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Anno XVI - n. 11 - Novembre 2024

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Sull’interpretazione della locuzione “entro un termine ragionevole” contenuta nell’art. 21 –nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241

CONSIGLIO DI STATO, sentenza n. 4374 del 18 luglio 2018
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Il Consiglio di Stato viene adito con ricorso proposto dai signori P. M. ed A. A. contro A. M. e nei confronti del Comune di Sarno al fine di ottenere la riforma della sentenza del TAR per la Campania, Salerno concernente la legittimità dell’esercizio del potere di annullamento in autotutela di un titolo edilizio conseguito, in mancanza di atto di assenso da parte dell’Amministrazione, a distanza inferiore a metri 5 dal confine.

I giudici del Collegio inquadrano la vicenda dapprima sotto il profilo normativo e successivamente, sotto il profilo della prassi giurisprudenziale.

L’art. 21-nonies, comma 1, nella sua originaria formulazione stabilisce che: “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo”.

Il testo novellato dispone invece che: “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell' articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo”.

I giudici del Consiglio di Stato rilevano che nel corpo della disposizione è stato aggiunto l’inciso “(…) comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20 nonies (…)”, individuando sia il limite temporale oltre il quale il termine non può considerarsi ragionevole (diciotto mesi) sia il dies a quo rapportato al momento dell’adozione del provvedimento, ancorché esso fosse già implicitamente e logicamente ricavabile in via interpretativa nella data di emanazione dell’atto.

Il comma 2 bis dell’art. 21-nonies stabilisce, inoltre, che: “I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1, fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445”.

Nel caso di specie, alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale, il Collegio ritiene che debba negarsi l’applicabilità della disposizione novellata, in ossequio al principio generale di ordinaria irretroattività di cui all’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile. La norma novellata può trovare applicazione soltanto in relazione all’esercizio dei poteri di autotutela relativi a provvedimenti emanati dopo, la sua entrata in vigore, ossia al 28 agosto 2015. (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 13 luglio 2017, n. 3462 e Sez. III, 28 luglio 2017 n. 3780 ed anche Adunanza Plenaria, 17 ottobre 2017, n. 8).

I giudici del Collegio precisano che: “la costruzione sintattica e l’interpretazione logico sistematica implicano una chiara distinzione tra il caso in cui il provvedimento sia conseguito in funzione di una semplice “falsa rappresentazione dei fatti” - intesi questi ultimi anche come condizione dei luoghi e loro relazioni spaziali-, e l’ipotesi in cui il rilascio del provvedimento sia fondato (anche) su “dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci”. A tale conclusione deve pervenirsi non tanto e non solo per l’uso della disgiuntiva “o”, che separa e differenzia le due fattispecie, bensì e soprattutto perché soltanto alle dichiarazioni e all’atto di notorietà è riferita la proposizione “…false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato”, e solo a queste ultime, appunto in quanto effetto di condotte costituenti reato, è ricollegabile il successivo inciso “accertate con sentenza passata in giudicato”.

Altro nodo interpretativo sciolto dai giudici del Collegio riguarda la “parametrazione temporale in termini di ragionevolezza in relazione alla disposizione dell’art. 21 nonies comma 1, nel testo applicabile ratione temporis”. Sul punto il Collegio precisa che il “termine ragionevole” può decorrere soltanto dal momento in cui l’amministrazione abbia realmente conoscenza del vizio invalidante, come peraltro puntualizzato dall’Adunanza Plenaria con sentenza n. 8 del 17 ottobre 2017: “La locuzione ‘termine ragionevole’ richiama evidentemente un concetto non parametrico ma relazionale, riferito al complesso delle circostanze rilevanti nel caso di specie. Si intende con ciò rappresentare che la nozione di ragionevolezza del termine è strettamente connessa a quella di esigibilità in capo all’amministrazione, ragione per cui è del tutto congruo che il termine in questione (nella sua dimensione ‘ragionevole’) decorra soltanto dal momento in cui l’amministrazione è venuta concretamente a conoscenza dei profili di illegittimità dell’atto”.

Infine, in merito al problema interpretativo legato alla sufficienza della motivazione del provvedimento di annullamento in autotutela, il Collegio rileva, alla luce di quanto già deciso con la  sentenza n. 8/2017 dell’Adunanza Plenaria, che: “La non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte”.