quest’ultima, eliminando dall’ordinamento interno (limitatamente all’ambito dei contratti pubblici) la figura del contratto d’opera professionale, e con essa i concetti di fiducia e dell’intuitu personae, imponendo così alle amministrazioni che intendano affidare uno degli incarichi “esclusi” lo svolgimento di un vero e proprio procedimento di gara, delineato attraverso l’esplicazione dei principi di cui all’art. 4 del Codice.
Il ragionamento non convince e si pone in aperto contrasto con il disegno tracciato dalle normative comunitarie.
Innanzitutto, l’ANAC disegna una procedura di gara per i suddetti affidamenti, muovendo dal presupposto che questi, poiché qualificabili come appalti di servizi, non possano essere conferiti direttamente per incarico intuitu personae e, quindi, di fatto, rifiuta il dettato normativo interno ed europeo che per tali affidamenti prevede una totale esclusione dalla soggezione a procedure comparative.
Come anche rilevato dal parere rilasciato dal Consiglio Nazionale Forense, nella seduta del 15/12/2017, in realtà è la stessa Direttiva 2014/24/UE a rilevare la considerazione esattamente contraria a quella dell’Autorità, laddove nel Considerando n. 25 della Direttiva recita: “Taluni servizi legali sono forniti da prestatori di servizi designati da un organo giurisdizionale di uno Stato membro,comportano la rappresentanza dei clienti in procedimenti giudiziari da parte di avvocati, devono essere prestati da notai o sono connessi all’esercizio di pubblici poteri. Tali servizi legali sono di solito prestati da organismi o persone selezionate o designate secondo modalità che non possono essere disciplinate da norme di aggiudicazione degli appalti, come può succedere ad esempio per la designazione dei pubblici ministeri in taluni Stati membri. Tali servizi legali dovrebbero pertanto essere esclusi dall’ambito di applicazione della presente direttiva”[9].
È, quindi, lo stesso legislatore europeo a riconoscere le peculiarità del rapporto che si instaura tra professionista e cliente, in funzione dell’affidamento di servizi legali, forniti in ragione di un contenzioso, e proprio per questa peculiarità, esclude tout court l’applicazione della normativa in materia di appalti a detti affidamenti, senza null’altro aggiungere.
Proprio alla luce di tale Considerando, il C.N.F. dissente dall’ANAC, laddove sostiene che le Direttive europee del 2014 superino la distinzione tra appalto di servizi e contratto d’opera, consolidata dalla Sentenza Caringella, rilevando correttamente come, invece, le Direttive si saldino col la prassi italiana, quando sottolineano la particolare natura degli affidamenti di servizi legali, che pertanto escludono.
Se ne può trarre, come ha fatto anche il C.N.F., che, la riconducibilità, per il legislatore europeo, dei servizi legali nell’alveo della nozione di appalti di servizi, e non di contratti d’opera, peraltro a lui sconosciuta, non può essere interpretata nel senso di un’eliminazione di quest’ultima categoria dal nostro ordinamento interno, col risultato di ritenere irrilevante e, addirittura, eliminabile, il requisito dell’intuitu personae. Tale requisito,invece, dovrebbe caratterizzare gli incarichi ai professionisti legali, per il solo fatto che il conferimento derivi da una pubblica amministrazione. Inoltre, la non perfetta corrispondenza tra gli istituti del diritto europeo con quelli interne, non deve essere interpretata nel senso che il primo intenda eliminare la disciplina dello Stato membro dettata dall’istituto interno, ma occorre tener presente che il diritto europeo operi in base ad “obiettivi sostanziali e non per classificazioni sostanziali”.
Invero, il particolare ruolo che riveste il difensore, specialmente nell’ambito del contenzioso, è caratterizzato dallo svolgimento di attività che accentuano ancora di più l’intuitu personae, poiché svolte in rappresentanza e per la difesa giurisdizionale di chi ha conferito l’incarico, cosicché primaria importanza assume la personalità del professionista in quanto tale e in quanto individuo. Queste considerazioni, di cui l’Unione Europea stessa si fa portatrice, contrastano considerevolmente con le logiche sottese agli appalti, dove le prestazioni richieste agli operatori, puntualmente individuate nei bandi di gara, anche con riguardo alle modalità di esecuzione, sono, almeno in potenza, indistintamente eseguibili da qualsiasi operatore economico, sicché l’efficienza della procedura comparativa è tutelata proprio dal fatto che le prestazioni richieste siano connotate da meccanicismi, di cui, all’opposto sono ontologicamente scevre le prestazioni intellettuali.
Il necessario e doveroso inquadramento del contratto stipulato col professionista quale contratto d’opera intellettuale, categoria che, sebbene sconosciuta al diritto europeo, non è eliminata all’interno del nostro ordinamento, esclude, conseguentemente, l’applicabilità dell’art. 4 del Codice agli affidamenti di incarichi legali e, con un effetto a cascata, impedisce la configurabilità della procedura di gara delineata dall’ANAC.
Come precisato anche nel parere reso dall’Unione degli Avvocati Amministrativisti “La tesi quivi avversata contrasta peraltro anche con il dato testuale costituito dal richiamo operato nell’art. 4 ai “contratti pubblici”, la cui definizione (contenuta al precedente art. 3,comma 1 lett. dd), corrispondendo ai “contratti di appalto o di concessioni”, in ogni caso
non è certo applicabile al mandato difensivo, in ragione della nota e ben diversa natura giuridica dei diversi istituti di cui, rispettivamente, agli art. 1655 e 2230 c.c.”[10].
A questa errata interpretazione delle direttive comunitarie, si aggiunge pure il fondato dubbio, sollevato anche dal Consiglio di Stato nel parere interlocutorio n. 2109, reso il 06/10/2017, per cui l’introduzione di una procedura di affidamento come delineata dall’ANAC violerebbe il divieto di gold plating.
Come noto, questo divieto concerne le modalità di regolamentazione interna con le quale gli Stati membri si adeguano agli obblighi nascenti dall'Unione Europea, e, in particolare da quelli nascenti dalle Direttive. I legislatori nazionali, nel recepimento degli obblighi comunitari, non possono emanare normative che si traducano in previsioni restrittive, ulteriori ed eccessive, rispetto a quelle nascenti dall'adempimento degli obblighi europei.
La pratica del gold plating, pur non essendo espressamente vietata a livello europeo, dove viene però vista con occhio negativo, è stata invece proibita dal legislatore italiano, il quale nella l. 24 dicembre 2012, n. 234, recante “Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea”, all’art. 31, primo comma, lett. c), dispone che “Gli atti di recepimento di direttive dell'Unione europea non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse, ai sensi dell'articolo 14, commi 24-bis, 24- ter e 24-quater,della legge 28 novembre 2005, n. 246”.
La ratio della disposizione è molto evidente allorquando si ponga mente al settore degli appalti pubblici, e si traduce nella volontà di respingere l’introduzione di procedure, che il legislatore europeo ritenga inutili o superflue, che si traducano in un’imposizione di costi sulla collettività che avrebbero potuto essere evitati.
Di dubbia condivisibilità appare, dunque, la scelta dell’ANAC di introdurre una procedura comparativa anche per quegli affidamenti che, al contrario, il legislatore europeo ha inteso escludere totalmente dall’applicazione della normativa appalti, specialmente laddove complichi ancora di più la procedura, mediante l’ideazione del già menzionato elenco precostituito di professionisti, tra cui l’amministrazione potrebbe scegliere, qualora dovesse affidare un incarico, spingendosi fino alla possibilità di estrarre a sorte l’aggiudicatario dell’incarico, qualora le tempistiche ristrette per la costituzione in giudizio non consentano l’espletamento di una procedura di gara.
Una macchinazione siffatta non può ritenersi accettabile. In primis, essa finirebbe addirittura per contrastare gli stessi principi dell’art. 4, che l’Autorità sembrava voler ardentemente tutelare, posto chela finalità di restrizione del confronto concorrenziale, cui l’ANAC aspirerebbe, mediante la formazione di suddetti elenchi, andrebbe, infatti, inevitabilmente a contrastare con i principi di parità di trattamento e di imparzialità, tutelati, evidentemente, solo dalla possibilità di accesso indiscriminato alle anelate procedure di gara. Altresì, tale previsione svilirebbe definitivamente il ruolo del professionista, che, addirittura, potrebbe vedersi affidato un incarico sulla base di un sorteggio, che peraltro contravverrebbe anche ai principi di economicità e di efficacia cui l’amministrazione dovrebbe conformarsi.
CONCLUSIONI
Le incertezze interpretative e, quindi, applicative, generate dalla nuova disciplina, impongono un tempestivo intervento al fine di far chiarezza sull’esatta portata del discusso art. 17, comma 1, lett. d), d. lgs. 50/2016.
Tale intervento, dovrà portare, altresì, alla revisione dello Schema di Linee Guida approntato dall’ANAC, il quale, pur di salvaguardare l’interpretazione letterale e acritica delle Direttive europee, finisce per vulnerare i principi e gli istituti più consolidati del nostro ordinamento.
Come rilevato anche dal Consiglio Nazionale Forense, deprecabile è la volontà dell’ANAC di superare la figura del contratto d’opera intellettuale, in favore della comunitaria e onnicomprensiva categorizzazione di appalto di servizi.
Pur volendo ammettere che la nozione euro unitaria di appalto di servizi ricomprenda in sé anche la peculiare figura del contratto d’opera intellettuale, evidentemente sconosciuta all’ordinamento europeo, nel conformarsi alle previsioni delle Direttive, né il legislatore, né tantomeno un’Autorità che rispetti la sua stessa ragion d’essere, possono prescindere da un recepimento critico degli obblighi imposti dall’Unione Europea. Un corretto adeguamento della normativa interna a quella europea non implica un’asettica e integrale trasposizione del dettato comunitario, come invece sempre più di frequente il nostro legislatore si limita a fare, ma un’operazione di produzione normativa che, nel rispetto del patrimonio normativo del singolo Stato Membro, sia volta a conseguire gli obiettivi posti dall’Unione.
Erronea, allora, è stata, in primis, la letterale trasposizione della Direttiva nel Nuovo Codice dei Contratti Pubblici, non tenendo questa conto del fatto che per gli affidamenti dei servizi legali il nostro ordinamento conosce la figura del contratto d’opera intellettuale, quale strumento di natura privatistica, che ben può essere utilizzato anche dalla pubblica amministrazione, allorché necessiti di prestazioni di carattere giudiziale.
Altrettanto erronea, è stata, però, l’interpretazione fornita dall’ANAC, che, in spregio anche al peculiare ruolo dell’avvocato nella sua veste di difensore in giudizio, cerca di sovrapporre la figura di quest’ultimo a quella di un qualsiasi imprenditore, rifiutando di riconoscere l’esistenza di un rapporto fiduciario e privilegiato tra avvocato e cliente, giustificato proprio dall’individuazione, da parte del secondo, di uno specifico professionista, persona fisica, cui riporre la propria fiducia per la tutela in giudizio.
L’inesatta qualificazione del contratto rischia, quindi, di condurre l’ANAC a determinarsi nel senso di confermare la proposta avanzata nel documento di consultazione, prevedendo l’esperimento di una procedura di gara anche per la scelta del legale, paradossalmente disattendendo lo stesso dettato normativo europeo, il quale, non solo riconosce le particolari caratteristiche dell’affidamento di tali servizi, ma esclude senz’altro la loro soggezione all’applicazione delle Direttive. Ingiustificata e illogica appare, quindi, la scelta dell’ANAC di disattendere questa disposizione, con il maggior rischio di violare il divieto di goldplating.
L’auspicio è di vedere recepite, nelle Linee Guida emanande, le correzioni e le indicazioni fornite dal C.N.F. e dall’U.N.A. nei loro pareri, che più correttamente interpretano le volontà del legislatore europeo, alla luce del sistema interno, in un’ottica di tutela, non solo del nostro substrato normativo, che di certo non può essere debellato, ma anche della figura del professionista intellettuale, le cui particolari e uniche prestazioni non possono permettere il suo accostamento alla figura di un semplice imprenditore, non potendosi prescindere dall’importanza dell’intuitu personae.
______________________________
[1] Art. 20, primo comma, d.lgs. 163/2006: “L'aggiudicazione degli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell'allegato II B é disciplinata esclusivamente dall'articolo 68 (specifiche tecniche), dall'articolo 65 (avviso sui risultati della procedura di affidamento), dall'articolo 225 (avvisi relativi agli appalti aggiudicati)”.
[2]T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., 20-07-2011, n. 604
[3] Si riportano le declaratorie riferite ai CPV indicati dalla norma:
7910000-5 Servizi giuridici
79110000-8 Servizi di consulenza giuridica e di rappresentanza
79111000-5 Servizi di consulenza giuridica
79112000-2 Servizi di rappresentanza legale
79112100-3 Servizi di rappresentanza delle parti interessate
79120000-1 Servizi di consulenza in materia di brevetti e diritti d'autore
79121000-8 Servizi di consulenza in materia di diritti d'autore
79121100-9 Servizi di consulenza in materia di diritti di autore di software
79130000-4 Servizi di documentazione e certificazione giuridica
79131000-1 Servizi di documentazione
79132000-8 Servizi di certificazione
79132100-9 Servizi di certificazione della firma elettronica
79140000-7 Servizi di consulenza e informazione giuridica
[4] In verità, l’allegato IX fa riferimento all’art. 10, lett. c) bis della Direttiva 2014/24/UE, il quale, alla lett. c) (e non c) bis, da considerarsi un chiaro refuso), elenca i servizi legali esclusi, ripresi pedissequamente dall’art. 17, lett. d), Codice.
[5] Documento di consultazione, 10 aprile 2017, “L’affidamento dei servizi legali”, consultabile su www.anticorruzione.it
[6] L’art. 4 menziona anche i principi di tutela dell’ambiente ed efficienza energetica, per ovvie ragioni non esaminati dall’Autorità, ai fini degli affidamenti degli incarichi legali.
[7] Principi di economicità, efficacia, tempestività, correttezza, libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pubblicità.
[8] Per le modalità attuative del criterio dell’OEPV,si vedano le Linee Guida ANAC, 21 settembre 2016, n. 1005
[9] Il parere è consultabile sul sito www.consiglionazionaleforense.it
[10] Per le osservazione di U.N.A. si veda www.unioneamministrativisti.it