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Anno XVI - n. 12 - Dicembre 2024

  Studi



Il patto commissorio

A cura di Michela Salerno
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  1. Ratio e prospettive comparative.

Il patto commissorio è l’accordo con il quale il debitore e il creditore convengono che in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno si trasferisce al creditore.

Tale patto è espressamente vietato nel nostro ordinamento dall’art. 2744 c.c. che ne sancisce la nullità.

La ratio del divieto, nella ricostruzione che ne hanno dato la dottrina e la giurisprudenza, varia a seconda della prospettiva da cui si analizza la previsione normativa (1).

Dal lato della tutela del debitore, il divieto del patto commissorio viene esaminato partendo da due grandi sottocategorie: la prospettiva patrimonialistica e quella non patrimonialistica.

Secondo la prima prospettiva, ciò che il legislatore tenderebbe a evitare sarebbe l’ingiustificato arricchimento del creditore a danno del debitore.

Il favor debitoris si concretizzerebbe nell’evitare che il creditore, abusando della propria posizione di forza, possa costringere il debitore a contrarre a condizioni inique.

Tale iniquità si manifesterebbe proprio nella sproporzione tra la cosa data in pegno o in ipoteca, la quale al verificarsi dell’inadempimento passerebbe in proprietà del creditore, e il credito garantito.

Da tale assunto ne deriverebbe che, il creditore attraverso il patto commissorio potrebbe realizzare un’indebita appropriazione dell’eccedenza del valore del bene dato in garanzia, rispetto al valore del credito oggetto di obbligazione e di successivo inadempimento.

Tale divieto, secondo la giurisprudenza, verrebbe peraltro rafforzato dalla previsione dell’art. 2041 c.c., quale principio informatore del nostro ordinamento che vieta gli spostamenti patrimoniali privi di causa.

Pertanto, il legislatore priva di valore, sanzionandolo con la nullità, ogni accordo delle parti volto a creare una sproporzione nel sinallagma obbligatorio.

Conferma se ne trae, peraltro, dalla disciplina dell’art. 1815 comma 2 c.c. nell’ambito del quale la sproporzione tra le controprestazioni viene riequilibrata con la nullità degli interessi usurari.

Diversa sarebbe invece la ratio del divieto nell’ottica sempre del favor debitoris, ma nella sottocategoria della prospettiva non patrimonialistica, che del debitore tende a proteggere la libertà morale.

Per essa sussisterebbe sempre la sproporzione tra il credito e il trasferimento della cosa data in garanzia, a prescindere dall’ingiustificato arricchimento del creditore e dall’appropriazione dello stesso dell’eccedenza di valore.

In tale caso la sussistenza dello squilibrio contrattuale è sempre presunto, perché lesivo della libertà morale del debitore.

Altra parte della dottrina, in particolar modo F. Gazzoni, ravvisa, infine, la ratio del divieto non nel favor debitoris, ma nel favor creditoris, ritenendo che il patto commissorio alteri la par condicio creditoris, atteso che nel soddisfacimento del credito, il creditore che diverrebbe proprietario del bene sarebbe in grado di soddisfarsi in maniera privilegiata, rispetto agli altri creditori, sul patrimonio del debitore (2).

Al fine di chiarire le motivazioni per le quali tale prospettiva non convince, bisogna evidenziare la differenza tra garanzia patrimoniale generica e garanzia patrimoniale specifica.

Il debitore, in caso di inadempimento dell’obbligazione risponde verso il creditore, ex art. 2740 c.c. , con tutti i suoi beni presenti e futuri, garanzia patrimoniale generica.

Tuttavia la disciplina codicistica prevede la possibilità del creditore di soddisfarsi sul patrimonio del debitore in via preferenziale, attraverso l’utilizzo di cause legittime di prelazione: privilegio, pegno, ipoteca (3).

In tal caso si parla di garanzia patrimoniale specifica, perché il diritto del creditore di soddisfarsi sui beni del debitore non è assicurato verso il generico patrimonio dell’obbligato, ma  verso specifici beni individuati, sui quali il creditore vanta un diritto di prelazione, cioè di preferenza, e un diritto di sequela.

Può su essi soddisfarsi con priorità rispetto alla rimanenza dei creditori, che non possiedono cause legittime di prelazione, i creditori chirografari, e vanta altresì su di essi uno ius inerente alla res, il diritto reale di seguire il bene e di farlo espropriare anche se acquistato da un terzo.

Appare pertanto chiaro, sulla base delle premesse svolte, che il patto commissorio, per espressa previsione normativa si riferisce alla “proprietà della cosa ipotecata o data in pegno” e quindi non può che riguardare la garanzia patrimoniale specifica e non  quella generica.

Se così è, allora, la ratio del divieto non può essere l’alterazione della par condicio creditoris, poiché l’articolo 2744 c.c., riferendosi alle specifiche cause di prelazione, il pegno e l’ipoteca, prevede già un’alterazione della par condicio (4).

Residua, infine, la differente ratio dall’angolo prospettico dell’ordinamento giuridico.

La tesi ordinamentale guarda alla struttura dell’accordo stipulato tra le parti e ritiene il patto commissorio vietato, perché in grado di eludere il principio generale che vieta i trasferimenti traslativi sorretti da una causa di garanzia.

Il patto commissorio sarebbe, pertanto, in tale prospettiva, nullo per difetto di causa: il trasferimento della proprietà del bene dato in garanzia non soddisferebbe l’interesse del creditore all’adempimento, ma quello di quest’ultimo a diventare proprietario del bene.

Il contratto sarebbe quindi inefficiente dal punto di vista causale.

Nonostante le molteplici ragioni sottese all’art. 2744 c.c., di cui si è fin qui dato conto, in giurisprudenza si è sostenuto che, quale che sia il punto prospettico da cui si analizzi il divieto del patto commissorio, quello del favor debitoris patrimonialistico, quello non patrimonialistico o quello ordinamentale, l’unico elemento in comune ravvisabile nelle varie tesi è il dato normativo, la disciplina codicistica sancisce un divieto di cosiddetto ‘risultato’.

Partendo da tale premessa, la Cassazione ha esteso la portata applicativa del divieto, nonostante il dato letterale della norma si riferisca al solo patto avente ad oggetto il pegno o l’ipoteca, a qualsiasi accordo tra le parti, anche non avente ad oggetto le suddette cause legittime di prelazione, il quale realizzi il medesimo risultato vietato dall’art. 2744 c.c.: il trasferimento della proprietà della cosa data in garanzia in caso di inadempimento del debitore.

L’estensione presentava dubbi di compatibilità ordinamentale soprattutto in riferimento all’istituto delle nullità e alla tipicità delle stesse.

Si sosteneva all’uopo che le nullità nel nostro ordinamento sono tipiche ed espressamente previste dalla legge, quindi l’operatività del divieto non poteva estendersi fuori dai limiti applicativi predisposti dal legislatore.

Al fine di superare l’obiezione delle cause tassative delle nullità la Cassazione ha fatto ricorso all’art. 1344 c.c., facendo derivare la nullità di tutti gli accordi tra le parti, in grado di produrre un risultato simile a quello vietato dal patto commissorio, dalla nullità della causa del contratto.

Ove infatti il negozio costituisca il mezzo per eludere l’applicazione di norme imperative, come quella ex art. 2744 c.c., esso si presume in frode alla legge, in base all’ art. 1344 c.c., perché avente causa illecita.

Se ne deduce che qualunque patto avente a oggetto il trasferimento della proprietà del bene a scopo di garanzia, sospensivamente o risolutivamente condizionato all’inadempimento dell’obbligazione da parte del debitore, è accordo in grado di eludere il divieto del patto commissorio, ed essendo un contratto in frode alla legge, il legislatore presume abbia causa illecita, idonea ad aggirare il limite ex art. 2744 c.c..

  1. Ipotesi applicative.

La sussumibilità del ‘divieto di risultato’ nell’orbita del divieto del patto commissorio ha comportato l’applicabilità della disciplina della nullità a numerose figure contrattuali (5).

Un esempio paradigmatico è quello della nullità della vendita a scopo di garanzia sospensivamente condizionata, atteso che anche in tale ipotesi il trasferimento in proprietà della cosa data in garanzia passa al creditore al verificarsi della condizione sospensiva dell’inadempimento del debitore.

La stessa considerazione va effettuata per la vendita a scopo di garanzia risolutivamente condizionata, nella quale seppur il trasferimento della proprietà della cosa al creditore appare come immediato, esso è risolutivamente condizionato all’adempimento del debitore.

Infatti, solo ove si verifichi l’adempimento la cosa si ritrasferisce in capo al debitore; l’originario trasferimento di proprietà è pertanto precario.

Altro esempio paradigmatico di patto commissorio viene ravvisato nel contratto di sale e lease back, in presenza di specifiche condizioni che si enunceranno di seguito.

Il contratto è il risultato dell’unione di tre differenti negozi giuridici, il contratto di vendita, sale, quello di ritorno finanziario, lease back, e quello di opzione.

L’alienante trasferisce all’acquirente la proprietà di un bene che rimane nella disponibilità dello stesso venditore a titolo di locazione, verso il pagamento di un corrispettivo.

Alla scadenza del contratto di locazione, il patto di opzione consente all’alienante di tornare nella proprietà del bene con il pagamento di un prezzo finale predeterminato.

Tale contratto, da un lato, viene considerato dalla giurisprudenza lecito, attesa l’importanza dell’interesse meritevole di tutela sotteso allo stesso, il far fronte alla crisi di liquidità delle imprese e la conseguente possibilità per la medesima di rimanere in possesso del bene appartenente al ciclo produttivo, necessario alla generazione di flussi di cassa; dall’altro, si ritiene possa celare un’alienazione a scopo di garanzia risolutivamente condizionata e vietata, perché produttiva di un ingiustificato arricchimento del creditore.

Bisognerà allora valutare caso per caso quando ci si trovi in presenza di indici sintomatici idonei a far presumere la nullità, ex art. 1344 c.c., del contratto per contrasto con l’art. 2744 c.c.: esistenza di un rapporto di debito-credito tra l’alienante e il creditore; la sussistenza di una difficoltà economica del debitore che lo espone al rischio dell’approfittamento del creditore; la sproporzione tra il valore del bene e il prezzo pagato per la vendita.

 

  1. Le novità legislative.

A ben vedere, oggi, il divieto del patto commissorio è stato sostanzialmente ridimensionato dal legislatore, attraverso la previsione di istituti parzialmente derogatori alla suddetta disciplina (6).

Dimostrazione ne è l’art. 2 d.l. 59/2016 che al comma 1 prevede espressamente il patto commissorio, come valida modalità di costituzione del pegno, “il contratto di finanziamento concluso tra un imprenditore e una banca o altro soggetto autorizzato a concludere finanziamenti con il pubblico  può essere garantito dal trasferimento, in favore del creditore o di società da questo controllata o a lui collegata, della proprietà di un immobile o di altro diritto immobiliare dell’imprenditore o di un terzo, sospensivamente condizionato all’inadempimento del debitore”.

Nell’ottica di tutela del debitore sono stati tuttavia previsti degli accorgimenti per l’operatività del patto commissorio.

Innanzitutto deve essere previsto dalle parti, la norma parla infatti di ‘contratto’ di finanziamento, come peraltro puntualizzato nel comma 4, inoltre, nel comma 2 del medesimo articolo è prevista una cautela marciana, idonea, nella prospettiva patrimonialistica di tutela del favor debitoris, a scongiurare l’ingiusto arricchimento del creditore e la sproporzione tra il credito e la cosa data in garanzia.

La cautela marciana prevede, infatti, la stima del bene da parte di un terzo imparziale e l’obbligo alla restituzione al debitore dell’eccedenza del valore del bene, da parte del creditore.

Nella prospettiva patrimonialistica, pertanto, il patto commissorio attraverso la cautela marciana non ricadrebbe nell’ambito di applicazione del divieto ex art. 2744 c.c. e sarebbe lecito.

A diversa conclusione bisogna invece giungere, ove ci si ponga per l’analisi della previsione normativa, dal lato prospettico ordinamentale.

Infatti in tale caso il patto, a prescindere dalla cautela marciana, sarebbe comunque un contratto in frode alla legge e nullo per difetto di causa, essendo sostenuto il trasferimento della proprietà del bene da una causa di garanzia.

La nullità colpirebbe l’art. 2 d.l. 59/5016 anche nel caso della prospettiva del favor debitoris non patrimonialistica.

Il patto commissorio sarebbe nullo perché, a prescindere dall’ingiustificato arricchimento del creditore, lederebbe la libertà morale del debitore.

A conferma di tale assunto ci sarebbe, secondo i sostenitori di quest’ultima tesi, non solo il dato letterale e normativo, atteso che l’art. 2744 c.c. non si riferirebbe alla sproporzione delle prestazioni ma al semplice trasferimento di proprietà, ma anche il sistema delle sanzioni.

Si richiama a tal fine una considerazione di ordine generale, in base alla quale il legislatore, ove si fosse posto l’obiettivo di sanzionare lo squilibrio di valore tra le prestazioni imposte alle parti non avrebbe previsto la nullità, ma sanzioni diverse, quali es. la risoluzione in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta del contratto, o la rescissione per i contratti stipulati in caso di pericolo-bisogno.

Tuttavia tale affermazione è smentita non solo dalla previsione contenuta nell’art. 1500 comma 2 c.c. in riferimento al patto di riscatto, ma dallo stesso art. 1815 comma 2 c.c. in tema di interessi usurari, in entrambi i casi la sproporzione è sanzionata con la nullità.

Da tali conclusioni non può che dedursi che l’unica prospettiva dalla quale si deve affrontare la ratio del divieto, al fine di ritenere compatibile con il sistema la previsione ex art. 2 d.l. 59/2016, non può che essere quella patrimonialistica del debitore, che vuole evitare l’ ingiustificato arricchimento da parte del creditore.

E’ bene comunque puntualizzare che il precetto in analisi, seppur preveda una deroga espressa al divieto del patto commissorio, mitigato dalla cautela marciana, è una norma di settore e non generale, applicabile nei soli casi, modi e settori previsti dalla legge.

Nella previsione la cautela marciana rappresenta il punto di equilibrio tra l’interesse dell’ordinamento alla tutela del debitore e l’esigenza di tutela del credito, in un’ottica di incentivazione degli investimenti.

Il creditore è tutelato ottenendo il valore del credito, senza ingiustificato arricchimento a danno del debitore.

In tale prospettiva la cautela marciana è uno strumento di autotutela del creditore.

Il creditore è in grado di proteggersi nei casi di inadempimento del debitore e può soddisfarsi per l’equivalente valore del credito sul bene trasferito in garanzia.

L’articolo specifica il campo applicativo dell’istituto, evidenziando che si ha inadempimento, quando il mancato pagamento si protrae per oltre sei mesi dalla scadenza di almeno tre rate in caso di rimborso di rate mensili, o per oltre sei mesi dalla scadenza anche di una sola rata, se il rimborso rateale non ha scadenza mensile. Al verificarsi di tali presupposti, il creditore è tenuto a notificare al debitore, o se diverso, al titolare del diritto reale immobiliare e a tutti coloro che vantano diritti sulla base della trascrizione successivamente effettuata rispetto alla trascrizione del patto commissorio, la dichiarazione di volersi avvalere degli effetti del patto.

Decorsi sessanta giorni dalla notificazione della dichiarazione, il Presidente del Tribunale, su richiesta del creditore, procede alla nomina del perito che effettuerà la stima del bene, considerandosi avverata la condizione sospensiva dell’inadempimento  dal momento della comunicazione al creditore, da parte del perito, del valore di stima del bene, o dal momento dell’avvenuto versamento all’imprenditore della differenza tra il valore del bene stimato e il debito inadempiuto.

Il creditore procede poi, ai fini della pubblicità, con dichiarazione, ad attestare l’avveramento della condizione sospensiva dell’inadempimento, o in caso contrario, provvede entro trenta giorni dall’estinzione dell’obbligazione garantita a dare pubblicità nei registri immobiliari del mancato definitivo avveramento della stessa condizione.

  1. L’ampliamento della tutela del credito.

Nella medesima prospettiva di autotutela del creditore e di incentivazione degli investimenti si rintraccia l’art. 2929 bis c.c., previsione introdotta dall’art. 12 d.l. 83/2015 e successivamente integrata dall’art. 4 d.l. 59/2016 (7).

L’azione esecutiva anticipata consente al creditore di aggredire i beni del debitore, senza preventivamente esperire l’azione revocatoria, ex art. 2901 c.c..

Sebbene, infatti, quest’ultima fosse in grado di approntare una tutela nei confronti del creditore, nel caso di atto dispositivo, traslativo o conformativo posto in essere dal debitore verso il proprio patrimonio, l’azione revocatoria non rappresenterebbe uno strumento satisfattorio di tutela del credito.

L’art. 2901 c.c. si limita a far ottenere al creditore una declaratoria di inefficacia dell’atto.

L’atto resta valido erga omnes a esclusione del creditore che ha agito in revocatoria.

La disposizione possiede, pertanto, una mera funzione conservativa, sostanziandosi in una tecnica di tutela doppia: declaratoria di inefficacia dell’atto ottenuta con l’azione revocatoria, alla quale dove seguire per il soddisfacimento dell’interesse del creditore l’azione esecutiva che consente allo stesso di soddisfarsi sul bene.

I limiti dell’azione revocatoria si palesano non solo in riferimento alla esperibilità della doppia azione, ma anche dal punto di vista probatorio.

E’ onere del creditore fornire, infatti, non solo la prova del presupposto oggettivo dell’azione, l’eventus damni, l’atto deve essere pregiudizievole, arrecare pericolo attuale e concreto alle ragioni del creditore, ma anche il presupposto soggettivo, la consapevolezza di causare danno alle ragioni del creditore.

Nel caso di presupposto soggettivo, poi, la prova si complica per l’atto oneroso, per il quale va dimostrata dal creditore anche la consapevolezza bilaterale, quella del debitore e del  terzo, nonchè per gli atti a titolo oneroso di disposizione, anteriori al nascere del credito, va provata la preordinazione dolosa bilaterale, del debitore e del terzo acquirente.

L’art. 2929 bis c.c. ovviando a tali problematiche si presenta, invece, come un’azione esecutiva diretta che non necessita della preventiva declaratoria di inefficacia dell’atto dispositivo, traslativo o conformativo, posto in essere dal debitore (8).

Trattandosi di uno strumento eccezionale, l’applicabilità è limitata alla riscontrabilità di due presupposti.

Deve sussistere l’elemento oggettivo, che è rappresentato dalla presenza di un credito anteriore all’atto pregiudizievole del debitore, fondato su titolo esecutivo, inoltre,  l’atto pregiudizievole deve essere gratuito e avere ad oggetto beni immobili o mobili registrati, dovendosi trattare di atto soggetto a trascrizione.

Nonché l’elemento soggettivo, costituito dalla consapevolezza del debitore di recare pregiudizio alle ragioni del creditore.

E’ poi, peraltro, fissato un termine decadenziale, l’azione esecutiva del creditore deve essere trascritta entro un anno dalla trascrizione dell’atto gratuito pregiudizievole. Quindi, solo entro un anno da quando il terzo ha trascritto l’atto gratuito pregiudizievole il creditore può agire con l’azione esecutiva anticipata.

L’art. 2929 bis c.c. prevede un limite più ristretto rispetto alla esperibilità dell’azione revocatoria, soggetta al termine di prescrizione quinquennale.

L’azione esecutiva anticipata, se da un lato ha avuto un forte impatto per il favore accordato alla tutela del creditore, dall’altro pone delicati problemi applicativi, in riferimento soprattutto alla tutela dei terzi acquirenti a titolo gratuito del bene. Potrebbe infatti verificarsi che il debitore, nonostante l’anteriorità del sorgere del proprio debito nei confronti del creditore, trasferisca ad un terzo, con atto gratuito, la proprietà di quel bene, sottraendolo in tale modo alla garanzia patrimoniale generica del creditore, in violazione dell’art. 2740 c.c..

Il terzo acquirente nonostante provveda alla trascrizione dell’acquisto in epoca antecedente alla trascrizione dell’azione esecutiva del creditore, viene pregiudicato, in deroga al criterio cronologico di efficacia delle trascrizioni (9).

Nell’ottica di salvaguardia della norma, tale profilo di criticità è stato ritenuto superabile in base al bilanciamento tra la tutela del terzo acquirente, magari anche di  in buona fede, e quella prevalente della tutela del credito e del creditore.

Si è all’uopo sostenuto, infatti, che il pregiudizio del terzo sarebbe solo relativo atteso che l’atto è a titolo gratuito e il patrimonio del terzo viene riportato, a seguito dell’esperimento dell’azione esecutiva, ex art. 2929 bis c.c., nella medesima condizione preesistente all’acquisto.

Sulla base di tale riqualificazione l’azione esecutiva anticipata non viene, come da taluni sostenuto, esperita sul patrimonio del terzo, ma su quello del debitore, dal quale il bene non è mai uscito.

Occorre precisare infatti che la norma ha sicuramente natura esecutiva, ma è anche uno strumento conservativo, presentandosi sotto tale aspetto come un’azione revocatoria automatica, in re ipsa.

Il legislatore presume che tutti gli atti a titolo gratuito posti in essere dopo il sorgere del credito, siano posti in essere dal debitore con la consapevolezza di voler recare pregiudizio al creditore e, quindi, si presumono inefficaci.

Da ciò ne consegue che, l’atto di disposizione a titolo gratuito è nullo e il bene non entra a far parte del patrimonio del terzo acquirente, anche se di buona fede, ma rimane in quello del debitore.

L’azione ex at. 2929 bis c.c. è pertanto rivolta al patrimonio del debitore presso il terzo acquirente, in perfetta simmetria con l’istituto del pignoramento presso terzi.

Se ne deduce che tale previsione è un’azione mista, bifasica, che contiene in sé l’azione revocatoria automatica e l’azione esecutiva, che si colloca dal punto di vista ordinamentale, sia tra i mezzi di esecuzione, sia tra quelli impliciti di conservazione della garanzia.

Dall’analisi svolta è agevole dedurre che si sta assistendo da parte dell’ordinamento a un progressivo affievolimento del divieto del patto commissorio previsto dall’art. 2744 c.c., atteso che il legislatore, in un’ottica di tutela rafforzata del credito e di incentivazione degli investimenti, ammette, entro certi limiti, la possibilità di deroghe allo stesso, in concomitanza di precise condizioni, quali per esempio la sussistenza di un contratto tra operatori qualificati che abbia ad oggetto un finanziamento e che riguardi beni soggetti a  trascrizione, così come previsto dall’art. 2 d.l. 59/2016.

Tale deroga, è bene ribadirlo, è prevista da una norma di settore e non ha pertanto applicazione generale, risultando altresì mitigata dalla previsione del patto marciano, accordo idoneo a scongiurare, nell’ottica patrimonialistica del favor debitoris, attraverso la restituzione dell’eccedenza di valore, l’ingiustificato arricchimento del creditore.

Il patto commissorio, previsto ex art. 2 d.l. 59/2016, cumulato alla diretta previsione delle parti della cautela marciana risponde, pertanto, a esigenze di autotutela rapida ed efficace del creditore.

Alla medesima ratio risponde l’introduzione nel codice civile dell’art. 2929 bis c.c. quale azione esecutiva anticipata, in grado di prevedere il soddisfacimento del soggetto attraverso uno strumento eccezionale.

La norma è applicabile solo in presenza di circoscritte condizioni, credito anteriore all’atto pregiudizievole gratuito del debitore, consapevolezza del pregiudizio arrecato al creditore, rispetto del termine decadenziale di un anno, ma prescinde dal doppio binario di tutela dell’azione revocatoria e non presenta i limiti probatori della stessa.

Un’azione mista, che sia satisfattoria e conservativa della garanzia al tempo stesso, nonché direttamente efficace.

Bibliografia:

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  • Roppo, Par condicio creditorum, Le garanzie dell’obbligazione, Torino, 2015;
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