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Anno XVI - n. 11 - Novembre 2024

  Temi e Dibattiti



Le liberalizzazioni degli orari di esercizio commerciale di barbiere e parrucchiere nel futuro della economia digitale

Di Maurizio Lucca

Le liberalizzazioni degli orari di esercizio commerciale nel futuro della economia digitale

A cura di Maurizio LUCCA

Il sindaco può lecitamente disciplinare gli orari di apertura degli esercizi commerciali, da ricomprendere le attività artigiane (nei termini di seguito descritti).

La sez. II, del Consiglio di Stato[1], interviene per esprimere l’infondatezza di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, per l’annullamento di un’ordinanza sindacale avente ad oggetto la revoca di precedenti ordinanze sindacali in materia di orario di esercizio delle attività di barbiere, parrucchiere uomo-donna, estetista[2].

L’intervento risulta di pregio per le questioni affrontate, delineando i poteri di ordinanza del sindaco in materia di orari degli esercizi commerciali.

Il fatto involge l’impugnazione, da parte delle associazioni di categoria[3], di un’ordinanza sindacale di revoca che liberalizza - su tutto il territorio comunale - l’orario delle attività di barbiere, parrucchiere uomo-donna ed estetista, attuando un’indebita estensione analogica della disciplina sulla “liberalizzazione degli orari” delle attività “commerciali”, di cui all’art. 31 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, «Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici».

La norma prevede «Secondo la disciplina dell’Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell’'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali. Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro il 30 settembre 2012, potendo prevedere al riguardo, senza discriminazioni tra gli operatori, anche aree interdette agli esercizi commerciali, ovvero limitazioni ad aree dove possano insediarsi attività produttive e commerciali solo qualora vi sia la necessità di garantire la tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali».

Pare giusto rammentare che l’art. 31 cit.:

  1. deve essere ricondotto nell’ambito della tutela della “concorrenza”, rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, di cui all’art. 117, secondo comma, lett. e), Cost., norma in presenza della quale i titoli competenziali delle Regioni, anche a statuto speciale, in materia di commercio e di governo del territorio non sono idonei a impedire l’esercizio della detta competenza statale, che assume quindi carattere prevalente[4];
  2. oltre ad attuare un principio di liberalizzazione[5], rimuovendo vincoli e limiti alle modalità di esercizio delle attività economiche a beneficio dei consumatori, favorisce la creazione di un mercato più dinamico e più aperto all’ingresso di nuovi operatori e amplia la possibilità di scelta del consumatore: risultano misure coerenti con l’obiettivo di promuovere la concorrenza, proporzionate allo scopo di garantire l’assetto concorrenziale del mercato di riferimento relativo alla distribuzione commerciale[6].

L’ordinanza avrebbe:

  1. invasa anche la competenza esclusiva del legislatore nazionale in materia di concorrenza (ex 117, lett. e) ed m) Cost.);
  2. dimenticato, in violazione di una consolidata prassi, di coinvolgere i portatori di interessi diffusi;
  3. una mancata partecipazione o comunicazione di avvio del procedimento (sul punto, il Ministero ha disposto l’integrazione del contraddittorio senza esito).

Il Ministero ha proposto, come prospettato anche dall’Avvocatura civica, il rigetto del ricorso in quanto la disciplina degli orari delle attività artigianali rientrerebbe nei poteri attribuiti al Sindaco dall’art. 50, comma 7, del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (c.d. TUEL), secondo il quale «Il sindaco, altresì, coordina e riorganizza, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell’ambito dei criteri eventualmente indicati dalla regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonché, d’intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio, al fine di armonizzare l'espletamento dei servizi con le esigenze complessive e generali degli utenti».

Si annota che la portata generale della norma ne consentirebbe anche la liberalizzazione, peraltro in linea con la più recente normativa, in particolare l’art. 3 «Abrogazione delle indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni e delle attività economiche», commi 1 e 2, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, «Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo», convertito, con modificazioni, dalla Legge 14 settembre 2011, n. 148.

Nel merito, sostenendo il rigetto del ricorso, il parere delinea i poteri del Sindaco, quale organo di vertice dell’Amministrazione locale:

  1. un potere “ordinario” di disciplina degli orari, distinto da quello contingibile e urgente che, a vario titolo e con motivazioni specifiche, gli viene egualmente attribuito dalla norma, oltre che dall’art. 54 del medesimo TUEL;
  2. potere a valenza “ordinaria”, che si aggiunge a quello, più recente, per la sola vendita per asporto e somministrazione di bevande alcoliche (comma 7 bis dell’art. 54 cit.);
  3. potere di regolamentazione d’orario su un elenco di tipologie di “attività produttive”, tipicamente radicate sul territorio comunale, la cui qualificazione deve ritenersi aperta, prescindendo dall’accezione tecnica delle categorie economiche tale da ricomprendere, pertanto, le attività artigianali (anche destinate a sfociare nella vendita, compresa quella per asporto di alimenti), con una nozione ampia della dizione “esercizi commerciali”, con una clausola di chiusura rilevabile nei “servizi pubblici”;
  4. anche in assenza di una determinazione puntuale della attività da parte del Consiglio comunale[7] il potere non può essere pregiudicato[8], essendo le definizioni un contenitore che ricomprendono attività eterogenee (un ampio genus).

Il potere del sindaco si esercita su un catalogo esteso di attività che rientrano nel genere definito dal legislatore, in piena aderenza con l’evoluzione della disciplina del commercio lato sensu intesa in ambito costituzionale che da un primo nucleo di materie (“fiere e mercati” ovvero “artigianato”) ha, poi, ricompreso dizioni necessariamente più fluide, affidando allo Stato competenze residuali rispetto a quelle affidate alle Regioni con la riforma del Titolo V della Costituzione.

La legislazione anteriore alla novella costituzionale del 2001, mossa dalle spinte centrifughe della sussidiarietà, avevano già introdotto concetti nuovi quali “sviluppo economico e attività produttive”, nell’ambito dei quali possono essere ricondotte sia le attività commerciali stricto sensu intese, che quelle artigianali, ovvero perfino quelle atipiche che l’evoluzione costante dei costumi e la ricerca di nuove modalità imprenditoriali hanno via via reso attuali.

Se il punctum pruriens vorrebbe limitare l’intervento ai soli esercizi commerciali, non estensibile alle attività artigianali per una presunta non applicabilità (per essenza e regime giuridico), il quadro non può che ricomprendere le definizioni nella loro portata atecnica del linguaggio legislativo adottato, soprattutto nel quadro della disciplina giuridica vigente, proiettata alla liberalizzazione delle attività commerciali: nel nuovo riparto delle competenze tra Stato e Regioni, dunque, la dizione “commercio” non figura più.

La questione affrontata rileva che la competenza dello Stato, anche con riferimento alla materia della “concorrenza”, ha subito un evidente arresto rispetto alla volontà dettata a livello nazionale ed europeo volta a rimuovere gli ostacoli al libero esercizio di attività produttive, ricomprendendo anche la materia dell’artigianato; con la conseguenza di una attrazione diretta nella competenza sindacale di definire gli orari di apertura di tutte le attività commerciali.

Le attività artigianali, è più specificatamente l’artigianato, definito come quell’attività economica volta alla produzione di beni e servizi, organizzata prevalentemente su base individuale e familiare, può essere ricompreso all’interno della più generale categoria di attività “commerciale”:

  1. il codice civile non lo distingue dagli altri settori produttivi;
  2. la Costituzione italiana ha riservato una tutela e un’attenzione particolare, in aggiunta all’art. 41 Cost.;
  3. l’articolo 117 Cost., nella formulazione del 1947, attribuiva alla potestà regionale concorrente (“nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato”) le materie “istruzione artigiana” e “artigianato”, mostrando di considerare la prima propedeutica alla seconda (venute meno con la riforma del Titolo V);
  4. nella nozione di artigianato possono essere ricondotte le attività produttive più disparate per contenuti e modalità attuative.

Quelle dei parrucchieri, più correttamente, acconciatori, annota il parere, ha anche una specifica disciplina di settore, ricompresa nella Direttiva servizi o Direttiva Bolkestein, riconfermando l’estensione della liberalizzazione anche a queste attività: in sede di recepimento (ex D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59) per attività economica sono state ricomprese anche quelle artigianali (“acconciatore”, art. 77 e “estetista”, art. 78).

L’analisi ripercorre il processo di liberalizzare gli orari delle attività commerciali e di somministrazione di alimenti e bevande, rilevando che negli anni l’imposizione di un orario si poneva come criterio restrittivo rispetto alla diffusione dei principi a tutela della concorrenza, generalizzando la portata delle disposizioni a tutte le attività economiche lato sensudi servizi”.

In termini diversi, limitare il catalogo delle attività si porrebbe con restrittivo limite agli orari e chiusure, incidendo inevitabilmente sul libero esercizio dell’attività (alias sulla concorrenza), condizionando la possibile ampiezza dell’offerta al pubblico, in assenza di un espresso divieto motivato da ragioni di interesse pubblico[9].

La concorrenza (“materia-funzione” trasversale)[10] attiene, dunque, anche alla disciplina degli orari, dimostrando l’innegabile impatto sull’offerta di mercato che la stessa finisce necessariamente per avere, ogni sua limitazione deve essere circoscritta per non determinare un vulnus alla concorrenza[11].

Il quadro giurisprudenziale postula che in materia di orari degli esercizi commerciali è in vigore il divieto di imporre limiti e prescrizioni a livello territoriale (legislazione regionale), salvo quanto stabilito dalla Stato, nell’esercizio della sua competenza esclusiva a tutela della concorrenza, rilevando che le Autorità pubbliche possono porre limiti e restrizioni all’attività economica per evitare danni alla salute, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e possibili contrasti con l’utilità sociale; ma non possono farlo per asseriti interessi di categoria.

Il commercio, peraltro, non è elencato neppure fra le materie di legislazione concorrente, ai sensi del nuovo terzo comma dell’articolo 117 Cost., per cui rientra a pieno titolo fra le materie attribuite alla competenza residuale delle Regioni, ex quarto comma del cit. 117, «Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato».

Conclusivamente, si perviene alla soluzione che in mancanza di un esplicito divieto normativo (nazionale o regionale), il potere sindacale ben può essere esercitato definendo gli orari e turni di chiusura nelle attività economiche in genere, bilanciando i diversi interessi pubblici coinvolti.

Il parere, nella essenzialità e completezza, analizza la nozione di “attività commerciale” (nelle materie del commercio e dell’artigianato) nell’evoluzione storica e ordinamentale, concorrendo con la prospettiva comunitaria delle c.d. liberalizzazioni ove l’orario di apertura e chiusura risulta un elemento essenziale e primario a garanzia di un’effettiva e concreta apertura al mercato.

Il chiarimento interpretativo sulle materie di competenza del sindaco, ex art. 54 del TUEL, sono un ausilio importante nel riaffermare la centralità dell’Autorità locale sul corretto e armonico sviluppo economico ed urbano, riconoscendo la piena capacità di agire del primo cittadino sul proprio territorio, in armonia con tutti gli interessi pubblici coinvolti, a tutela della propria Comunità, senza esclusioni o limitazioni.

È da osservare che il tema delle “liberalizzazioni” degli orari degli esercizi commerciali (aperti anche la Domenica)[12] rileva per (ad es.):

  1. la forte attinenza con il concetto di sviluppo urbano;
  2. le esigenze dei consumatori;
  3. il concorso con il mercato digitale (on line);
  4. il riposo festivo;
  5. il tempo (turno) lavoro.

Tutti profili (non esaustivi della tematica) rilevanti della vita umana (e il bene della vita)[13] che si compenetrano con la concorrenza, tra grandi distributori e piccoli esercenti, tra un modello di sviluppo sostenibile e l’economia digitale, tra il tempo dedicato al lavoro e la qualità del lavoro.

Si comprende, allora, che il tema dell’orario di apertura delle attività commerciali/artigianali ha implicazioni diverse, non solo economiche e sociali[14], ma anche etiche e valoriali (morali, per alcuni): la concorrenza non è solo una questione di un confronto competitivo o di apertura al mercato, involge la vita quotidiana di ogni cittadino, e la qualità della vita, sempre più connessa con i prodotti posti in vendita (il c.d. carrello).

In prospettiva dell’economia digitale, anche gli orari di apertura degli esercizi commerciali subiranno un’inevitabile trasformazione, con la presenza di piattaforme on line (e-commerce), capaci di sostituire/integrare l’esistente, ed anche le attività che necessariamente non potranno (forse) essere sostituite, quelle artigianali, sicuramente opereranno con gli strumenti digitali (ad es. la gestione degli appuntamenti o prenotazioni).

In un futuro, non tanto lontano, le liberalizzazioni - senza restrizioni di orario di apertura/chiusura - delle attività economiche dovrebbero migliorare la vita e aumentare il benessere collettivo se lo scopo è semplificare l’incontro tra domanda e offerta, ridisegnando le regole dello scambio negoziale (il c.d. consenso, ex 1326 c.c.) e della manifestazione del consenso informato.

Tale dimensione della manifestazione di volontà sarà sempre più digitale (con un click o flag), senza un reale contatto fisico, con un massiccio trattamento e profilazione dei dati personali (e dei big data) per rispondere (più puntualmente o selettivamente) ai bisogni del singolo consumatore: la dimensione dello “scambio”, che è alla base dell’economia, allora potrà ancora essere regolamentata con un orario di apertura e chiusura dell’attività commerciale (?).

Nel proscaenium civico, e in questo moderno mercato della concorrenza, il sindaco si presenta non solo come l’Autorità pubblica di regolamentazione di un orario o il garante delle liberalizzazioni, assurge ad una funzione eletta e nobile (ex artt. 54 Cost. e 50, comma 2, primo periodo del TUEL), quella che ogni eletto dovrebbe aspirare: l’amministrare i beni non propri nell’interesse generale, nell’equilibrio dei diversi interessi, non solo economici, conciliando le esigenze di sviluppo territoriale con il tempo dello sviluppo sostenibile e durevole, assicurando il bene della vita.

 

[1] Adunanza di Sezione del 27 giugno 2018, numero 02065/2018 e data 27 agosto 2018 Spedizione.

[2] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 maggio 2014, n. 2746.

[3] Sulla legittimazione vedi, Cons. Stato, sez. V, 3 aprile 2018, n. 2050.

[4] Corte Cost., 15 marzo 2013, n. 38.

[5] Cfr. Ministero dello Sviluppo economico, Risoluzione 7 marzo 2018, n. 87935, ove si afferma che le concessioni di posteggio sulle aree pubbliche, per effetto della “Direttiva Servizi”, non possono più essere automaticamente riassegnate alla scadenza agli attuali titolari, bensì devono essere riassegnate mediante procedure ad evidenza pubblica, garantendo la concorrenza.

[6] Corte Cost., 10 maggio 2017, n. 98.

[7] Cfr. Corte Cost., 4 aprile 2011, n. 115.

[8] Cons. Stato, sez. V, 23 luglio 2018, n. 4439.

[9] Corte Cost., sentenza n. 8 del 2013.

[10] Corte Cost., sentenza n. 272 del 2004.

[11] Corte Cost., sentenza n. 299 del 2012, da ultimo la sentenza n. 239/2016.

[12] Vedi, VECCHIO, La liberalizzazione degli orari dei negozi: da salvaguardare, da correggere o da superare?, federalismi.it, 24 ottobre 2018.

[13] Cfr., Sezioni Unite, sentenza n. 500/1999.

[14] Anche dopo le norme sulla c.d. liberalizzazione delle attività economiche, l’ente territoriale legittimamente può porre limiti all’esercizio delle attività economiche che siano adeguati, proporzionali e ragionevoli e comunque volti a garantire la conformità delle dinamiche economiche ai principi della Costituzione, con particolare riferimento alla utilità sociale, T.A.R. Lazio, Roma, sez. II ter, 7 ottobre 2015, n. 1154.